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Appunti dal XV Convegno di Studi

Gloria a Dio! Dopo due anni di pandemia in cui l’incontro annuale in presenza del Convegno Nazionale GBU a Montesilvano è stato rinviato, nei giorni del 13-15 maggio 2022 è stato possibile rivivere questo importante appuntamento dal vivo. Stesso luogo, stesso mare, volti noti alcuni, meno altri; ma stesse sensazioni di sempre, nonostante l’inusuale periodo dell’incontro svoltosi in passato in clima autunnale; stavolta il sole batteva caldo, il mare era calmo e invitante. Il periodo ha fatto sì che in quei giorni non fossimo i soli residenti dell’hotel: lottatori di varie categorie di combattimento e motociclisti di Harley Davidson tenevano in contemporanea i loro raduni. Il diavolo e l’acqua santa sembrerebbe… Ma i Gruppi Biblici Universitari ci hanno sempre abituato a ben altro: mai a categorizzare ma a sfidare proprio i nostri preconcetti, a discutere di noi stessi e della nostra identità in Cristo, a guardare in che modo pensiamo e viviamo la nostra fede, in rapporto alla società che ci circonda. In pratica, niente diavoli e niente acquasanta, tutti sulla stessa tipologia di barca, con la sola differenza del timoniere a cui si affida la propria imbarcazione. Anche quest’anno il GBU ha organizzato le tematiche e gli incontri raccogliendo le sfide della contemporaneità, permettendo un’analisi del nostro vivere la fede, non solo nella nostra intima relazione con il Signore, ma anche all’interno della società in cui viviamo. L’oratore di quest’anno era lo psichiatra dr. Pablo Martinez, volto già noto agli amici del GBU per essere stato già oratore nel (). Purtroppo le sue condizioni di salute gli hanno impedito di essere in presenza, ma se qualcosa di buono è scaturito da questi due anni di pandemia e smart working è stato  proprio il miglioramento e l’accessibilità delle piattaforme streaming: grazie ad internet abbiamo potuto avere Pablo Martinez, in diretta esclusiva per il convegno, che parlava dal suo studio a Barcellona. Oltre al nostro fratello dalla Catalogna abbiamo avuto molti seminari in loco, tenuti dai volti più accademici, amici e componenti, del GBU; tali seminari hanno esaminato temi rilevanti e particolarmente ostici, quali il rapporto tra fede e: conflitti storici, politically correct e relazioni amorose. Per niente scontato è sottolineare come tutto sia stato trattato secondo una prospettiva puramente biblica e scritturale ma nella santa ricerca di modalità di espressione di tale fede che potessero trasmettere l’amore di Gesù.

L’ultimo seminario, la domenica mattina, è stata la testimonianza di due medici che hanno combattuto in prima linea la pandemia e di un neuroscienziato, Nicola Berretta, che ha dato una prospettiva scientifica della natura dei virus e dei vaccini, prospettiva in netto contrasto con tante teorie stravaganti che, purtroppo, hanno fin troppo preso piede tra alcuni credenti negli ultimi anni. L’incontro è online su YouTube, e l’invito è quello di ricercarlo, ascoltarlo e condividerlo. Spesso la nostra fede viene messa a dura prova, spesso la mettiamo noi in situazioni contraddittorie: la certezza è che la nostra speranza è l’onnipotenza di Dio, che è in controllo, e la nostra guida comportamentale deve essere l’amore di Gesù.

Claudio Pasquale Monopoli

 

Il tema del convegno era “curare la fede”, ovvero afferrare, proteggere e proclamare la verità. Ci sono stati diversi aspetti che mi hanno colpito, che mi hanno fatto riflettere su come io vivo la mia fede nel contesto storico e sociale in cui mi trovo, al di fuori della chiesa ma anche al suo interno. Pablo Martinez, infatti, ha portato inizialmente l’attenzione sull’epoca in cui ci troviamo, caratterizzata da un soggettivismo di fondo in cui ognuno si è artefice della propria etica, dove è difficile presentare la nostra fede come LA verità e non UNA verità tra le tante. Il risvolto morale è profondamente implicato, proprio perché ciò che viviamo nella pratica, ciò che rappresenta l’esperienza di vita che necessariamente deve rinnovarsi costantemente, è il frutto della verità che facciamo nostra. È così allora, che anche all’interno della chiesa, la Bibbia diventa solo uno strumento che orienta e indirizza e che viene relativizzata dal mondo e dai cristiani stessi. Per opporci alla distruzione della fede, quindi, è importante sapere in cosa crediamo e cosa proteggiamo: una verità RIVELATA da cui possiamo attingere meditando la Parola; una verità INCARNATA nella persona di Gesù Cristo, immagine dell’amore e della Grazia che deve formarsi progressivamente in noi e una verità ILLUMINATA tramite l’azione dello spirito santo che ci guida e ci sostiene. Come ultimo oggetto di riflessione, il dr. Martinez ha portato la storia degli amici di Daniele nella fornace come esempio pratico di una fede che sa dire no. La loro, infatti, è stata la dimostrazione di cosa significhi avere una fede integra e quindi matura, che sa discernere, che sa mettere dei limiti alla tolleranza; una fede equilibrata, radicale ma non estremista, una fede ben fondata sulla fiducia di Dio, sull’ubbidienza e sul coraggio.

Questo convegno mi ha fatto pensare molto alla componente decisionale intrinseca alla mia fede. Troppo spesso si finisce per scadere in ciò che Pablo ha definito come “mimetismo”, ovvero l’adattare la propria fede in base al contesto in cui ci si trova per sembrare “normale”. Se il dogmatismo è l’esempio di una cattiva testimonianza, allora il mimetismo ne rappresenta la morte.

Afferriamo la verità, salvaguardiamo la fede, occupiamoci di lei nella prova, sapendo che Dio soffre con noi e ci protegge.

 

Eleonora Basirico

L’articolo In che modo pensiamo e viviamo la nostra fede proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/in-che-modo-pensiamo-e-viviamo-la-nostra-fede/

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Cosa ha condiviso Stefano Mariotti nelle sue predicazioni su 1 Pietro alla Festa GBU 2022? Il nostro oratore ha scritto una sintesi che è anche un’ottima panoramica su 1 Pietro, nella quale Stefano mette in risalto i contenuti principali della lettera.

“Fuori-sede”* eletti nel mondo: oggi come allora

Potremmo definire 1 Pietro, un corso intensivo di come vivere il Vangelo, nelle opportunità e nelle crisi della vita quotidiana. Pietro scrive a dei credenti ordinari come noi, che vivono in tempi simili ai nostri, in quanto la nostra società occidentale post-cristiana non è dissimile da quella dei suoi lettori nel primo secolo. Così assieme a loro, possiamo imparare cosa significa abbracciare, essere trasformati e vivere il Vangelo, in una cultura progressivamente sempre più intollerante al messaggio di Cristo e dei suoi assoluti. Pietro vuole equipaggiarci ad affrontare la realtà che seguire Gesù e ubbidire alla sua Parola ci espone all’essere diversi, incompresi, rifiutati, ridicolizzati; ci espone alla sofferenza. Per sfuggire a questa sofferenza, la tentazione è quella di chiudersi al mondo, o di compromettersi nel mondo. Pietro invece ci sfida a radicarci in Cristo, sperimentando il suo amore, gioia e speranza, per testimoniare al mondo il suo amore, la sua gioia e speranza.

*”Fuori sede” era il titolo della Festa GBU 2022 (ndr)

Esiliati ma non isolati

Come traduce la Luzzi, Pietro indirizza la sua lettera (1:1) agli: “eletti che vivono come forestieri nella dispersione”, letteralmente agli: stranieri eletti della diaspora. Più avanti li definirà in 2:11-12 “stranieri e pellegrini”, gente di passaggio ed esiliati; e concluderà la lettera con i saluti dalla “chiesa che è in Babilonia” (5:13). Così identifica deliberatamente i suoi lettori con il popolo di Dio dell’Antico Patto, che soffre lontano dalla Terra Promessa, che spera nelle promesse redentive di Dio, ma che annuncia la Parola di Dio vivendola responsabilmente nella città e nella nazione che lo “ospita” (2:13-15). Quindi il quadro che Pietro dipinge ai nostri occhi, non è quello un solitario studente fuori-sede, ma piuttosto quello di una “confraternita”. Ci parla di un popolo, di una famiglia, di una chiesa che cresce in Cristo, imparando ad amarsi e sostenersi gli uni gli altri in Cristo. È insieme che rimaniamo fermi nelle difficoltà, gioiosi nella speranza e appassionati nella testimonianza. A maggior ragione, Pietro mostra ai suoi lettori di allora, che non sono solo “stranieri”, e quelli di oggi non sono solo “fuori-sede” – ma sono stranieri: eletti, scelti, messi a parte, dalla famiglia della Trinità, per uno scopo! Così come Dio ha ratificato l’Antico Patto nel sangue dell’agnello (1:19), salvando per grazia il suo popolo dalla schiavitù, per poi donargli la sua legge missionale; la nostra salvezza si fonda sull’essere cosparsi del sangue di Cristo nel Nuovo Patto (1:2), in modo che la nostra ubbidienza e santificazione, hanno come scopo missionale la sua gloria tra le nazioni!

La nostra speranza: Cristo Gesù

È in questo contesto che Pietro ci mostra come vivere come fuori-sede eletti in un mondo ostile (1:4-20), perché la nostra speranza è radicata in Cristo e nella sua opera 1:13, 21. È solo quando Cristo è tutto quello che ci resta, che ci rendiamo conto della realtà della fede: fede nel Cristo che davvero è tutto quello di cui abbiamo bisogno! È allora che sperimentiamo la gioia della salvezza nel mezzo delle svariate prove. Quindi è vero: siamo fuori-sede, in una cultura che, come ai tempi di Pietro, trova offensiva tanto la centralità della salvezza del Vangelo di Cristo, quanto l’esclusività della persona e dell’opera di Cristo. Ma è proprio in questo contesto, che Pietro ci espone una chiara apologia della sofferenza cristiana per il nome di Cristo, fondata sulla sofferenza redentiva di Gesù, facendoci vedere la sofferenza come un’opportunità per il Vangelo per il popolo di Cristo!

Il valore della sofferenza

Dio ci lascia in questo mondo come fuori-sede eletti, perché il nostro mondo, le nostre famiglie e amici, le nostre università e comunità, hanno bisogno di vedere vissuto nella pratica il Vangelo di Cristo. Per questo Pietro ci dice di sostenerci gli uni gli altri. Perché in Cristo non dobbiamo sprecare questa sofferenza, in quanto Dio stesso è con noi e in essa: ci perfezionerà, ci renderà fermi, ci fortificherà stabilmente (5:10). Perché è nel sottometterci e nell’umiliarci affidandoci alla potente mano di Dio, che nella pratica annunciamo al mondo la giustizia della Legge di Dio, vivendo nel mondo: la cura che Dio ha per i suoi figli, la gioia del Vangelo che Cristo dona al suo popolo, la fiducia che lo Spirito crea nella sua chiesa.

Questa è la vera grazia di Dio

Così siamo dei fuori-sede eletti della diaspora. Siamo un popolo di forestieri e pellegrini sparsi nelle nostre università. Siamo parte integrante delle nostre chiese, che cercano il bene delle nostre grandi città e piccoli paesi d’Italia. Siamo degli ordinari peccatori salvati per grazia, che nelle nostre università, luoghi di lavoro, famiglie, amici e comunità, annunciano lo straordinario Vangelo di Cristo, vivendolo nel mezzo delle sfide e delle prove, per la potenza dello Spirito Santo. Questo è chi siamo in Cristo, questa è la vera grazia di Dio; in essa state saldi!

Stefano Mariotti

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Dopo due anni in cui, a causa della pandemia, la Festa GBU (Convegno Studentesco Nazionale) è stata organizzata online, quest’anno ci siamo potuti rivedere di persona. Da Trento a Messina, noi studenti universitari, laureati e staff abbiamo gioito, studiato e trascorso insieme alcuni giorni circondati dalle colline fiorentine a Poggio Ubertini. 

IL TEMA

Stefano Mariotti ci ha guidato e ha condiviso con noi alcune riflessioni sulla prima lettera di Pietro scritta “agli eletti che vivono come forestieri dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1 Pietro 1: 1). Proprio da qui nasce il titolo della festa “Fuori sede”, espressione molto familiare a noi studenti. Inoltre, tra le diverse attività, ci sono stati alcuni seminari che ci hanno dato l’occasione di trattare temi come interagire con l’università, usare i social media per condividere il vangelo, organizzare eventi evangelistici e invitare un amico a leggere la Bibbia.

DUE INCORAGGIAMENTI DA 1 PIETRO

Durante gli studi mi è piaciuto molto quando ci dividevamo in gruppetti. Leggevamo alcuni versetti, condividevamo le nostre osservazioni e iniziavamo a riflettere sul loro significato con l’aiuto di qualche domanda guida. Successivamente, ci riunivamo tutti insieme e Stefano approfondiva alcuni temi in modo più specifico. Nel primo capitolo della sua lettera, l’apostolo Pietro parla di due argomenti importanti: gioia e sofferenza. Personalmente mi ha fatto riflettere tanto quando Stefano ci chiedeva in che cosa gioiamo, e in particolare quando diceva che a volte facciamo dipendere la nostra gioia da una circostanza, da un evento o spesso da una persona; di conseguenza il nostro umore dipenderà da come andranno le cose. Ho subito pensato al versetto di Filippesi 4:4 “Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi”. È stato importante per me ricordare di basare la nostra gioia in Dio perché Lui è il nostro porto sicuro ed è fedele.

Un altro incoraggiamento che ho avuto è stato quando l’apostolo Pietro sostiene che le sofferenze che i destinatari del suo scritto attraversano, sono necessarie e che non ci si dovrebbe stupire; infatti dice: “Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pietro 4: 12-13). Attraverso queste parole e pensando a come Dio ci sostiene anche durante le difficoltà, sono stata spronata poiché Lui è la nostra “pietra angolare” (1 Pietro 2: 6), essenziale e necessaria per la nostra vita. A volte le difficoltà ci servono per crescere e far crescere, come condivideva Stefano, la nostra speranza in Cristo.

INSIEME PER CONDIVIDERE GESÙ

La Festa GBU, inoltre, è stata importante perché è stata un’occasione per continuare a coltivare le amicizie che sono nate e che continuano a nascere nel GBU. Costruire relazioni su cui si può contare è davvero prezioso, il fatto di parlare con gli altri studenti e Staff condividendo le attività svolte nel proprio gruppo GBU locale nei mesi passati, gli eventi organizzati e quelli che si avranno a breve, le idee, ma anche le difficoltà che si incontrano… Sono veri e propri incoraggiamenti per continuare a portare Gesù nelle università. Quando penso al Gbu come gruppo formato al suo interno da tanti studenti e amici con lo stesso obiettivo, mi infonde coraggio.

In conclusione, posso dire con certezza che quel fine settimana è stato un tempo benedetto, le aspettative sono state grandemente superate in quanto Dio si è servito di tante persone per sostenerci, per dimostrarci ancora una volta l’amore che ha per noi, per quanto gli siamo preziosi e per quanto ha a cuore la nostra vita. Siamo stati incoraggiati ancora una volta ad essere una luce nelle nostre facoltà e parlare di Gesù ai nostri amici e colleghi universitari.

Giada Coppola
(Coordinatrice GBU Parma)

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Prosegue la pubblicazione – settimanale – di otto paragrafi (qui il secondo) del libro del teologo di orgine croata Miroslav Volf, che sarà in libreria a Maggio, dal titolo Contro la marea. L’amore in un tempo di sogni meschini e di continue inimicizie. Il libro è una raccolta di brevi scritti, alcuni dei quali hanno poi visto un loro ampliamento in libri tematici.

 

Fatevi un regalo, e mettete la Teologia della speranza di Jürgen Moltmann sotto il vostro albero di Natale (Cfr. tr. it. J. Moltmann. Teologia della speranza. Ricerca sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana, Queriniana, Brescia, 1970). Moltmann ha pubblicato il libro in tedesco più di cinquant’anni fa. È stato tradotto in inglese tre anni dopo (1967), è diventato immediatamente una celebrità teologica negli Stati Uniti. Il libro è anche andato sulla prima pagina del New York Times1. Uno dei principali temi della Teologia della speranza è l’Avvento, e sarebbe bene che ci ricordassimo di questo libro straordinariamente importante.
L’immensa, originale popolarità del libro deve molto al fatto che quando fu pubblicato, la “speranza” era nell’aria. Era l’“era Kennedy” negli Stati Uniti e il periodo del movimento dei diritti civili portato avanti da Martin Luther King jr. Il mondo occidentale stava per esperire il potere dei movimenti studenteschi radicali. La “Primavera di Praga” sarebbe arrivata presto in Cecoslovacchia, frutto di una crescente democratizzazione delle società socialiste dell’allora defunto Secondo Mondo. E nel Terzo Mondo dei tardi anni ‘60, la decolonizzazione era in pieno movimento e gli intellettuali giocavano con le idee di Marx. La Teologia della speranza cavalcava un’ondata globale di speranza sociale. Come Moltmann ha detto, il libro aveva il suo proprio kairos, o il momento opportuno.
Ma kairos è una benedizione ambivalente per un libro. Dal lato positivo, spinge il libro davanti all’attenzione pubblica. Dal lato negativo, schiaccia la sua interpretazione in un modello determinato. Chiunque parla del libro, ma praticamente nessuno lo apprezza e lo comprende in maniera appropriata.
Con qualche importante eccezione (per esempio quella del movimento dei diritti civili) ciò che era nell’aria, quando apparve Teologia della speranza, non era speranza, ma ottimismo. Le due cose sono facilmente confondibili. Sia l’ottimismo sia la speranza includono aspettative positive riguardo al futuro. Ma, come Moltmann ha sostenuto in maniera persuasiva, sono prese di posizione radicalmente diverse verso la realtà.
L’ottimismo è basato sulla causa «estrapolativa e il pensiero effettivo». Traiamo conclusioni sul futuro sulla base dell’esperienza del passato e del presente, guidati dalla convinzione che gli eventi possano essere spiegati come effetti di cause precedenti. Dal momento che “questo” è accaduto, concludiamo che “quello” dovrebbe accadere. Se un’estrapolazione è corretta, l’ottimismo è ben fondato. Sin da quando mio figlio Nathanael poteva prendere Il piccolo orso e leggerlo quando era all’asilo, potevo legittimamente essere ottimista che sarebbe andato ragionevolmente bene in prima elementare. Se l’estrapolazione non è corretta, l’ottimismo non ha buone basi, è illusorio. Aaron, che ha due anni, è molto bravo nel lanciare una palla. Ma sarebbe sciocco da parte mia scommettere che otterrà un contratto multimilionario con una squadra di calcio e avrà cura di me dopo il pensionamento.
Le nostre aspettative sul futuro sono basate per la maggior parte su tale pensiero estrapolativo. Vediamo lo splendore arancio all’orizzonte e ci aspettiamo che la mattina sarà immersa nel sole. Un tale ottimismo informato e ben fondato è importante per la nostra vita privata e professionale, per il funzionamento delle famiglie, per l’economia e per la politica. Ma l’ottimismo non è speranza.
Uno dei più durevoli contributi della Teologia della speranza di Moltmann è stato quello di insistere che la speranza, al contrario dell’ottimismo, è indipendente dalle circostanze in cui le persone vivono. La speranza non è basata sulle possibilità della situazione e sulla corretta estrapolazione per il futuro. La speranza è basata sulla fedeltà di Dio e perciò sull’efficacia della promessa di Dio. E questo mi riporta al tema dell’Avvento.
Moltmann distingueva tra due maniere in cui il futuro si rapporta a noi. La parola latina futurum ne esprime una. «Il futuro nel senso di futurum si sviluppa a partire dal passato e dal presente, in quanto passato e presente hanno dentro essi stessi la potenzialità di divenire e sono “pregni di futuro”». La parola latina adventus esprime l’altra maniera in cui il futuro è relazionato con noi. Il futuro nel senso di adventus è il futuro che viene non dal campo di ciò che è o di ciò che era, ma dal campo di ciò che non è ancora, «dal di fuori», da Dio.
L’ottimismo è basato sulle possibilità delle cose come dovranno essere; la speranza è basata sulle possibilità di Dio senza tener conto di come sono le cose. La speranza può sorgere anche nella valle dell’ombra della morte; infatti è proprio lì che si manifesta realmente. La figura della speranza nel Nuovo Testamento è Abramo, che ha sperato contro ogni speranza perché credeva nel Dio «che fa rivivere i morti, e chiama all’esistenza le cose che non sono» (Rom 4:17–18). La speranza prospera anche in situazioni in cui, per il pensiero estrapolativo di causa–effetto, si dovrebbe concludere soltanto con una totale disperazione. Perché? Perché la speranza è basata sul Dio che viene nelle tenebre per scacciarle con la luce divina.
Ogni anno nella stagione dell’Avvento leggiamo il profeta Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende» (Is 9:1). In ciò è racchiuso tutto il significato del Natale, qualcosa di radicalmente nuovo che non può essere generato dalle condizioni di questo mondo. Viene. Non lo possiamo estrapolare. Dio lo ha promesso.
Se le tenebre sono discese sopra di noi e sopra il nostro mondo non ci occorre tentare di sostenere che le cose non sono così male come sembrano o cercare di essere disperatamente ottimisti. Ricordiamoci invece di un semplice fatto: la luce di Chi era all’inizio con Dio brilla nelle tenebre e le tenebre non prevarranno. Se ci occorre una lunga e plausibile spiegazione per supportare questo invito, scartate quel libro di Moltmann che è sotto l’albero di Natale, prendete qualcosa di caldo da bere e entrate nel mondo dell’Avvento, della promessa, della speranza.

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