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“Ma se l’unico modo per andare in cielo è credere in Cristo, allora come fanno quelli che non ne hanno mai sentito parlare? Non è Dio ingiusto a chiedere loro questo? Tu, cristiano, saresti fortunato quindi a essere nato in Italia.”

Immagino che almeno una volta nella vita vi sarà successo di sentirvi porre queste e altre simili domande. Da quando mi sono iscritta al corso di Giapponese dell’Università degli Studi di Milano questa domanda mi è stata posta da quasi ogni studente a cui ho parlato del Vangelo.

Ho iniziato ad appassionarmi al Giappone poco tempo dopo aver deciso di dare la mia vita a Cristo.
Era un mondo pieno di fascino agli occhi di una ragazzina delle superiori. Amavo la sua cultura, un po’ ingenuamente. Poi quando ho iniziato a studiare all’Università lingua, storia e letteratura Giapponese, la mia passione è maturata in una comprensione più accurata e informata. Alla fine del mio secondo anno non ero ancora mai andata in Asia ma ne avevo un’idea, ero ispirata dai miei professori. L’aspirazione di fare qualcosa di utile al regno di Dio nella vita c’era, ma non ero sicura di che forma darle.

Stavo servendo nei GBU a Milano, i miei amici venivano agli studi biblici e alle feste e c’erano state delle conversioni. Per la prima volta vivevo l’evangelizzazione come qualcosa che mi piacesse per davvero e non come un peso. Per la prima volta vedevo Dio coinvolto nell’evangelizzazione, anzi, che dico, quelli coinvolti eravamo noi, lui guidava e apriva porte. Vedevo come l’evangelizzazione cambiava me e i miei amici, cristiani e non. Iniziavo a farmi un’idea di missione.

Ma avevo delle remore…

Non è Dio ingiusto a chiedere di credere in Cristo a coloro che di Cristo non possono aver sentito che magari solo il nome? Sapevo dare le mie risposte teologiche o teologizzanti e parlare di come Dio, nel pratico, agisce nella mia vita; ma fidarsi veramente con tutto il cuore del giudizio di Dio è un’altra cosa, in fondo comprendevo le obiezioni degli scettici. Avevo abbastanza fede da credere che Dio fosse giusto anche in questo, se di Giappone non mi fosse mai interessato nulla. Ma siccome in me c’era il seme dell’idea di poterlo servire lì, allora sentivo che in qualche modo la questione mi riguardasse, la mia fede non era sufficiente, mi sentivo in tensione.

E di ragioni ce ne sarebbero per essere in tensione per il Giappone.

  • Su 120 milioni di abitanti solo lo 0.5% è cristiano.
  • Nei prossimi 15 anni metà dei pastori di chiesa immancabilmente morirà e non ci sono giovani pastori a rimpiazzarla.
  • La cultura Giapponese non ha il concetto di peccato. Tsumi, il termine usato nella Bibbia, significa infatti “crimine”.
  • Non sono mai stati abituati ad avere riunioni religiose a cadenza settimanale, quindi trovano pesante l’idea di aver un impegno fisso per la domenica.
  • La lingua è una delle più difficili al mondo. Anche per questo i missionari sono pochi.
  • La maggior parte dei credenti sono donne, perché gli uomini sembrano quasi impossibili da raggiungere siccome lavorano dalle 12 alle 15 ore al giorno, a volte anche per 6 giorni a settimana.

Questi e altri sono gli ostacoli. Il capolavoro del diavolo, si potrebbe chiamare. (Per ulteriori informazioni visitare il sito di OMF)

Prima del mio primo viaggio mi sono fissata delle domande a cui speravo di trovare una risposta. Sarei stata un’osservatrice. E il Signore ha risposto in maniera straordinaria al mio desiderio di comprendere meglio la sua sovranità e giustizia, ma non come mi aspettassi. Osservavo le persone ai templi. Pregavano delle statue o altri oggetti fisici. Leggevo i motivi di preghiera sugli amuleti in vendita. Lavoro, buona salute, superamento degli esami, ammissione all’università, fortuna, amore, buon parto. Era tutto molto familiare. La forma delle statue e dei riti forse era diverso, come la filosofia dietro ogni atteggiamento e visione del mondo, ma i bisogni umani, spirituali, quelli che spingono italiani cattolici e giapponesi shintoisti a cercare aiuto nel metafisico, erano gli stessi come lo erano le risposte alla loro ricerca di connessione col divino. Preghiere all’occorrenza. Fiducia in oggetti e riti.

Nemmeno la tua cultura rende le persone più vicine a me, sembrava Dio volesse dirmi.

E questa è stata un’idea illuminante.

Certo, è ovvio, anche noi cristiani evangelici italiani siamo circa l’1%. Se davvero il nascere in una nazione cristiana rendesse più vicini a Dio saremmo qualcosa come il 90%, o no? Anche noi italiani siamo un capolavoro del diavolo se pensiamo di essere sufficientemente cristiani di nascita per capire Dio o per conoscerlo come Egli vuole che lo conosciamo. Avevo questo concetto inconscio che il nostro lavoro per il regno di Dio qui in Italia fosse in qualche modo alleggerito perché le persone intorno a noi dicono di credere a Cristo, anche solo nominalmente o per tradizione, ma questo non mi faceva capire quanto sia grave, profonda e tragica la distanza tra Dio e l’uomo. Né il valore della grazia immeritata.
Così imparai ad amare di più la grazia.

Ma quindi il Giappone? Cosa posso fare io?

Finita l’Università ho chiesto a Dio di poter andare lì un’altra volta. Non avevo mezzi né conoscenze, ma durante la mia esperienza nel GBU avevo visto il Signore provvedere in maniera miracolosa ai nostri bisogni. Quando dovevamo organizzare The Mark Drama, affittare un posto per quattro giorni per la rappresentazione e pagare l’affitto ci siamo rivolti a Dio con un obbiettivo spirituale. Volevamo chiedere tutte queste cose direttamente a Dio, in modo che potesse essere evidente a tutti che era Dio stesso a provvedere per la sua missione. E Dio rispose in maniera incredibile. Ricevemmo un posto di 600 mq, modernissimo, gratis e per ben un anno e mezzo. Dio è stato molto buono con noi.

Ora che avevo finito l’Università mi ritrovavo in una situazione simile e il Signore, chiestomi di aver fede ancora una volta, mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno per il mio viaggio in Giappone attraverso una storia incredibile. Da che non avevo i soldi per pagarmi nemmeno metà del biglietto aereo, mi ha dato tutto quello di cui ho avuto bisogno per il mio soggiorno nel giro di un mese. I soldi sono semplicemente arrivati dai posti più impensabili. E anche i contatti. Attraverso nuove conoscenze e coincidenze incredibili ho trovato nuovi amici fra i missionari e ho iniziato a costruire relazioni con la missione Giapponese che sono andati a intensificarsi e durano tutt’ora. Fino a quando poi tutto questo miracolo ha dato un frutto molto più prezioso.

Un giorno ero a Sapporo, a cena con due studenti, e ho raccontato di come Dio è stato così potente e buono da provvedere ai miei bisogni in maniera sorprendente; uno dei due studenti è rimasto così sconvolto dalla storia che ha acconsentito a venire agli studi biblici in facoltà. E un anno dopo si è convertito.

Sì, è la potenza di Dio manifestata nelle nostre vite che fa la differenza. Quando gli chiediamo di mostrarsi in una maniera tale che le persone non potranno far altro che ammettere “il suo Dio è quello vero”, lui ne è molto onorato e non ci sarà cultura e storia che tenga.

Martina Panzani
(GBU Milano – laureata)

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