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CONFRONTARSI

Durante il decennio segnato dall’attivismo dei nuovi atei (oggi si registra un riposizionamento di questi filosofi o scienziati su posizioni che potremmo definire di “ateismo cristiano” o di “cristianesimo ateo”, che è tutto dire …) è andata in scena una particolare modalità di confronto, quella del dibattito/duello tra “campioni”. Un campione della fede cristiana e un campione della posizione opposta, per lo più “atea”. Ma non sono mancati duelli con esponenti di altre religioni. Sicuramente il nome più blasonato per questo tipo di confronto è stato quello di John Lennox. Su You Tube si trovano una lunga serie di dibattiti del matematico di Oxford con i principali esponenti del nuovo ateismo. Ma non sono mancati degli emuli nostrani! Abbiamo anche avuto ministeri che si sono specializzati in questo tipo di confronto: penso per esempio a Veritas Forum.
L’idea che soggiace a questi esperimenti è quella di segnare la presenza della testimonianza cristiana in uno spazio pubblico, come per esempio un’aula universitaria, non certamente con l’intento di convincere l’avversario (potrebbe anche accadere, naturalmente, tutto è possibile) quanto piuttosto quello di gettare un seme negli ascoltatori per quanto attiene la rispettabilità (John Locke avrebbe detto “ragionevolezza”) del cristianesimo.

Si potrebbero evocare altri esempi storici di “confronto”. Penso per esempio alle antiche assemblee germaniche del basso medioevo (le diete) che divennero protagoniste della diffusione sociale delle idee della Riforma (la Dieta di Worms, per esempio). Si trattava di passaggi giuridici e pubblici nei quali un’intera popolazione cittadina poteva poi determinarsi ad accogliere la Riforma, o a rigettarla (accadde così in molte città libere, tra cui Ginevra); oppure contesti in cui c’era un confronto istituzionale tra Papato, Impero e Principi, sempre alla presenza di qualche professore di teologia. Accadeva infatti che ci si trovava tra i piedi un Lutero, un Calvino, piuttosto che uno Zwingli, etc.

Confronti–duello. Sicuramente benedetti ma che si staccavano e si staccano dal tessuto in cui è calata la vita dei protagonisti e soprattutto degli ascoltatori. Si tratta di confronti tra idee, molto spesso tra “ismi” (Cristianesimo vs Ateismo), senza nulla togliere alla bravura e alla capacità dei protagonisti (e penso in particolare a Lennox) di cercare di riportare il confronto sempre sui temi legati alla vita tutta intera e non solo alla vita della mente (vedi Vivere e confrontarsi con … Vivere).

Il confronto a cui alludiamo, al contrario, parte proprio dal contesto vitale.
Questa fondamentale differenza è espressa molto bene da un pensatore olandese a cui spesso si fa riferimento come a un campione di dogmatica e di teoria teologica (Herman Bavinck). La citazione è tratta da un piccolo libro capolavoro di John Stott (Missione cristiana nel mondo moderno), in cui Stott analizza quattro parole relative alla missione cristiana, tra cui spicca la parola dialogo (sicuramente un sinonimo del nostro “confrontarsi con”:

«Il mio interesse non è mai diretto al buddismo ma a una persona vivente e al suo buddismo; non stabilisco mai un contatto con l’Islam, ma con un musulmano e il suo maomettismo» (H. Bavinck sull’elenctica – la scienza che smaschera davanti al mondo pagano tutte le false religioni rivelandole come peccato contro Dio … e chiama il mondo pagano alla conoscenza del vero Dio –, citato in J. Stott, Missione, p. 85).

Ecco che qui troviamo l’incipit del confronto che vorremmo stimolare nella testimonianza cristiana.

Si tratta di un confronto che passa al lato e si distingue anche dagli approcci “identitari” (per esempio gli approcci identitari al cattolicesimo – AIC) in cui si vuole dimostrare che, teologicamente, il protestantesimo è superiore al cattolicesimo, etc.. Negli approcci identitari, colui che si confronta non si confronta mai come persona che incontra un altro tu ma semplicemente come un esponente di una tradizione che invita l’interlocutore a verificare quale sia la tradizione migliore. Diatriba! Questo tipo di diatriba ha un suo retroterra filosofico e teologico di cui ci occuperemo in un altro momento.

Forse si potrebbe dire che il confronto con, quale passaggio interno alla testimonianza cristiana abbia visto negli ultimi 50 anni, almeno per quanto concerne la testimonianza dei cristiani evangelici, una certa oscillazione.
Dalla forma stigmatizzata sempre da John Stott che parlava per gli evangelici della strategia dei “conigli”: si usciva dalla propria tana (si dice confort zone?) per una rapida incursione a suon di proclamazione del vangelo, “sparata” a un uditorio che non conosceva per niente questi interlocutori estemporanei, per poi tornare nella propria tana, vale a dire a disinteressarsi delle cose del mondo.
All’approccio appunto identitario con il quale si è giunti, oggi, a una certa presunzione di superiorità con la quale si vorrebbe mostrare al mondo che noi ci siamo, dobbiamo contare di più, abbiamo le giuste idee espresse con le corrette parole mentre di fronte, e separati da noi senza tema di contaminazioni o ponti di collegamento, ci stanno sistemi di credenze pervasi di confusione. Farebbero bene, questi sistemi, a venire alla nostra scuola. Questo tipo di confronto potrebbe valere nei confronti del cattolicesimo ma anche nei confronti del mondo musulmano. Nel primo caso vanteremmo il blasone della Riforma, nel secondo la superiorità dei valori occidentali (ebraico-cristiani).

Ci sono almeno tre elementi che caratterizzano il confronto che sorge dalla vita (vivere e confrontarsi con …) e che vorremmo sottolineare.

 

  1. Persone che si parlano e parlano di se stesse.

Lo abbiamo letto in Bavinck: un tu incontra un altro tu. Chi mi sta di fronte non è l’Islam ma Mohamed e il singolare modo che egli ha di incarnare il suo credo. È risaputo che l’Islam è un mosaico di culture e tradizioni condizionate da contesti geografici e sociali molti differenziati. Queste culture circondano il nocciolo duro dei cinque pilastri del credo islamico ma non si sovrappongono perfettamente a esso. Per cui l’interlocutore senegalese vive il suo islamismo in maniera diversa da un filippino, da un arabo, o da un convertito europeo.

Questo fa si che, molto spesso, i cristiani che vivono in contesto islamico o che provengono da tale contesto, una volta che approdano alla fede vivente in Gesù, mostrano di non essere principalmente interessati a ripulire le incrostazioni culturali dell’Islam. Ciò permette di dire a Dave Garrison, islamista ed esperto di missione tra i musulmani, che:

«per molti musulmani, l’Islam [inteso come cultura, ndc] è centrale nel modo di vivere della gente. È la loro madre. La loro famiglia. La loro comunità. E non hanno problemi con l’Islam. Ciò che ora vogliono fare è seguire Gesù e amare di più i loro parenti per trascinarli alla fede. Ho trovato pochissime persone che volevano affrontare l’Islam [in quanto cultura]. Sentivano solo che quella era una battaglia secondaria. La vera battaglia era seguire Gesù e diffondere Gesù». (Thimoty C. Morgan, Why Muslims are becoming the best Evangelist, Intervista a Dave Garrison, Christianity Today, https://www.christianitytoday.com/2014/04/why-muslims-are-becoming-best-evangelists/)

Anche per quanto concerne il versante cristiano, in un confronto tra due “tu”, non si parla astrattamente di Cristianesimo ma si parla di che cosa il cristianesimo ha prodotto e sta producendo nelle vite di chi crede e sta parlando; e per converso ascoltiamo quello che il sistema di fede del nostro interlocutore sta producendo nella sua vita e raccontiamo ciò che il cristianesimo sta producendo nella nostra vita.

Questo permette di mostrare il modo in cui il messaggio del vangelo (che naturalmente non scompare dietro il racconto dell’esperienza personale) agisce a livello delle persone; si potrà mostrare che Gesù è una persona vivente. E potremo ascoltare e individuare i punti in cui il credo del nostro interlocutore manifesta dei vuoti.

La vita, il “vivere con”, diviene dunque la condizione di possibilità per un confronto di questo genere. Emil Shehadeh, oratore del Convegno Studi di quest’anno, nel suo lavoro di analisi delle dinamiche di conversione dal mondo islamico, trova che l’amicizia sia la dinamica più efficace. Quella ricercata maggiormente dagli stessi convertiti dall’Islam.

 

 

  1. Metto in gioco la mia identità

«Fino a che rido delle sue sciocche superstizioni, lo guardo dall’alto in basso; non ho ancora trovato la chiave per entrare nella sua anima. Ma non appena capisco che ciò che egli fa in modi notevolmente ingenui e fanciulleschi, pure io lo faccio più e più volte sotto una diversa forma, non appena mi pongo accanto a lui – allora posso nel nome di Cristo dichiararmi in disaccordo con lui e convincerlo di peccato, come Cristo fece con me e come continua a fare giorno dopo giorno» (Bavink in J. Stott, Ibid., p. 85)

È sempre Bavinck che parla. Il “confrontarsi con” esige che non si resti aggrappati al proprio recinto identitario, ma che ci si sposti, che si rischi, abbandonandolo e rinunciando alla propria identità. L’orizzonte all’interno del quale deve svolgersi il confronto è il vangelo. E il vangelo non è di nessuno, neanche degli “evangelicali”. Il confronto non si svolge all’insegna della Riforma né tanto meno all’insegna dei valori occidentali. Il confronto adotta la postura che Paolo ha indicato ai Corinzi nel capitolo 9 della Prima Lettera che porta quel nome. Il confronto vede il cristiano come un soggetto mobile, disposto a rinunciare a ogni cosa per il vangelo; disposto a seguire e concordare con l’interlocutore, magari quando questi si lamenta e condanna i tanti errori commessi dai cristiani identitari: dalle crociate alle guerre di religione.

Si è vero, loro [per esempio i musulmani] hanno il jihad, hanno i testi che maledicono gli infedeli (ebrei e cristiani).
Ma sono solo i credenti in Gesù ad avere Gesù!!!
A loro tocca additare la presenza di un regno che non è di questo mondo e che essi dovrebbero incarnare.

Rinunciare al “noi” è dunque una vera e propria conversione semantica. Non ti sto parlando a nome di un “noi”; siamo io e te di fronte al vangelo. Io ti apro il mio cuore, ti mostro quanto sono stato perdonato, ti mostro il peggio di me stesso affinché tu possa vedere quanto grande è l’amore di Gesù Cristo.

 

  1. Racconto una storia migliore

Jonathan Lamb, riprendendo le riflessioni che Glynn Harrison (A Better Story: God, sex and human flourishing, 2017) fa a sostegno dell’etica sessuale cristiana, rilancia la tesi che in un frangente storico come il nostro la morale cristiana relativa alle relazioni d’amore appare completamente screditata; per questo motivo dobbiamo imparare a raccontare una storia migliore.

Negli ultimi venti o trent’anni: «il nostro tono è spesso suonato duro e freddo. Perfino narcisistico».

Il primo rimedio è un necessario ascolto da prestare a quanti differiscono da noi: «Nelle guerre culturali spesso ci si è concentrati troppo, su tutti i fronti, sul “rispondere” e troppo poco sull’“ascoltare”». Gli attivisti, su tutti i versanti del dibattito, profondono ogni loro energia nell’«oscura arte della persuasione». Tuttavia, «non dobbiamo essere sordi all’invito scritturale ad ascoltare prima di parlare e a essere pronti a rispettare la buona fede di quanti potrebbero avere posizioni diverse dalle nostre» (In J. Lamb, Che siano uno, di prossima pubblicazione presso Edizioni GBU).

Ingelosire (Rom 11:11), è questo il concetto che Paolo elabora nei famosi capitoli della Lettera ai Romani in cui parla del rapporto tra Cristiani e popolo ebraico. La sostituzione apparente dei primi al secondo (la metafora dell’ulivo) ha solo un unico obiettivo: far sì che gli Ebrei provino gelosia per il rapporto che i Cristiani hanno intessuto con YHWH, con un’intimità dovuta solo e unicamente a Jeshua. Ma questa è stata un’utopia nella storia, contraddetta ahimè da ben altri sentimenti, con una scia di incomprensioni che continua ancora al giorno d’oggi.

Ma la proposta di una storia migliore implica la rimozione di alibi e fraintesi, tutti passaggi obbligati di un “confrontarsi con” in cui siano dei “tu” che si incontrano, e in cui le identità non sono barriere ma costruzioni virtuali aggirabili. Sono i cristiani in primis, che possono fare questo, che non temono di perdere niente, avendo guadagnato tutto con Cristo.

Che sia possibile una storia migliore da raccontare è dato da un indizio che emerge qui e là nella cultura occidentale: esso è rappresentato da quei pensatori di varia provenienza che sono disposti a identificare nel cristianesimo elementi in grado di giustificare la possibilità di un fiorire umano (penso qui in particolare a Miroslav Volf). Questa possibilità solo il cristianesimo sembra garantirla.

Ecco una sfida nella sfida: è vero il cristianesimo ha risorse per il fiorire umano.

Ma quale cristianesimo?

Il vivere e il confrontarsi con … ha il vantaggio di rifuggire dall’equivoco rappresentato da un cristianesimo nominale o culturale. Poiché un discepolo di Gesù nella vita quanto nel confronto non avrà altro scopo che incarnare la vita nuova del Risorto e del suo Regno, e non saprebbe che farsene delle ideologie dei valori cristiani, facili da proclamare quanto altrettanto facili da contraddire … con la vita.

 

 

 

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(Vivere e confrontarsi con l’Islam)

Da storico del cristianesimo antico le tue ricerche ti hanno spinto oltre il secolo della nascita dell’Islam (VII d.C.), nonché oltre i confini geografici della tradizionale storiografia sulle origini del cristianesimo [qui citerò Cristianesimi e Christiana Clio].

In Cristianesimo e Islam. Fatti e antefatti (2016) ricerchi e descrivi le radici pre–islamiche dell’Islam.
La domanda concerne non il come (bisogna leggere il libro) ma le ragioni, il perché, per quanto sia possibile a uno storico rispondere a una simile domanda.

 

  1. Perché nasce una religione (che ha l’aura in premessa di un’irenica fratellanza – sono parole tue) nell’alveo di un mondo che conosceva la diffusione sempre più ampia di una fede, quella cristiana, che avrebbe dovuto essere il punto di ritrovo e di rinnovamento di una nuova umanità, di un “uomo nuovo” come lo descrive Paolo (Efesini)?Mi sono interessato dei rapporti tra l’islàm nascente e la galassia cristiana all’epoca del mio insegnamento presso l’Università degli studi di Napoli l’Orientale. Qui era attivo un Corso di laurea in Studi islamici (credo unico in Italia) e non pochi allievi venivano a interrogarmi, in generale, del rapporto tra le due religioni. Non m’impegnai, come si è soliti, sugli aspetti dottrinali soltanto, ma mi studiai di collocare il problema nel suo contesto storico aurorale. Partii dall’affermazione di un autore siriaco di lingua greca, Giovanni Damasceno, che il mondo del primitivo islàm aveva ben conosciuto. Questa religione, da lui chiamata degli ‘ismailiti’, veniva rubricata tra le ‘eresie’ di quelle che pullulavano nel panorama cristiano del tempo suo. Quasi sempre gli studiosi oggi tralasciano questa informazione e preferiscono schierarsi in due opposte falangi: da un lato i ‘crociati’ che demonizzano in blocco la fede islamica e ognuno che la professa, dall’altro gli ‘ecumenici’ che, in nome di un irenismo ingenuo, pervengono a un “volgiamoci bene” tanto generico quanto sterile. Nel mio libro illustro come l’esperienza di Maometto abbia affondato, e profondamente, le sue radici nel caleidoscopio delle sette giudeo cristiane dell’Arabia del suo tempo. Si tratta di un cristianesimo che potremmo definire ‘ereticale’ poiché difforme dai dettami teologici degli imperatori di Bisanzio ma che lì, tra deserti e oasi, sperduti monasteri e carovane itineranti, prosperava. Una lettura, anche superficiale, del Corano ci consente di cogliere gli echi della letteratura cara a quei cristiani, sono testi che noi oggi chiamiamo apocrifi ma che lì e allora godevano ampia circolazione. Un paziente lavoro di collazione, di cui rendo ragione nel libro edito dai GBU, mi ha consentito di ravvisare le corrispondenze tra le due esperienze religiose e con queste un rapporto di continuità. Poi, naturalmente, le interazioni tra gli uomini e le loro idee subiscono variazioni e conoscono incontri e scontri nella cittadella della storia, ma questa è un’altra vicenda.

 

  1. Gli errori del cristianesimo dei primi secoli, che in qualche modo sembrerebbero costituire degli antefatti alla nascita dell’islàm possono essere identificati ancora oggi nel modo in cui il “mondo cristiano” si confronta con il mondo islamico?Non parlerei di “errori del cristianesimo” tout court ma preferirei far riferimento agli atteggiamenti diversificati di gruppi cristiani in un’epoca nella quale religione e politica erano fuse e confuse. Ancora oggi, a differenza di quanto avviene nei paesi d’afferenza cristiana, possiamo ravvisare questa indistinzione di piani in quelle comunità islamiche dove non si distingue la legge di Allah dalla legge civile. Si era in un’epoca dove si credeva in una e una sola verità, ritenendo coerentemente tutto il resto errore o eresia e, inoltre, considerando quest’ultima come pericolo da estirpare. Era lontana l’epoca nostra nella quale le ragioni del dialogo prevalgono su quelle della differenziazione considerata prodroma dello scontro. La rapidissima diffusione del dominio degli arabi e la conseguente affermazione della loro religione furono facilitate dall’insofferenza di numerosissime popolazioni del vicino oriente e dell’Africa mediterranea verso il potere bizantino il quale imponeva la sua ortodossia con la forza della coercizione e vessava economicamente i sudditi di terre remote da Costantinopoli. Le dispute teologiche ‘bizantine’ sembravano astruse, e così una cristologia che riduceva Gesù a uomo profeta e una teologia enormemente semplificata, quale quella islamica, apparve a molti una prospettiva attraente. Naturalmente, in sèguito, le scimitarre affilate fecero anche la loro parte presso i dhimmi, cristiani sottomessi pian piano e indotti ad abbracciare la fede di Maometto. Un grande storico belga, Henri Pirenne, ha sostenuto, non senza una parte di verità, che la vera cesura tra il mondo antico e quello medievale sia costituita non dalla caduta dell’impero romano (da altri storici considerata ‘silenziosa’) bensì dall’espansione dell’islàm in un Mediterraneo che allora vide mutare profondamente il suo volto.

 

  1. Noi crediamo che il messaggio del vangelo sia la risposta a qualsiasi problema di ordine spirituale e morale e questa risposta è costituita del messaggio e dall’opera di Gesù. Suggerimenti su come condividere questo messaggio ad amici e conoscenti musulmani?Se vogliamo prender sul serio il vangelo dobbiamo credere che Gesù sia, lui stesso, la via, la verità e la vita; affermazione da sottoscrivere con difficoltà in una società, quale la nostra, dove si declinano al plurale questi termini, con particolare riferimento al termine ‘verità’, della quale si ritiene che ognuno ne possegga una sua fettina condita con la salsa propria. Bisogna prima di tutto allontanarsi dall’atteggiamento che chiamerei da “battaglia di Lepanto”, cioè da un’ostilità preconcetta, e ciò in base, prima ancora che del precetto evangelico di amore per il prossimo, anche in forza dell’ovvia considerazione del fatto che persone per bene e mascalzoni sono distribuiti e assortiti in ogni etnia, popolo e religione. Noi ‘occidentali’ abbiamo la grande responsabilità di confrontarci con il mondo islamico, ma ogni serio confronto si basa su una chiarezza identitaria dei dialoganti. Ora una società, quale la nostra, a metà strada tra tradizione cristiana e ateismo, secolarizzazione e relativismo rischia di non avere un volto chiaro con il quale guardare con interesse e spirito costruttivo all’altro il quale, invece, la propria identità la conserva. Avere autoconsapevolezza non significa armarsi contro l’altro; tutt’altro: significa disporsi ad ascoltare, ad imparare e crescere culturalmente e spiritualmente. Il Corano andrebbe letto con attenzione al suo contesto storico, proprio come noi siamo soliti fare con la Bibbia. Questo metodo, lo si chiami “storico critico” o “storico grammaticale”, è per noi il frutto di secoli di riflessione e d’indagine razionale così come di esercizio di fede. La condivisione di questo metodo potrebbe costituire un antidoto a perniciosi fondamentalismi. Dal canto mio tenderei a valorizzare il rapporto di filiazione tra le due fedi ma, si tenga ben presente, questo che per noi è un atteggiamento di fratellanza e imparentamento suona addirittura blasfemo per i nostri amici islamici i quali non tollerano che si neghi la provenienza delle rivelazioni affidate a Maometto direttamente da Dio e mai per tradizione recepita. Insomma, mentre noi cristiani non abbiamo difficoltà ad ammettere l’ebraicità di Gesù e il cordone ombelicale che lega la sua predicazione e la sua chiesa al precedente giudaismo, un musulmano rigoroso mai avrebbe tal atteggiamento in merito al rapporto tra la sua fede e quella cristiana. Mi si consentirà un pensiero finale: noi che siamo chiamati a proclamare il vangelo sappiamo che il nostro compito non è quello di convertire (compito che spetta a Dio solo) bensì quello di testimoniare. E il miglior condimento della testimonianza è sempre l’amore. Valga ciò verso ognuno che dialoghi con noi, musulmano o no.

Giancarlo Rinaldi ha insegnato Storia del Cristianesimo presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Si è interessato in particolare al rapporto tra cristianesimo e paganesimo con particolare attenzione alla percezione del secondo nei confronti della diffusione della fede cristiana. Per le Edizioni GBU ha pubblicato Cristianesimi nell’antichità (2008 e ristampe).

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Il quarto congresso di Losanna si tiene nel centro congressi di Incheon, la città che ha l’aeroporto di Seul. Se uno passeggia per la città si trova proiettato nel futuro. Non si troveranno monumenti storici, ma palazzi ultramoderni (io stesso ho dormito in un B&B al 28° piano), vialoni adatti per far scorrere un traffico sostenuto, molti parchi ed una grande pulizia ed ordine. La Corea del Sud e, in particolare, la zona attorno a Seul, è un paese ricco. Ma il motivo per cui il Congresso è stato fatto in questo luogo ce lo spiega Alister McGrath nell’ultimo capitolo in La Riforma protestante e le sue idee sovversive in cui, parlando del protestantesimo del XX secolo spiega che il caso coreano rappresenta uno tra quelli in più rapida crescita con influenze determinanti anche per la società in cui si vive.

Per raccontare questo progresso, le chiese coreane l’altra sera (giovedì) hanno presentato uno spettacolo teatrale (con musiche, parte recitate e uso della multimedialità) intitolato Twelve Stones (dodici pietre). Le 12 pietre rappresentano i momenti più importanti dell’evangelismo coreano. 

Si è spiegato come, a fine XIX secolo, dopo vari tentativi e dopo aver gà tradotto il testo biblico in precedenza nella lingua coreana, il cristianesimo fosse arrivato grazie soprattutto alla presenza di missionari presbiteriani e metodisti che, oltre a fondare chiese, avevano anche iniziato a costruire scuole, aprendo, ad esempio, la prima istituzione educativa femminile ad inizio XX secolo. Il movimento cristiano era presente, tollerato ed anche in crescita. Risulta interessante dire che la maggiore crescita si ebbe proprio a Pyongyang, tanto che si parla proprio di risveglio riferito all’attuale capitale della Corea del Nord. 

Nonostante la rapida crescita, l’invasione giapponese (che iniziò negli anni venti) creò una crisi all’interno del protestantesimo coreano che ricorda alcune situazioni che si crearono nell’impero romano nel cristianesimo. I Giapponesi che ancora allora vedevano con una certa ostilità il cristianesimo, continuarono a permettere il culto evangelico, permisero ad alcune scuole di rimanere aperte, ma obbligarono i pastori ed i credenti a fare un giuramento scintoista. La maggior parte di essi obbedirono, ma alcuni resistettero essendo poi di fatto perseguitati.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nonostante la conflittualità tra coloro che avevano giurato e quelli rimasti fedeli, il cristianesimo riprese a crescere, questa volta nella parte Sud. Il Paese fu poi ferito dal conflitto in Corea tra il 1959 ed il 1953. Mentre il regime paternalista/comunista vietò il cristianesimo nella Corea del Nord, a partire dal 1953 ci fu un vero e proprio risveglio con una crescita costante del cristianesimo che portò i credenti, negli anni 1990 ad essere il primo gruppo religioso, superando i Confuciani (retaggio del vecchio regno coreano) e Buddisti (insediati da più tempo sul territorio). La crescita del cristianesimo nella Corea del Sud ha aiutato anche il processo di democratizzazione e di sviluppo economico che ha reso questo paese uno dei più ricchi dell’Est asiatico, partendo da una situazione di povertà dopo la guerra.

Le ferite rimangono aperte e proprio negli anni 1990, dopo un’apparente indifferenza, tornano ad esserci rapporti con la Corea del Nord, colpita duramente dalla siccità ed in cui la carestia stava facendo morire la gente di fame. La Corea del Nord pertanto fu costretta ad accettare gli aiuti dei Paesi più ricchi. Dal punto di vista della Chiesa questo significa l’apertura di un vulnus, ma anche la constatazione che a Nord c’erano dei credenti perseguitati che, ancora oggi, si riuniscono segretamente e costituiscono la cosiddetta “chiesa sotterranea”.

Lo spettacolo (fatto anche di ottimo materiale documentario) non ha nascosto la crisi della chiesa coreana che è iniziata già agli inizi del XXI secolo per alcuni scandali legati a vicende di pastori e, infine, dall’epidemia di covid che, dopo la chiusura dei locali, ha visto drasticamente ridurre la frequenze dei locali di culto del 30%. Proprio per questa è ora di raccogliere nuove sfide per il tempo presente ed alcune di queste sfide che ha raccolto la chiesa coreana (come quella dell’evangelizzazione attraverso digitale) sono diventate anche quelle del Movimento di Losanna.

Si è trattato, quindi di un viaggio nella storia fatto con uno spettacolo di alta qualità che ha avuto anche la virtù di non nascondere quelli che sono stati i problemi che ha affrontato la chiesa coreana e non si sono neanche occultati quelli che sono gli attuali problemi che somigliano molto a quelli di qualsiasi realtà secolarizzata paragonabile a quelle del mondo occidentale. 

La chiesa coreana, quindi, può essere vista come un esempio di ciò che accade agli esseri umani quando annunciano il Vangelo con i loro limiti. Una storia esemplare, pertanto, sia per quelli che sono stati i suoi successi, sia per quelli che sono stati i suoi fallimenti. 

L’insegnamento che se ne può trarre è quello che la nostra storia va vista sempre con attenzione, non cercando solo di essere elogiativi, ma mostrando le nostre debolezze per guardare realmente avanti ed accettare le sfide del presente, rimettendo al centro della predicazione l’intero Vangelo.

Valerio Bernardi – DIRS GBU

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La giornata di mercoledì 25 al Congresso di Seul è stata dedicata al problema della chiesa perseguitata. Se è vero, come dice il Report, il cristianesimo è la religione di quasi un terzo della popolazione mondiale (con  le dovute differenze), è vero anche che si tratta della religione che ha più problemi nell’esplicitare il proprio annuncio, in quanto per le sue caratteristiche ha il bisogno che la Parola possa essere (per usare un’espressione di Lutero) “scatenata”. La lettura di Atti 11 e la meditazione seguente è servita per partire dall’esempio apostolico su come affrontare la persecuzione attraverso la preghiera ed il rinforzo dello Spirito Santo. 

Dopo la riflessione che è stata fatta nei tavoli a proposito delle situazioni di persecuzione nel mondo, abbiamo potuto ascoltare, nel mattino tre testimonianze, molto toccanti, di quello che, talvolta, accade ai cristiani nel mondo.

Babu Verghese dell’Uttar Pradesh (una delle regioni dove è maggiore la presenza cristiana in India) ha raccontato come, soprattutto nell’ultimo periodo, dal momento in cui i nazionalisti induisti hanno vinto le elezioni, la situazione nella sua regione è di gran lunga peggiorata e la popolazione induista ha iniziato a perseguitare la Chiesa che trova poi il governo (che, secondo la Costituzione indiana, dovrebbe difendere la libertà religiosa) indifferente o privo di interesse nell’intervenire. Si tratta, quindi, di una persecuzione da cui, in teoria la legge dovrebbe tutelare, e che, di fatto non viene rispettata. Nell’attuale mondo succede: l’insorgenza dei fondamentalismi di tutte le religioni rischia di non rendere valido quel principio di tolleranza che proprio i credenti nel corso dei secoli hanno costruito. Non bisogna infatti dimenticare che la libertà di religione è la prima delle libertà civili ad essere stata garantita e, prevista dagli umanisti (in primis Erasmo), era stata chiesta a gran voce dai calvinisti francesi, applicata dai Puritani inglesi ed ha avuto la sua massima espressione nelle idee antirepressive di Roger Williams. La costituzione indiana è stata scritta da un laico ispirandosi alla tradizione anglo-sassone ed il giornalista dell’Uttar Pradesh ha finito il suo discorso con la Bibbia sul leggio e la costituzione indiana in mano.

Il secondo discorso veniva da un pastore anglicano cinese che ha spiegato quali siano le difficoltà presenti in Cina, dove, a fronte di una crescita notevole del cristianesimo, i margini di manovra da parte dei credenti sono pochissimi. La libertà di espressione in Cina è vietata e le Chiese dovrebbero essere autorizzate per il loro ministerio ed essere sotto il controllo dello stesso Stato. Esiste però il fenomeno della Chiesa non ufficiale che è in forte crescita. Ogni anno diversi sono gli arresti. Si è ricordato nel discorso che, però, qualche passo avanti è stato fatto in quanto, al contrario di quanto successo a Città del Capo, dove a ben 200 delegati cinesi alla fine fu negato il permesso di viaggio, qui in Corea abbiamo ben 100 delegati autorizzati che provengono dalla Cina. Si tratta sicuramente di un passo avanti per un Paese in cui la repressione religiosa, da parte del governo centrale, è ancora piuttosto forte e gli arresti per motivi di fede rimangono frequenti. La relazione si è conclusa con la speranza che il prossimo Congresso di Losanna che si farà in Asia possa essere fatto in Cina.

La mattina (le testimonianze della mattina) si è conclusa con quella più toccante, proveniente dall’Iran. Il pastore Farshid Fathi ha esordito ricordando che dopo aver partecipato a Cape Town il regime teocratico iraniano lo ha arrestato per cinque anni e dicendo che la sua speranza sia quella che tutto ciò non accada più. Farshid ha raccontato che, nonostante la persecuzione, il cristianesimo iraniano è uno di quelli che ha la più forte crescita. La persecuzione qui è spietata ed il regime iraniano, oltre ad addurre motivi politici (come succede in Cina) ha anche motivazioni religiose, trattandosi di una repubblica islamica emergono quelle di tipo religioso (in questo Stato non si può non essere islamici). Si tratta probabilmente di uno modi più duri di subire la repressione. L’intervento sull’Iran si è concluso con la testimonianza di Sara Akhavan che ha dimostrato anche che convertirsi al cristianesimo può anche essere, in paesi come quelli di impronta islamico fondamentalista una forma di emancipazione femminile.

Le testimonianze pomeridiane sulla persecuzione (a dimostrazione di quanti casi ci possano essere) hanno fatto emergere altre tipologie, come la repressione del cristianesimo in alcune zone dell’Africa fatta da gruppi violenti di terroristi ed in cui tutto ciò può accadere per una debole presenza dello Stato, per concludersi con la menzione della situazione della Nord Corea: infatti, a pochi chilometri dal luogo in cui sto scrivendo queste righe, essere cristiano non è possibile a causa di uno dei regimi più autocratici ed autoritari ed in cui il culto della persona è quasi diventato una religione. In Corea del Nord i cristiani ci sono e vivono una vita “sotterranea” per evitare di venire inviati nei campi di rieducazione.

Come si può constatare la persecuzione del cristianesimo oggi è ripresa con vigore e investe Paesi di almeno tre continenti. Se la forza ed i messaggi delle testimonianze ascoltate dà speranza e mostra come le porte dell’Ade non possono sconfiggere la predicazione del Vangelo, allo stesso tempo, ci si chiede come poter aiutare questi fratelli che sono in difficoltà, oltre che con le preghiere (ausilio essenziale in queste circostanze), il modello missionale prevede anche l’impegno in azioni concrete che cercano di fermare queste situazioni. Se è vero che i credenti hanno avuto le loro colpe nella storia (l’impegno di Città del Capo lo confessava), oggi il cristianesimo evangelico proprio sulla base del suo mandato sa che il suo volto è quello dell’Amore e dell’apertura verso gli altri. Se la persecuzione è una cosa annunciata e sarà sofferta, il nostro compito è anche quello di cercare soluzioni affinché le afflizioni passino anche qui sulla terra e non soltanto in futuro escatologico.

Valerio Bernardi – DIRS GBU

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Il quarto congresso di Losanna, nelle sue prime due giornate, è già entrato nel vivo della discussione sulla direzione in cui deve andare la missione nel XXI secolo, a cinquant’anni dalla prima conferenza voluta da John Stott e Billy Graham. 

Oltre al Global Mission Report è stato pubblicato il primo giorno del congresso lo Statement of Seoul, il testo teologico guida per  i prossimi anni. Sulla base di una continuazione di una tradizione, lo Statement è di fatto un aggiornamento dell’impegno di Città del Capo, che approfondisce sette diverse tematiche ritenute emergenti oggi dalla commissione teologica che lo ha preparato. Di questi documenti parleremo nelle prossime settimane su questo sito. Chi vuole consultare questo nuovo documento lo può fare a questo link: https://ift.tt/LctG7hw.

Nel pomeriggio di ieri, che possiamo senza dubbio dire sia stato il momento centrale della giornata, tre relatori hanno parlato di tre delle emergenze esposte nel nuovo documento: la cura del creato, la giustizia e la question della sessualità e dell’identità di genere. Dopo una presentazione generale delle problematiche fatta da Chris Wright, la prima ad esporre il come ci si deve impegnare è stata la scienziata americana Katherine Hayhoe che, partendo dal dato biblico della creazione, ha sottolineato due questioni importanti: la prima che la Natura come creazione di Dio non avrebbe bisogno degli uomini, mentre noi abbiamo bisogno di essa per vivere. Pertanto se la Natura è in sofferenza anche gli umani lo sono perché senza il mondo che funziona anche l’umanità è in pericolo. La scienziata americana ha anche affermato che il problema del cambiamento è reale e che i credenti devono impegnarsi (anche in maniera individuale) a migliorare la nostra vita sulla terra. La scelta è stata quella di usare weird climate anziché climate change, per sottolineare la malvagità del cambiamento ed i danni irreparabili che sta portando al mondo oiderno. 

Il secondo argomento della serata è stato affrontato da Ruth Padilla ed è stato quello della giustizia. La giustizia, la sua ricerca, a prescindere dalla posizione politica che uno ha, deve essere prioritaria per la chiesa che può annunciare la Parola in una missione integrale e olistica come quella del Movimento di Losanna solo se ascolta le grida dell’umanità sulle innumerevoli ingiustizie sociali presenti nella società. Gli esempi citati dalla Padilla sono stati tanti e sono passati attraverso la visione critica della povertà, i conflitti (Ucraina e conflitto israelo/palestinese), questione femminile, sfrutamento. Tutti questi aspetti sono alla disperata ricerca di giustizia che deve essere contemperata ed accompagnare ogni sforzo missionario. In un approccio missionale (il termine che è stato coniato dopo Città del Capo) non è possibile che la missione della/e Chiesa/e non sia accompagnata da una ricerca della giustizia come, tra l’altro, viene trasmessa soprattutto dalla letteratura profetica dell’Antico Testamento e dagli stessi insegnamenti di Gesù.

Ha chiuso gli interventi della serata Robert Vaughn, già ospite del Convegno GBU qualche anno fa, pastore di una comunità ad Oxford che ha parlato della sessualità. Vaughn ha spiegato come il testo biblico sia uno spazio in cui è chiaro cosa sia il genere, è chiaro che la sessualità sia fatta per il matrimonio ed è chiaro che i rapporti con persone dello stesso sesso siano proibiti. Questo non significa affatto che l’uomo nella sua fragilità non possa provare attrazione per persone dello stesso sesso. La Chiesa deve accogliere con l’Amore queste persone e dare un corretto insegnamento alle loro scelte. Lo stesso Vaughn ha tendenze omosessuali e la sua scelta è stata quella dell’astensione dal sesso, scelta possibile alla luce degli insegnamenti bibici.

Il profilo che è venuto fuori da questa prima serata è quello di un evangelismo piuttosto aperto alle problematiche attuali che si confronta con il mondo contemporaneo senza aver paura di quelli che sono le richieste attuali dell’umanità. Il Movimento di Losanna ha, come già accaduto a Città del Capo, di avere una notevole capacità di lettura del mondo contemporaneo e avere anche la capacità di strutturare un pensiero su temi caldi, basandosi sulle Scritture, appoggiandosi su di esse e comprendendo che la proclamazione del Vangelo passa anche attraverso l’incontro/confronto con le domande dell’umanità.

Qualcuno ha rimproverato, durante la conferenza stampa di oggi, il Congresso di prendere delle posizioni “politiche”. I responsabili hanno ribadito che Losanna non prende posizioni politiche nel senso che non si schiera con nessuna particolare fazione. L’atteggiamento, a nostro parere, è quello giusto: quello di un annuncio della Parola che tenga conto delle “grida di dolore” che vengono dalla società e che cerchi di rispondere ad esse, senza per questo schierarsi con una particolare fazione. Si tratta di politica nel senso alto del termine, di interesse per la società in cui si vive e dei bisogni di essa. Bisogna dire che dalla serata ci è parso di scorgere un evangelismo che svolge la sua funzione missionaria e profetica e che sia progressivo, ovvero che tenga conto del mondo in cui si vive, senza per questo guardare indietro ad una “tradizione” che non ha nulla a che fare con le esigenze del dettato biblico. Non si tratta infatti di guardare indietro come l’Angelus Novus di Kandinsky, ma di guardare avanti per il progresso dell’annuncio della parola salvifica di Cristo. I documenti sino ad ora prodotti ed i discorsi presentati, pur presentando un cristianesimo che attraversa un periodo critico, cercano di trovare delle soluzioni e di affrontare i problemi nella maniera più corretta da un punto di vista biblico-teologico.

                                                                                                                        Valerio Bernardi – DIRS GBU

L’articolo Le tre emergenze della missione globale: cura del creato, giustizia e identità di genere. Verso un evangelismo progressivo? proviene da DiRS GBU.

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(La Vedetta cristiana, 1–15 Ottobre 1870)

[Nel mentre il mondo protestante esultava per la Breccia di Porta Pia – 20 Settembre 1870 –, immaginando grandi conquiste per il protestantesimo e la caduta del Papa, si levava una voce di precauzione, che invitava tutti a fare attenzione]

Roma è libera: essa è aperta a tutti gli uomini e a tutte le cose, ai credenti ed agli atei, al bene e al male, alla verità e all’errore, alla luce ed alle tenebre, alla vita ed alla morte. È aperta la gran Babilonia onde gli uomini facciano colà prova del loro senno o della loro stoltizia; edifichino cose buone ovvero travolgano in rovina ogni cosa cara e diletta alla patria e all’avvenire eterno dell’anima. È aperta la Roma dell’apostolo Paolo, acciocché i servitori del Signore facciano di nuovo echeggiare nel cuore di Roma i soavi concenti dell’Evangelo della Grazia di Dio.

Fratelli, con quale spirito andrete voi a Roma per annunziare l’evangelo? – Non siate precipitosi nel decidervi, non correte all’impazzata, non siate animati dal vano proposito di essere i primi a portare l’evangelo ai Romani: – ma raccoglietevi piuttosto in voi stessi, mettetevi alla presenza del Signore, e investigate il carattere, i sentimenti e le affezioni dello spirito che è in voi. Voi lo sapete: da qualche tempo si è buttata via l’aurea semplicità cristiana per parere alcunché davanti agli uomini; ma questi scandalizzati dalla boria e dalla vanità, che par persona si sono ritratti da Cristo!

Voi lo sapete, da qualche tempo i vincoli di pace e di carità fraterna sono stati rigettati, per unire invece i Cristiani con catene umane di forme e di parole, con catene di carta e di carne! Voi lo sapete, da qualche tempo non è più lo Spirito di Dio, Spirito di pace e di grazia che anima alcuni evangelizzatori! Voi lo sapete: da qualche tempo non è Gesù Cristo ed esso crocifisso che si predica, ma la controversia clamorosa e beffarda i principi, le divisioni! Voi lo sapete: da qualche tempo, non è più la fede, potenza di Dio, che si annunzia ma la Fede e l’uomo, la fede e i principi, la Fede e la nostra Chiesa, e questa confusione sgomenta e fuga le anime da Cristo! Umiliamoci dunque sotto la potente mano di Dio, deponiamo ogni fascio ed ogni risentimento, le gelosie, le risse e le maldicenze; torniamo tutti alla primiera semplicità, torniamo al primiero amore, ricacciamo nell’ombra e principi e forme umane e ripieni di Spirito Santo e di fede, ognun di noi, che si sente chiamato a quell’opera, innalzi il grido di Paolo: «Io son presto ad evangelizzare eziandio a voi che siete a Roma. Perciocché io non mi vergogno dell’Evangelo di Cristo conciossiaché esso sia la Potenza di Dio in salute ad ogni credente: al Giudeo imprima poi anche al Greco.

Perciocché la giustizia di Dio è rivelata in esso di fede in fede secondo che egli è scritto: E il giusto vivrà per fede» (Rom. I, 15-17).

Ma se alcuno andrà a Roma per predicare la sua chiesa, i suoi principi, le sue forme, e cambierà la cattedra della Verità in una cattedra di maldicenze contro il Papa, i preti, i frati ec. la provincia romana diventerà campo di contenzione clamorosa come avvenne nell’Italia centrale e nella meridionale: – dopo un breve rumore gli uditori spariranno come pula sospinta dal vento, e gli evangelizzatori che sciupano e disertano il ricco campo della Grazia dovranno uno stretto conto del loro operato carnale davanti al tribunale di Cristo.

Scegliete!

E sappiate che con voi andranno a Roma coloro che predicano Cristo e le opere, Ia giustificazione per fede e per le opere e storcendo il senso del Vangelo rinverziranno la vecchia dottrina romana che è poggiata sulla fede carnale e le opere della carne.  Operai del Signore, rammentatevi che sta scritto: «Voi, siete salvati pet la grazia mediante la fede; e ciò non è da voi, è il dono ci Dio. Non per opere, acciocché niuno si glori» (Ef, II 8, 9).

Vi andranno di quelli che annunziano Cristo e la salvazione universale. Prendete guardia di non cadere in quest’arminianismo che rende nulla la predicazione della fede, nulla l’opera di Cristo. A chi vi parla di salute universale rispondete con le parole di Gesù: «Chi ode la mia voce e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna, e non viene in giudicio» «Chi non crede al Figliuolo, non vedrà la vita, ma l’ira di Dio dimora sopra lui» (Giov. III. 36).

Vi andranno di quelli che non credono che Gesù è Dio manifestato in carne, e copriranno il

desolante ateismo del loro cuore con parole vaporose, acciocché i peccatori non abbiano vita, – Ia Vita eterna – la Vita di Gesù ch’è Dio; e così restandone privi, restano altresì ne’ loro peccati, continuando a camminar nelle tenebre, e a vivere la vita diabolica del Serpente! Combattete quest’eresia rammentandovi che nel principio il, Verbo era, e il Verbo era appo Dio, e il Verbo era Dio … E il Verbo è stato fatto carne (Gio. I, 1–14).

Vi andranno coloro che non credono alla punizione eterna, e conseguentemente, annullano l’opera dell’espiazione, espongono al ludibrio di Satana il giudicio di Dio, disprezzano il sangue del patto eterno! Rammentatevi che la Parola parla del fuoco eterno (Matt XVIII, 8) delle pene eterne (ibid. XXV, 46), del fuoco inestinguibile (Mar IX, 43) dell’eterno giudicio (Ibid. III, 29), della pena e perdizione eterna (2 Tess. I, 9), di legami eterni (Iuda 6), e combattete l’eresia con la parola della Vita.

Che il Signore vi renda dunque savi e prudenti, vi fortifichi nella grazia acciocché sappiate soffrire, come buoni guerrieri di Gesù Cristo. Rammentatevi che: niuno che va alla guerra s’impaccia nelle faccende della vita, acciocché piaccia a colui che l’ha, soldato. Rammentatevi di tagliar dirittamente la parola della verità; di schifare le profane vanità di voci (2 Tim. II); e specialmente rammentatevi che tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati (ibid. III, 12).

 

(Teodorico Pietrocola Rossetti ?)

 

Aveamo di già composto il, precedente articolo quando ci giunse la lettera seguente che di

gran cuore pubblichiamo. Essa segna una bella data nella Storia della Chiesa Cristiana in ltalia:

addi 30 settembre l870, per la prima volta, alcuni convertiti italiani si riunirono a ROMA per adorare il Signore in Ispirito e Verità.

 

DOPO TANTI SECOLI

(Mantova 5 ottobre 1870)

L’anfiteatro di Flavio che fu infiammato col sudore e col sangue di tanti poveri schiavi e martiri cristiani, che ha servito di teatro a tante scene del più orribile e barbaro strazio de’ medesimi, fatto dalle belve, davanti agli ammolliti ma feroci idolatri romani, «dopo tanti secoli» è stato testimonio d’un fatto che merita d’esser registrato nella storia delle conquiste della verità sull’errore, «dell’adorazione di Dio in ispirito» (Gioa, w, 2O a 24).
Un fratello che fu qui a Mantova per qualche tempo, mi scrive da Roma. in data delli 30 settembre: «A riguardo dell’Evangelo le dirò che, Dommica p.p. ci siamo raunati in sei o sette di noi nel grande Anfiteatro di Flavio (Colosseo), e là abbiamo passato circa due ore nella lettura della Parola di Dio, in preghiere, orazioni e ringraziamenti al Signore pe’ grandi benefici che Egli si compiace impartirci, e così dopo tanti secoli, anche qui, in questa grande Babilonia abbiamo potuto per la prima volta, Domenica scorsa, innalzare le nostre preci all’Iddio vivente, in ispirito e verità…., ne sia dunque lodato e ringraziato Iddio, di questo grande ed impareggiabile benefizio!

Questo fatto, nella sua semplicità, per la circostanza in cui succede, io lo credo fecondo di profonde meditazioni, di molti ammaestramenti e di molto conforto.

È un conforto pe’ cristiani il vedere che, quantunque gli uomini si servano delle armi carnali, pur tuttavolta trionfarono su Roma i soli principi dell’Evangelo. Poiché, possiamo dire che quelle parole: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare» ricevettero dai Romani, a loro insaputa; il più splendido adempimento che mai siasi veduto. Ebbene, poco prima, quei sei o sette fratelli nel Colosseo avevano di già eseguito il compimento della frase del Signore Gesù, «rendendo a Dio ciò che è di Dio» (Matteo XXII, 21). Se dunque sono i principi dell’Evangelo che trionfarono su Roma, speriamo che saranno ancora gli stessi principi che trionferanno di Roma, in Roma.

(Carlo Zanini)

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L’articolo Protetto: Daniel Bourdanné (1959–2024) Lo studioso dei millepiedi, diventato leader di IFES, che amava i libri cristiani. proviene da DiRS GBU.

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Nel mentre è in corso negli Stati Uniti la Campagna per le presidenziali di Novembre, con la polarizzazione che tutto il mondo conosce, un gruppo di intellettuali evangelici ha elaborato questa professione di fede alla quale stanno aggiungendo tantissimi altri intellettuali, sempre di area evangelica. Tra loro spiccano i nomi di Ruddell Moore, Richard Mouw, Nichoals Wolterstorff e tanti altri (la lista è on line e consultabile). La traduzione è stata autorizzata.

La professione di  fede si trova a questo indirizzo: https://www.evangelicalconfession2024.com/

 

Il vangelo ci convince di queste cose

In questo frangente storico segnato da conflitti e divisioni politiche, vogliamo far conoscere l nostre, seguenti convinzioni cristiane:

Primo: la nostra totale fiducia è posta unicamente in Gesù Cristo

Affermiamo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e l’unico capo della Chiesa (Col 1:18). Nessuna ideologia politica o autorità terrena può rivendicare l’autorità che appartiene a Cristo (Fil 2:9–11). Ribadiamo di attenerci al suo vangelo che si distingue da ogni agenda faziosa. È acclarato che Dio non condivide la sua gloria con qualcun altro (Is 42:8). Il nostro culto si rivolge solo a lui (Es 20:3–4) poiché la nostra speranza più profonda non si appunta su qualche partito, leader, movimento o su qualche nazione ma sulla promessa del ritorno di Cristo quando egli rinnoverà il mondo e regnerà su tutte le cose (1 Cor 15:24–28).

Respingiamo il falso insegnamento secondo il quale qualcun altro, che non sia Gesù  Cristo, sia stato unto da Dio come nostro Salvatore  e che la lealtà cristiana debba essere indirizzata verso qualche partito politico. Respingiamo qualsiasi messaggio che promuove la devozione a un leader umano o che tenta di adattare il culto a una forma di partigianeria.

 

Secondo: ci facciamo guidare dall’amore e non dalla paura

Affermiamo che la potenza salvifica rivelata in Gesù sia motivata dal suo amore per il mondo piuttosto che dall’ira (Gv 3:16). Poiché Dio ha profuso il suo amore su di noi, possiamo amare gli altri (1 Gv 4:19). Riconosciamo che questo mondo è pieno di ingiustizia e di sofferenza, ma non siamo intimoriti poiché Gesù Cristo ci ha promesso che non ci abbandonerà mai (Gv 16:33). A differenza delle false sicurezze promesse dall’idolatria politica e dai suoi araldi, l’amore di Cristo caccia via da ogni paura (1 Gv 4:18). Per questo, non ricorriamo alla paura, alla rabbia o al terrore quando ci impegniamo nella nostra missione; al contrario, seguiamo la via più eccellente di Gesù che è quella dell’amore (1 Cor 12:31––13:13).

Respingiamo lo strumento della paura e il ricorso ai pericoli ritenendo tutto ciò una forma illegittima di santa motivazione e ripudiamo l’uso della violenza per il conseguimento di fini politici, considerandola incongruente con la via di Cristo.

 

Terzo: ci sottomettiamo alla verità della Scrittura

Sosteniamo che la Bibbia sia l’ispirata Parola di Dio, autorevole in materia di fede e di condotta (2 Tm 3:16–17). Ci impegniamo a interpretare e ad applicare la Scrittura fedelmente, guidati dallo Spirito Santo per l’edificazione del popolo di Cristo e la benedizione del suo mondo (Gv 16:3). Crediamo che ogni autentica parola profetica debba allinearsi all’insegnamento della Scrittura e al carattere di Gesù (1 Gv 4:1–3). Parallelamente, riteniamo che mentire sugli altri, incluso gli oppositori politici, è un peccato (Es 20:16). Per questo motivo ci impegniamo a esprimerci con verità e amore (Ef 4:15), sapendo che l’inganno disonora Dio e nuoce alla reputazione della Chiesa.

Respingiamo l’uso sbagliato della Scrittura per sanzionare una singola agenda politica, provocando odio o seminando dissensi sociali, mentre crediamo che usare il nome di Dio per promuovere la disinformazione o la menzogna al fine di ottenere un guadagno politico o personale equivalga a usare invano il nome di Dio (Es 20:7).

 

 Quarto: crediamo che il vangelo sani e possa sanare le divisioni presenti nel mondo

Affermiamo l’unità di tutti i credenti in Gesù Cristo (Gal 3:28) e che per mezzo del suo sacrificio sulla croce, egli ha rimosso le barriere che ci separavano (Ef 2:14–18), facendo si che gente di ogni nazione, tribù, popolo e lingua costituissero una nuova famiglia (Ap 7:9). Siamo chiamati a essere operatori di pace (Mt 5:9) mentre l’unità controculturale della chiesa deve essere un segno per il mondo dell’amore e della potenza di Dio (Gv 13:35; 17:20–21).

Respingiamo ogni tentativo di dividere la Chiesa, che è il Corpo di Cristo, con barriere e confini di parte, etnici o di nazione mentre consideriamo ogni messaggio, che ritiene essere un desiderio di Dio la perpetua segregazione dell’umana famiglia sulla base di razza, cultura o etnia, non sia altro che un messaggio contrario al vangelo.

 

Quinto: ci atteniamo alla missione profetica della chiesa

Sosteniamo che il regno di Cristo non sia di questo mondo (Gv 18:36) e per questo, necessariamente, la Chiesa sia separata da ogni potere politico terreno, di modo che possa parlare profeticamente a tutta la gente, a tutta la società e alle autorità. Alla Chiesa è stata affidata la divina missione della riconciliazione (2 Cor 5:18–21). In primo luogo, invitiamo chiunque a essere riconciliato con Dio mediante la proclamazione del vangelo, nel mentre insegniamo ovunque e a tutti di seguire la via di Gesù (Mt 28:19–20). In secondo luogo, cerchiamo di riconciliare le persone fra di loro, affrontando i temi della giustizia, dell’uguaglianza e della pace (Am 5:24). Svolgiamo questo compito amando il nostro prossimo (Mc 12:31), e impegnandoci pubblicamente con umiltà e integrità, avendo di mira il bene comune così come esso è definito dalla nostra fede in Cristo (Rom 12:18).

Rigettiamo sia l’invito a che la Chiesa si tenga in disparte nei confronti delle problematiche sociali o per paura della contaminazione politica, così come respingiamo qualsiasi tentativo di distorcere la Chiesa rendendola un mero strumento del potere politico o sociale.

 

Sesto: consideriamo ogni persona fatta all’immagine di Dio

Sosteniamo che ogni persona porta l’immagine di Dio e possiede un’intrinseca e infinita dignità (Gen 1:27). Gesù conferì dignità a coloro che la sua cultura svalutava e ci ha insegnato che il nostro amore, al pari di quello di Dio, deve estendersi ai nostri nemici (Mt 5:43–48). La nostra fede in Cristo, dunque, ci costringe ad agire con amore e misericordia verso tutti, dall’inizio della vita alla sua conclusione, e ad onorare chiunque quale portatore dell’immagine di Dio, indipendentemente dall’età, dalle sua capacità, dalla sua identità, convinzione politica o affiliazione (Gv 13:34–35). Ci impegniamo a schieraci in favore del valore di chiunque la nostra società ferisca o ignori.

Rigettiamo ogni pronunciamento che fa ricorso a una retorica disumanizzante che tenta di restringere il campo di chi è degno dell’amore di Dio o che impone limitazioni al comando di «amare il prossimo», dopo che Cristo ha rimosse tali limitazioni.

 

Settimo: i leader saggi li riconosciamo dal loro carattere morale

Riteniamo che il carattere dei leader, sia politici sia spirituali, sia una cosa che conti. Nella Chiesa, seguiamo come leader coloro che mostrano un’evidenza del frutto dello Spirito – amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo (Gal 5:22–23). Gesù ci ha messo in guardia contro i falsi insegnanti che vengono a noi come lupi vestiti da pecore (Mt 7:15). Voci del genere ci tenteranno con l’adulazione, con la cattiva dottrina e con messaggi che a noi fa piacere ascoltare (2 Tm 4:3). Essi servono i falsi idoli del potere, della ricchezza e della forza piuttosto che il vero Dio. Al di fuori della Chiesa prendiamo in considerazione i leader sulla base delle loro azioni e del frutto del loro carattere, non semplicemente sulla base delle loro promesse o del loro successo politico (Mt 7:15–20). Quando qualche leader sostiene di avere l’approvazione di Dio, si trovi egli nella Chiesa o nella politica, noi non vogliamo scambiare l’efficacia con la fedeltà, ma vogliamo discernere attentamente chi è veramente da Dio (1 Gv 4:1).

Respingiamo l’idea che il potere, la popolarità e l’efficacia politica di un leader sia una conferma del favore di Dio o che ai cristiani sia permesso di ignorare l’insegnamento di Cristo sul fatto che essi debbano guardarsi dal potere mondano.

 

Conclusione

Siamo unanimi nella nostra professione di fede in Gesù Cristo, determinati a sostenere la verità del vangelo nei confronti delle pressioni politiche e delle derive culturali. Ci impegniamo per essere una luce nel mondo (Mt 5:14–16) e dei fedeli testimoni della potenza dell’amore di Cristo che trasforma. Preghiamo affinché lo Spirito di Dio faccia rivivere la sua Chiesa e rafforzi il popolo di Dio affinché siano agenti della sua presenza e della sua benedizione, in un tempo così turbolento.

 

A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria,  al Dio unico, nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere prima di tutti i tempi, ora e per tutti i secoli. Amen (Gd 24–25)

 

 

 

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Prima parte: Vivere.

di Giacomo Carlo Di Gaetano

Questo è lo schema del titolo degli ultimi Convegni Studi GBU. L’anno scorso (il 16° Convegno, 2023) è stato dedicato all’ateismo: Vivere e confrontarsi con l’ateismo.
Quest’anno (il 17° Convegno, che si terrà dal 31 ottobre al 3 novembre nella storica sede del Grand Hotel Montesilvano) il tema sarà “Vivere e confrontarsi con l’Islam“.

 

È possibile dire qualcosa sui due verbi, vivere e confrontarsi? Che idea intendono veicolare del rapporto dei cristiani con gli universi rappresentati da questi come da altri “ismi” (p.es. Islam – Islamismo).

 

Cominciamo con VIVERE

È indubbio che questo verbo non si limita alla vita della mente, che pur sempre vita è (si dice mente viva, vivace, sveglia …). Guarda a un orizzonte più ampio, al “mondo della vita”, come lo definiva un filosofo e che richiama tutto ciò che è pre – che sta prima – anche dell’intelligenza e dei suoi prodotti (pre–teorico).

I cristiani devono porsi il problema di come vivere insieme a … Il che implica che con i nostri “prossimi” condividiamo tutto. Andiamo insieme in autobus, compriamo nello stesso scaffale, partecipiamo alle riunioni di condominio, abbiamo i figli nelle stesse scuole votiamo alle stesse elezioni (speriamo il prima possibile anche per chi non è “di sangue” italiano – che brutta espressione!).

Dire “Vivere e (confrontarsi) con l’ateismo” significa dire, molto semplicemente, che viviamo insieme, in mezzo, al fianco a donne e uomini in carne e ossa che si professano atei e che, nelle migliori espressioni di questo “ismo” (Bertrand Russell?) vivono, o cercano di farlo, come se Dio non ci fosse.

“Vivere e (confrontarsi) con l’Islam”, va da sé, significa vivere insieme ai musulmani, con tutto ciò che questo comporta in termini di contaminazioni geo–politiche e sociali (immigrazione, terrorismo, educazione, culture materiali, rapporti di genere etc.).

Se dicessimo, per domani, “vivere e confrontarsi con la tecnologia”? Si potrebbe giungere anche a dire, in extremis, vivere insieme, con e al fianco di robot (?).
Postumanesimo!

Il verbo, mi pare, non fa altro che richiamare la precauzione di Gesù rivolta a Dio in preghiera e a noi comunicataci come rivelazione, e secondo la quale pur non essendo del mondo, per un meccanismo teologico glorioso ma complesso (siamo cittadini del cielo), siamo tuttavia NEL mondo (Gv 17 ma anche 1 Cor 7).

C’è dunque una lealtà da esprimere “al mondo” per la quale dovremmo scoprire o riscoprire molti insegnamenti. È esclusa l’ipotesi di scappare dal mondo.

Si tratta forse di ri–scoprire il creato? Non semplicemente facendo i creazionisti e vincendo qualche dibattito su creazione ed evoluzione. Neanche costruendo un “ordine creazionale” schiacciato sulle dimensioni bio–fisiche senza tener conto che il creato è continuamente ricreato dall’azione dell’uomo. Che non c’è solo la natura ma anche la cultura!

O ancora, di intepretare al meglio il “già” sperimentato dai seguaci di Gesù Cristo a cui è stata data assicurazione che il “Regno di Dio” è dentro di voi e, dunque, sulla base di quella assicurazione anticipare, nella totalità dell’esistenza, questa presenza che un giorno (altra assicurazione) sarà onnicomprensiva?
Per esempio vivendo e manifestando il “frutto dello Spirito” (Galati)

Oppure si tratta dello sperimentare in pieno il “non ancora” della redenzione, il che significa fare esperienza dell’incompletezza, della mancanza … e della speranza (maranatha) rispetto a ciò che è stato anticipato duemila anni fa con l’arrivo del vero Re (il regno di Dio si è avvicinato).

E nello stesso tempo fare esperienza dell’umiltà che ci suggerisce di tenerci lontani dalle teologie trionfalistiche, dai valori cristiani che vorrebbero fare del mondo, come è adesso, appunto, un mondo “cristiano”, magari ricorrendo alla politica, dimenticando che no, non siamo giunti ancora a regnare (1 Cor).

Oggi in tema di “vivere con …” stiamo assistendo a un clamoroso rovesciamento epistemologico. La presenza dei cristiani nel mondo sembra non sia più da esprimere con l’espressione “vivere con …” ma, al contrario, pare sia culturalmente e politicamente opportuno, finalmente, riflettere su come gli “altri” devono vivere con i cristiani. Quanto meno in Occidente.

È una vera e propria rivoluzione copernicana che non va però dalla terra ferma al sole al centro con la terra che gli ruota intorno. Ma torna indietro, dal sole fermo alla terra al centro e il sole che gli gira intorno; dalla sfera alla terra piatta! Un mondo a rovescio?

C’è un sintomo evidente di questo rovesciamento per cui, sembra, non dobbiamo più essere noi a vivere con … ma piuttosto gli altri a vivere con noi.
Lo ritrovo in una bella espressione di Pietro (trovano strano), che si trova nella prima delle sue Lettere neotestamentarie:

1 Pietro 4:1 Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che cioè colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, 2 per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio. 3 Basta già il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie e nelle illecite pratiche idolatriche. 4 Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi.

Pietro esprime la preoccupazione, per chi ha seguito Gesù Cristo, per il “tempo che resta da vivere nella carne”. Il discepolo dovrebbe comprendere che, sperimentando egli la stessa “sofferenza” di Gesù Cristo, a causa della rinuncia al peccato, ha da dedicare quel tempo, che poi sarebbe il tempo della nostra vita, a fare la volontà di Dio piuttosto che seguire le passioni degli uomini. Dovrebbe sapere infatti che ha già dedicato molto tempo a “soddisfare la volontà dei pagani”, e qui giù un tipico elenco neotestamentario di vizi che descrivono la società del primo secolo, di “gente senza Dio” (pagani, NVR): immoralità, insane passioni, ubriachezze, orge, bisbocce, abominevole venerazione degli idoli (NTV).

Che si fa allora? Non correte più dietro ai medesimi eccessi dice Pietro ai discepoli. E questo genera, NEI PAGANI, un clima di stupore e di meraviglia che, di conseguenza, trovando strano il comportamento dei cristiani, al pari di quello di uno straniero, invece di accoglierli, oltre a stupirsi, parlano male proprio di loro, dei cristiani.

Il senso si gioca tutto su una comune appartenenza dei termini relativi all’ospitalità dello straniero, che è “strano” perché si muove in modo eterogeneo nei confronti dei costumi della gente del posto, ponendo capo a due possibilità: essere accolto o respinto. In entrambe le possibilità questo strano (nel nostro caso i cristiani), creano stupore, perplessità, meraviglia … e ostilità.

A questo punto dobbiamo sottolineare che coloro che si stupiscono (e inveiscono e protestano e parlano male) sono i pagani; ciò che trovano strano è la rinuncia da parte dei cristiani a correre insieme a loro agli stessi eccessi mentre al contrario si adoperano a fare la volontà di Dio. I pagani alzano la voce e protestano; in qualche caso lo hanno fatto anche appellandosi alle autorità, scandalizzati dal comportamento dei cristiani.
I cristiani fanno altro. Neanche rispondono. Nel caso, “risponderebbero” della speranza che è in loro (3:15), per quello sono sono esortati a essere sempre pronti.

 

Torniamo a noi, oggi: Chi trova strano Chi?

Certo, là dove è in ballo l’integrità della vita dei discepoli (non le ipocrisie dell’ideologia Dio, patria e famiglia), come per esempio nelle terre di persecuzione, i “pagani” continuano a dire male, e non solo. Ma cosa accade qui in Occidente? I cristiani ora vestono i panni dei pagani e sono intenti a vociare contro i loro eccessi, che ora sono ritenuti strani, creano stupore (vedi ultime Olimpiadi di Parigi: il caso delle Drag Queen e della pugile algerina). I pagani, dal conto loro, molte volte, non corrono insieme ai cristiani ai loro eccessi (fanatismo, arroganza, spirito di superiorità). Tutt’al più continano a fare i pagani!

 

Noi non ci poniamo più nell’ottica di “vivere con …” loro, i pagani.
Pretendiamo che siano essi a vivere con noi!
E alle nostre condizioni!

 

Dobbiamo ri-scoprire che cosa significa “vivere con …”. Ben vengano a questo proposito le riflessioni di frontiera, contaminanti.

  • Le riflessioni che ci ricordano che nel vivere con gli altri, con tutti, dobbiamo essere orientati dalla stella polare del vangelo, facendo bene allora a ricercare la pace con chiunque. Rinunciando alla spada (Gesù). O all’orgoglio tanto da far ingelosire gli altri (Rom 11:14); per noi evangelici, rinunciando all’affermazione della nostra identità “protestante” per esempio nell’Approccio Identitario al Cattolicesimo (AIC).
  • Ben vengano le riflessioni che ci stimolano a vedere le continuità presenti nel nondo di Dio, non solo nell’universalità del peccato, ma anche nell’azione provvidente di Dio ovunque: anche nell’Islam?.
  • Ben vengano le riflessioni che ci aiutano a fare autocritica. Che non attribuiscono il clima post-cristiano nel quale siamo ora immarsi (l’aria che repiriamo) alla sciagura dell’Illuminismo o al genio perverso di Nietzsche; o all’evoluzionismo, etc.. Al contrario, riflessioni che si chiedono e ci chiedono: e le chiese dov’erano? Dov’erano nel mentre l’intellighenzia europea inveiva contro le ipocrisie e le contraddizioni del confessionalismo? Quando si chiudevano alle provocazioni della ricerca scientifica? Quando si voltavano dall’altra parte per non udire le rivendicazioni dell’universo femminile, etc.?

Vivere con … deve essere concepito come una vera e propria vocazione sociale, una vocazione nella quale i cristiani dovrebbero creare opportunità.

O forse è meglio dire, dovrebbero essere un’opportunità!

 

Vivere con …. a seguire: CONFRONTARSI CON …

 

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Andy Bannister

Solo perché un racconto utilizza gli stessi nomi e personaggi di un altro non significa automaticamente che le due storie siano collegate. Anzi, dobbiamo capire se questi elementi sono stati presi in prestito o se sono stati ereditati.

Per comprendere la differenza fra eredità e prestito consideriamo un esempio architettonico. Uno dei miei edifici preferiti è il duomo di York, probabilmente la più bella cattedrale d’Inghilterra. La sua storia è affascinante: la splendida chiesa normanna, poi cattedrale, fu costruita al di sopra di una chiesa sassone più antica; l’edificio medievale cresceva mentre la chiesa più antica fu ampliata e rimodernata. Sotto la chiesa sassone, però, c’è qualche cosa di ancora più antico: le rovine di un presidio militare romano. Se fate il tour della cripta, potete scendere attraverso strati di storia fino alle rovine romane nelle fondamenta.

C’è però una differenza sostanziale fra le rovine romane, sassoni e normanne. Nel suo processo di ampliamento, il duomo di York si è sviluppato organicamente dalle chiese più antiche, parallelamente al loro accrescimento e arricchimento. Che dire, però, delle rovine romane nella cripta? Certo, sono state utilizzate delle pietre romane, in quanto era agevole per le maestranze della chiesa sassone avere tonnellate di pietre squadrate sparse intorno e inutilizzate[1]. I Sassoni, però, usarono il materiale romano solo come mattoni da costruzione, non c’è nessuna continuità fra le rovine romane e la chiesa.

In altre parole, il duomo medievale di York ha preso in eredità dalle chiese normanna e sassone, mentre ha preso in prestito dal presidio romano, modificando la funzione delle pietre e gettandole senza troppe cerimonie nelle fondamenta della nuova costruzione.

Nel suo libro The Qur’an and Its Biblical Reflexes, Mark Durie propone un altro esempio che può aiutarci a comprendere la differenza fra eredità e prestito, stavolta preso dalla linguistica. Quando due lingue derivano da una fonte comune, condividono non soltanto delle parole ma anche delle strutture profondamente correlate. Consideriamo, per esempio, le parole per dire «topo» in inglese, islandese e tedesco[1]. In inglese il singolare è “mouse” e il plurale “mice”; in islandese è mus/mys e in tedesco Maus/Mause. Si noti come le forme singolare e plurale mostrino tutte lo stesso schema: una variazione vocalica interna. Questo tratto strutturale condiviso è indizio della derivazione di queste lingue da una fonte comune; hanno, cioè, una comune eredità.

Il prestito, al contrario, di solito è altamente distruttivo. Si pensi alla parola “juggernaut” [furia devastante, ndt], presa in prestito dalla lingua inglese dal sanscrito tramite l’Hindi. Originariamente era Jagannatha, nome sanscrito di una divinità indù il cui culto prevedeva di schiacciare i fedeli sotto le ruote di enormi carri. Quel contesto si era però totalmente perso quando l’inglese ha distruttivamente preso in prestito il termine.

Il Corano e la Bibbia: prestito o eredità?

Un lettore del Corano che abbia anche dimestichezza con la Bibbia noterà presto i frequenti riferimenti coranici a racconti e personaggi biblici. Fra i personaggi presenti nelle pagine del Corano[1] possiamo trovare Aaronne, Abraamo, Adamo, Davide, Elia, Eliseo, Esdra, Gabriele, Golia, Isacco, Ismaele, Giacobbe, Gesù, Giovanni, Giona, Giuseppe, Lot, Maria, Mosè, Noè, Faraone, Saul, Salomone e Zaccaria.

Oltre ai nomi compaiono anche idee e nozioni bibliche: di tutto, dal monoteismo all’adorazione, dall’idolatria al peccato, dalla legge alla Scrittura. Nulla di sorprendente se qualcuno, osservando questo fenomeno, ha concluso che il Corano deve essere un sequel della Bibbia e l’Islam il terzo atto dell’opera, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo. Queste idee e queste nozioni di provenienza biblica, però, sono per il Corano un’eredità o un prestito? Nella mia tesi, la teologia coranica non scaturisce organicamente dalla Bibbia; anzi, come le fondamenta romane del duomo di York, la parola “juggernaut” o la versione fantascientifica del Macbeth, il Corano ha fatto un ricorso massiccio e distruttivo al prestito, perdendo nel processo il contesto e il senso. Il risultato è una grande confusione, fra l’altro, su Dio, la sua natura e la sua identità. Come possiamo dimostrare la mia tesi secondo cui nel Corano non troviamo un’eredità ma un prestito? L’esempio per eccellenza per provarlo è Gesù.

 

…. Continua la lettura prenotando il libro di Bannister che sarà presentato al 17° Convegno Studi GBU: Cristiani e Musulmani adorano lo stesso Dio?, Edizioni GBU

 

[1] Molti dei quali con nomi arabizzati; per esempio, Aaronne è Harun, Elia è Elias e Giona è Yunus.

[1] Mark Durie, The Qur’an and Its Biblical Reflexes, op. cit., p. XL.

[1] «Guardate che cosa i Romani hanno fatto per noi!»

 

*Immagine di jeswin su Freepik

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