Team traduttori a Revive
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di Valentina Bernardi, GBU Bologna 

Alla conferenza studentesca IFES Revive ho avuto modo di partecipare non solo in veste di studentessa, ma anche come volontaria, impegnandomi nella traduzione delle varie plenarie dall’inglese all’italiano, in un team di sette interpreti. 

Ero già stata coinvolta come traduttrice nella conferenza Revive, e sono stata incoraggiata a svolgere di nuovo questo ruolo dal mio percorso di studi. Infatti, nel 2021 ho conseguito la laurea triennale in Mediazione linguistica e culturale, e si può dire che ho lavorato in quello che è stato ed è tutt’ora, con la magistrale, il mio campo di studi. Inoltre, sapendo che anche nelle piccole cose si trova l’opportunità di servire Dio, sono stata mossa dal desiderio di rendermi utile per chi avesse avuto qualche difficoltà a comprendere i temi della conferenza in lingua originale.

IL LAVORO DI INTERPRETE

Alla conferenza Revive gli interpreti si trovano nelle cabine, con un microfono e delle cuffie. Rispetto al 2019 le tecnologie erano più evolute. Abbiamo utilizzato i nostri PC per connetterci a un’app, mentre nel 2019 avevamo semplicemente un microfono connesso alle cuffie di coloro che ascoltavano la traduzione. 

È stata stimolante per me anche l’esperienza di essere in un team di traduttori. Ci tenevo a mettermi in gioco con questo lavoro di squadra, in quanto, essendoci due sessioni ogni giorno, era necessario scambiare i propri turni con gli altri traduttori. Non sapevo però come sarebbe stato, dal momento che avevo avuto qualche difficoltà come interprete nel 2019, forse anche perché ero più inesperta. 

Malgrado qualche mio piccolo timore, è andata bene! Il lavoro si svolgeva principalmente dietro le quinte e coinvolgeva non solo noi traduttori italiani, ma anche altri di altre lingue. Avevamo anche le dispense sui vari argomenti dei vari sermoni dei diversi speaker, che sono stati utili per sapere quale passo biblico sarebbe stato affrontato e anche a capire qualcosa del contesto. Ad ogni turno eravamo in due, e così quando sentivamo il bisogno di prenderci una pausa, passavamo il microfono al nostro ‘collega’.  

UN BELLISSIMO INCORAGGIAMENTO

Il lavoro del traduttore è apparentemente facile, ma è una sfida. Quando si tratta di traduzione simultanea, infatti, bisogna tradurre mentre lo speaker parla, e a volte si potrebbe rischiare di perdere dei passaggi importanti. Grazie a Dio sono abbastanza esperta in questo campo, e inoltre, gli speaker che io mi sono trovata a tradurre, erano abbastanza chiari nelle loro spiegazioni e non ho riscontrato grosse difficoltà. 

In particolare John Lennox è stato molto chiaro e coinciso, e mi ha piacevolmente colpito che alla fine del suo sermone sia venuto da noi traduttori delle svariate lingue a ricordarci quanto questo compito fosse importante. 

Posso dire che anche quella è stata una bella soddisfazione, perché mi ha ricordato di essere utile a qualcuno. Nella mia vita ho avuto questa crisi d’identità nel pensare di non fare abbastanza per aiutare gli altri e di non avere particolari doni come altri miei fratelli in fede. Invece, Dio mi ha ricordato che ognuno di noi ha doni diversi da sfruttare nel momento giusto. In quel momento mi è venuto in mente questo versetto: 

“Poiché Dio non è ingiusto da dimenticare l’opera vostra e l’amore che avete mostrato verso il suo nome coi servizi che avete reso e che rendete tuttora ai santi” (Ebrei 6:10) 

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di Domiziana Fornasini, coordinatrice GBU Bologna

A dire la verità, non è stato il peso per un risveglio in Italia o in Europa a farmi decidere di andare a Revive. È stato semplicemente il mio bisogno di staccare un po’ dalla quotidianità e ricevere quella “scossa” tipica degli eventi come questo. Inoltre, ero interessata in particolare ad alcuni speakers che volevo ascoltare. 

Con il passare delle settimane, ho capito quanto fosse importante per me ritornare a quello stato di adorazione puro, vero; quell’adorare Dio per chi lui è, e non per quello che ha fatto per me, né per quello che mi dà, o per le sue promesse. Tornare su questa strada era l’obiettivo che mi ero data prima di partire.

Il programma e gli small groups

Il programma era diviso pressoché in culti e seminari, questi ultimi a scelta. Il tema generale della conferenza riguardava il risveglio, prima personale, poi delle nostre università e infine dell’Europa; sia i seminari che le prediche giravano attorno questi temi, mantenendo sempre il nostro focus su Cristo e su come il suo mandato si applichi alle nostre vite. Tuttavia, non mancava il tempo libero né la possibilità di appartarsi in una stanza di preghiera in qualsiasi momento, dettaglio che ho trovato estremamente importante. 

C’erano anche degli small groups per parlare un po’ più a fondo del tema trattato dal predicatore. Grazie a questi gruppi ho potuto conoscere nuove persone dall’Europa e da altre parti del mondo, e anche chi era venuto da solo ha potuto trovarsi in un contesto amichevole e accogliente, anche per chi ha qualche difficoltà a conoscere nuove persone (e per me di solito è difficile). 

Far parte di un gruppo è stato in effetti essenziale per rendere l’esperienza di Revive piena. Un risveglio non è qualcosa che si fa da soli, né una chiesa può essere composta da una sola persona. Inoltre, far parte di un gruppetto è stato importante anche per il post conferenza, ovvero il momento peggiore: il ritorno a casa. Quando rientri nella tua quotidianità, e non sei più circondata da cristiani come te; quando pregare e adorare non è di default nel programma, ma devi essere tu a trovare quei momenti; quando diventa complicato rimanere in quello stato di connessione continua con Dio, in cui non si smette mai di parlargli o di ascoltarlo e non si ha nessuno con cui condividere esperienze così profonde. Sono questi i momenti in cui puoi ricontattare le persone del tuo gruppo, per tornare ad avere comunione e incoraggiarci a vicenda. 

Non me l’aspettavo 

La cosa che mi ha colpita di più è stata la quantità di persone. Ero stata ad altri eventi prima, anche internazionali, ma non avevo mai visto così tanti ragazzi da tutti quei background culturali, linguistici e denominazionali diversi adorare Dio insieme. Questo è stato un tuffo nella realtà, una realtà in cui migliaia di ragazzi e ragazze vogliono santificarsi, vogliono vivere per Cristo e vedere un mondo arreso a lui. Perché questa è la nostra realtà: non siamo pochi, non siamo soli. Ovunque andiamo, come cristiani, possiamo trovare fratelli e sorelle, possiamo trovare una famiglia, persone con cui, anche se non le abbiamo mai viste prima, abbiamo qualcosa di fondamentale in comune. E questo unisce, unisce tanto da farci dimenticare la nazionalità, la cultura, la lingua, la denominazione; si diventa un grande corpo e una grande Chiesa fatta da cittadini del cielo. 

Obiettivo raggiunto 

Alla fine della conferenza, direi quasi ovviamente, Dio ha superato le mie aspettative! Oltre ad incamminarmi nuovamente verso quell’adorazione pura, Dio mi ha spinta a pregare molto di più e a cominciare a pensare di organizzare delle preghiere continue 24/7, per una sua promessa per cui avevo quasi smesso di combattere. 

Vivere a iniezioni 

Indubbiamente è stata un’esperienza incredibile, tuttavia non vorrei far passare l’idea che vivere solo per aspettare eventi del genere sia una possibilità, come se fosse un’iniezione di Spirito Santo che ci dà la carica una volta all’anno, perché non lo è. Dobbiamo imparare a vivere Dio nel nostro quotidiano, anche quando siamo soli, non solo nel momento in cui siamo circondati da persone che ci spronano. Tuttavia, rimangono tutti i lati positivi del prendersi qualche giorno per partecipare ad eventi come questo e “ricominciare” con Dio. 

Quindi, perché Revive? 

Partecipare a Revive non significa solo passare un capodanno diverso. È molto di più. Significa conoscere nuove persone appassionate per Dio e pronte a mettere sottosopra l’Italia, l’Europa e il mondo. Significa scoprire cose di se stessi e di Dio che non si conoscevano; ma significa anche doversi mettere in discussione, confrontarsi con realtà diverse ed essere pronti a cambiare opinione, a uscire dalla propria zona di comfort, perché Dio non è il Dio del comfort, ma del risveglio.

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di Valerio Bernardi

Nelle testate giornalistiche di fine e inizio anno, almeno in Italia, le notizie che hanno maggiormente spiccato sono quelle della morte di due personaggi celebri: Pelé e Benedetto XVI.

Lasciando momentaneamente da parte il tentativo di un bilancio sul primo, cercherò di tracciare un breve profilo valutativo di quello che è stato il primo Papa emerito della storia: Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. Tentare di tracciare un bilancio del suo operato significa cercare di tracciare un bilancio del cattolicesimo post-conciliare e risulta impresa ardua. Partirò da due episodi significativi per me e, penso, rappresentativi di quello che ha fatto Papa Benedetto XVI.

Ho avuto la possibilità di sentire Ratzinger, quando era cardinale e rivestiva, sotto Giovanni Paolo II, la carica di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ovvero era il capo dell’ex Sant’Uffizio e tribunale dell’Inquisizione) qui a Bari in una conferenza intitolata Unità e pluralità nella Chiesa. Sicuramente durante il suo eloquio si poteva dedurre che si trovava di fronte ad un teologo profondamente erudito e ben a conoscenza dei meccanismi della Chiesa in cui militava, ma, a me, giovane evangelico faceva sorgere diversi dubbi soprattutto quando, di fatto, negava la possibilità di qualsiasi pensiero dissenziente nei confronti del Magistero della Chiesa, ribadendo l’importanza del suo ruolo e della Curia nello stabilire quali fossero le basi della fede cattolica. Si trattava del Ratzinger che, appena qualche mese prima, aveva condannato in maniera ferma i Teologi della liberazione dell’America Latina, sostenendo che (forse anche giustamente) non ci poteva essere una conciliazione tra Marx ed il Magistero della Chiesa, ma, allo stesso tempo, ignorando le opzioni da cui era nata quella teologia e la questione della povertà che è sempre stata e deve sempre essere al centro del dibattito cristiano sin dai tempi biblici.

Il secondo ricordo, più vicino nel tempo, riguarda le sue dimissioni. Nella scuola dove insegno, nonostante la maggior parte dei ragazzi non sia normalmente interessata a questioni religiose e siano molto critici nei confronti della Chiesa Cattolica, le dimissioni di un Papa ha suscitato scalpore. Per questo motivo gli studenti hanno deciso di dedicare una loro assemblea di Istituto alla questione e, tramite la loro docente di religione, sono riusciti ad invitare Don Nicola Bux, un importante esponente del clero vicino a Comunione e Liberazione e collaboratore del Pontefice mentre era cardinale e Prefetto del Sant’Uffizio. Nonostante le varie dicerie sulla questione delle dimissioni (incapacità di governare la Chiesa, scandalo della pedofilia etc. etc.) Bux ha dato forse una delle migliori spiegazioni dell’accaduto: Ratzinger vedeva declinare la sua salute e, in tutta coscienza, non se la sentiva di continuare a governare senza vigore la Chiesa Cattolica.

Questi due episodi, a parte la lettura di diversi suoi testi e discorsi sono quelli che mi rimarranno impressi quando, anche in futuro, ricorderò Ratzinger. Ovviamente ci sono tante altre cose da poter discutere e voglio qui ricordarne qualcuna.

In primo luogo, Ratzinger è stato un teologo tedesco, formatosi in Baviera e docente alla facoltà teologica cattolica di Tubinga, uno dei più prestigiosi atenei tedeschi, dove è stato collega per diversi anni di Hans Küng, condividendone le posizioni progressiste almeno sino alla metà degli anni 1970, quando soffermandosi negli studi sul ruolo della Chiesa ha iniziato a reinterpretare alcune delle cose ribadite dal Concilio Vaticano II, si è allontanato dalle posizioni di critica nei confronti del Magistero e del ruolo del Pontefice ed ha ribadito un concetto di chiesa sacramentale che rimane uno dei pilastri del Cattolicesimo. La sua conversione non è stata repentina né frutto di un cambio di casacca per questioni squisitamente politiche (anche se è vero che ciò gli ha permesso di far carriera nella Curia), quanto un autentico timore dello sfaldamento della Chiesa Cattolica.

Questo lo ha gradualmente portato a divenire uno dei maggiori teologi dell’ala conservatrice della Chiesa Cattolica, condannando qualsiasi tentativo di andare al di fuori di schemi tradizionali. Allo stesso tempo, però, Ratzinger è stato colui che ha cercato di dialogare con il mondo secolarizzato occidentale. Lo ha fatto in diverse occasioni ed è entrato in dialogo sia con Habermas in Germania che con Flores d’Arcais in Italia. I suoi tentativi erano portati avanti anche da quello che, a mio parere, rimane il più importante documento ufficiale da lui scritto (anche se non ufficialmente) che è l’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio. In tale scritto il teologo tedesco è entrato in dialogo con il pensiero contemporaneo, cercando di ribadire un concetto di razionalità diverso da quello voluto dall’Illuminismo occidentale. La proposta è risultata interessante anche se il costante richiamo alla tradizione tomista come una sorta di “filosofia” ufficiale della Chiesa, appare limitante e forse troppo ristretta per un pensiero come quello evangelico che si è lasciato indietro l’impalcatura realista del periodo medievale.

Le testate giornalistiche italiane (in particolare Repubblica che non ha mai brillato per le sue competenze in campo religioso) continuano a ricordare il famoso discorso di Ratisbona fatto da Pontefice e lo ricollegano ad una sorta di antislamismo. Se è vero che Benedetto XVI in un passaggio di quel famoso discorso faceva riferimento all’Islam ed al fatto che tale religione non ricorresse alla ragione e non chiedesse alla fede l’uso dell’intelletto, è vero che l’intero discorso era una serrata critica al pensiero occidentale contemporaneo che era ricollegato in particolar modo al Protestantesimo e ad una linea di pensiero che partiva da Lutero ed arrivava fino a Kant in cui Dio era stato abbandonato a favore dell’uomo. Ratzinger (che in altri discorsi ha avuto parole di elogio per Lutero) ribadiva una vecchia linea di pensiero che riportava la responsabilità della secolarizzazione dell’Occidente alla Riforma Protestante, vista sempre con rispetto dal pensatore tedesco, ma anche guardata con una certa diffidenza.

Questo è, a grandi linee (se vogliamo anche in maniera sin troppo sintetica) il percorso di un grande personaggio per la Chiesa Cattolica. Cosa possiamo dire noi da evangelici? Intanto come spesso accade, a prescindere dal credere o meno nei rapporti ecumenici e di dialogo con la Chiesa Cattolica, il pensiero di Benedetto XVI va trattato con rispetto e lo si deve leggere con attenzione anche nei suoi tentativi divulgativi della fede che non sono mancati (non dimentichiamo che da Pontefice ha scritto delle monografie dedicate alla figura di Gesù, sicuramente discutibili in alcune conclusioni, ma molto interessanti perché si tratta, anche in questo caso, della prima volta che un Pontefice affermava di aver scritto libri da studioso e non da Capo della Chiesa). Leggendo i suoi testi è chiaro che le sue tesi rimangono pienamente all’interno della tradizione cattolica e, per questo, la sua concezione di Chiesa, il suo cedere in alcuni momenti al culto mariano, la sua idea di Magistero sono, da un punto di vista evangelico criticabili. Vanno però apprezzati il suo tentativo di dialogo con la società contemporanea, l’idea di render ragione della propria fede, quella di voler divulgare il suo pensiero. E, in ultimo, rimarrà sicuramente nella memoria dei posteri il suo atto più rivoluzionario: le sue dimissioni. Benché tradizionalista, Benedetto XVI ha rotto con una tradizione millenaria ed ha mutato l’idea di pontificato proprio abbandonando il soglio pontificio ed ammettendo che non si può dirigere una Chiesa in tarda età ed in condizioni precarie di salute. Probabilmente questo sarà uno dei suoi lasciti più significativi, oltre quelli della sua opera.

(Valerio Bernardi – Dirs GBU)

L’articolo La morte del papa-teologo. L’opinione di un evangelico. proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/la-morte-del-papa-teologo-lopinione-di-un-evangelico/