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Dio aveva stabilito il GBU anche per la mia vita.

Questa è una delle considerazioni che nel corso di questi tre anni ho maturato sempre di più, e oggi, alla fine di questo percorso, ne sono pienamente convinto.

Tutto è iniziato quando alla fine del quinto anno di superiori mi trovai a dover scegliere cosa fare, indeciso se iniziare subito l’università o prendermi un anno di pausa, dove avrei potuto dedicare il mio tempo a Dio, godermi un po’ di relax e viaggiare, magari unirmi a qualche viaggio missionario.
Dopo tanta confusione scelsi di provare il test per infermieristica, deciso a iniziare subito l’università. Ricordo bene il giorno in cui seppi di aver superato il test; la gioia era forte ma allo stesso tempo un pensiero era sempre presente nella mia testa: è davvero la strada giusta?

Ritornando al GBU, già al quinto anno di superiori mio cugino me ne aveva parlato, ma ancora non avevo avuto occasione di testare personalmente che cosa fosse questo gruppo. Nell’attesa di iniziare i corsi mi resi disponibile a partecipare alla Settimana Evangelistica che i ragazzi avevano organizzato e feci così le mie prime amicizie ed esperienze nell’ambito universitario e con il gruppo GBU di Napoli.

Ero entusiasta: il desiderio di fare l’università si stava unendo con l’idea di poter servire come missionario. Compresi così che anche l’università poteva essere un luogo dove testimoniare della speranza che c’è in Gesù.

Sposai quindi ancor prima di entrare nella mia facoltà la missione del GBU: condividere Gesù da studente a studente.

Condividere Gesù da studente a studente

In questi tre anni ne sono successe tante e non sempre è stato facile scontrarsi con il mondo universitario: essere gioioso anche quando l’esame andava male; resistere all’ansia e rimettere tutto nelle mani di Dio; predicare la verità anche quando essa risulta scomoda.

In tutto questo però il gruppo del GBU è stato sempre un luogo di ristoro tra corsi, esami e tirocinio. Posso davvero testimoniare come fermarsi e spendere del tempo per leggere e meditare la parola di Dio mentre ero all’università ha sempre fatto del bene alla mia vita: mi ha fortificato e mi ha dato uno slancio per non avere paura di parlare della mia fede.

Un anno dopo diventai coordinatore del gruppo al Policlinico, ed è stato per me davvero un onore poter servire in questo. Essere parte del GBU mi ha costantemente arricchito, mi ha fatto comprendere la ricchezza della diversità, il valore dell’ascolto e la bellezza dell’immergersi nella parola di Dio allontanando ogni preconcetto o pregiudizio.

Essere nell’università però mi ha portato a vivere anche diversi conflitti. Tante volte mi sono trovato a scontrarmi con l’indifferenza degli studenti al messaggio del Vangelo, alla ridicolizzazione dei principi biblici, al rifiuto testardo a ogni forma di confronto e all’esaltazione dell’indipendenza e della sovranità dell’uomo su ogni principio morale.

Tante volte mi sono sentito piccolo: piccolo dinanzi alla conoscenza, dinanzi a tante domande non risposte, piccolo di fronte a storie difficili, alle ingiustizie e ai mali della vita. La parola di Dio però mi è sempre venuta in soccorso. A tal proposito volevo citare una semplice parabola che Gesù racconta ai suoi discepoli:

Egli propose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami».
(Matteo 13:31-‬32)

Gesù paragona il regno di Dio a qualcosa di molto ma molto piccolo, anche se un giorno si rivelerà come qualcosa di maestoso, ma soltanto a coloro che accolgono nella propria vita questo apparente piccolo seme.

Era proprio così: non dovevo preoccuparmi che ciò che avevo tra le mani sembrasse piccolo, ma dovevo essere fiero di ciò che poteva generare in un cuore pronto a riceverlo. Non aveva importanza se a un incontro ci fossero dieci persone o soltanto una, non importava se apparentemente una conversazione fosse stata scoraggiante e che il messaggio di Gesù sembrava “fuori moda”… Non dovevo guardare a ciò che sembrava, un piccolo seme, ma a ciò che poteva diventare: un albero maestoso, alto, forte e ricco di rami.

Al termine di questo breve ma intenso percorso non posso far altro che ringraziare Dio e tutto lo staff GBU, uomini e donne di Dio che con passione e dedizione si impegnano affinché sia sempre accesa una luce di speranza all’interno dell’università.

Questi anni universitari non sarebbero stati gli stessi senza il GBU, quindi se stai leggendo questa breve storia non perdere altro tempo e inizia a vivere l’università come il tuo campo di missione, condividi Gesù, cerca ragazzi con cui leggere la Bibbia e illumina la tua facoltà con la luce di Cristo.

Simone Dorato
(GBU di Napoli)