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di Sharon Fichera, coordinatrice GBU Bologna

Ciao a tutti! Mi chiamo Sharon, ho 20 anni e sono siciliana. Sono anche bolognese di adozione, da quando mi sono trasferita nella capitale dei tortellini per studiare Lettere Classiche. Amo Gesù e amo parlare di Lui, e proprio per questo, quando ho conosciuto il GBU me ne sono innamorata e mi sono unita al gruppo di studenti a Bologna.

Quest’anno ho partecipato alla Formazione per coordinatori, che si è tenuta a Rimini a inizio ottobre. Brevemente, la Formazione prepara giovani leader per essere un supporto al GBU a livello locale. Inutile dire che Dio ha lavorato in me più di quanto mi potessi aspettare, e per questo voglio raccontarvi la mia esperienza.

Il programma si è sviluppato seguendo tre filoni: 

Bibbia e Preghiera

Abbiamo approfondito la conoscenza delle Scritture e il nostro rapporto con Dio tramite studi biblici induttivi (SBI), preghiera, lode e prediche. In questo track abbiamo studiato i capitoli 8-10 di Marco. Ciò che mi ha colpito è stato vedere il continuo gioco di potere intrinseco nell’animo umano. Gesù cercava di insegnare ai discepoli che dovevano sacrificare sé stessi ogni giorno, amare e servire gli altri con disinteresse, smetterla di cercare di guadagnarsi la vita eterna con i propri sforzi e accettare l’amore di Dio. Loro invece si comportavano con arroganza, non capivano gli insegnamenti di Gesù e credevano di essere superiori agli altri, oltre che a fare a gara tra loro stessi su chi fosse il maggiore. Gesù cercava di insegnare loro cosa fosse la vera grandezza, ma loro (e spesso anche noi) avevano un cuore duro. 

Coordinatori

Questo track era pensato per farci apprendere chi un coordinatore deve essere e cosa deve fare per dare il giusto apporto al GBU locale e alla missione nell’università. È stato bello concentrarci anche sulle nostre potenzialità e quelle dei nostri gruppi GBU. Ciò che mi ha colpito di più è stato imparare cosa voglia dire essere coordinatori maturi. La definizione che abbiamo dato di maturità spirituale è “Crescita costante, coerente e consapevole in Cristo”. Per camminare in questa crescita è necessario morire a sé stessi, accettare la sofferenza, abbracciare il sacrificio e la croce, consapevoli che tutto ciò lo si attraversa per una gioia e una gloria più grandi, ovvero la proclamazione del vangelo e l’avanzamento del Regno di Dio.

Evangelizzazione

Con questo track ci siamo concentrati su condividere Gesù da studente a studente, sia individualmente che come gruppo locale. Mi è piaciuto molto un seminario dal titolo “Fede dannosa (?)”, in cui abbiamo letto alcune delle critiche mosse al cristianesimo nel corso della Storia e della Filosofia. Ho trovato utile e stimolante ricevere degli strumenti per controbattere a queste critiche. Inoltre, è stato molto interessante notare come molte persone non siano indignate o in collera a causa di Dio, ma a causa di ciò che la Chiesa ha fatto in nome di Dio. Questo mi ha sfidato ad essere un buon esempio per chi mi circonda e a onorare Cristo in ogni cosa che faccio.

Ma la Formazione, a livello pratico, a cosa è servita?

Personalmente, la formazione mi ha incoraggiata e sfidata ad avere consapevolezza del mio ruolo come coordinatrice, a servire gli altri, a sacrificare me stessa per Cristo, a vivere una vita di preghiera, a cercare il volto di Dio, e a diffondere il vangelo senza vergogna. Sono sicura che tutti noi presenti lì abbiamo ricevuto una grande spinta a lavorare nei nostri GBU, per i nostri GBU e con i nostri GBU, per condividere Gesù da studente a studente.

A questo punto rimane una sola domanda, implicita, a cui rispondere: “Qual è la vera grandezza?”

Per scoprirlo basta guardare a Gesù, il più grande Re che abbia calpestato la Terra, il servo che lavò i piedi ai suoi discepoli.

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(Vivere e confrontarsi con l’Islam)


Francesco Maggio
è impegnato da molti anni in un servizio (ministero lo chiamiamo in gergo evangelico) di testimonianza ai musulmani. Ha fondato la SCAI, Scuola di Apologetica e Islamistica

 

Francesco, raccontaci un po’ del tuo ministero verso i musulmani; che cosa fai nei loro confronti e come è nata questa vocazione.

Durante la mia crescita nella fede cristiana ho iniziato a dialogare con i musulmani nel tentativo di condividere il messaggio del Vangelo. Tuttavia, senza un’adeguata preparazione, mi sono presto accorto che non riuscivo a portare avanti la mia testimonianza in modo efficace. Questo è un problema che accomuna molti di noi: ci troviamo spesso impreparati quando si tratta di affrontare un confronto di questo tipo. Nei nostri scambi con i musulmani la conversazione spesso prende una piega critica nei confronti di Gesù Cristo, della Trinità, della Sua divinità e delle Sacre Scritture. I musulmani tendono a mettere in discussione le nostre credenze e ciò che è scritto nella Bibbia. Basta parlare con un musulmano per accorgersene. Inoltre, il Corano stesso contiene diversi passaggi che criticano apertamente pagani, cristiani ed ebrei. La polemica sembra essere parte integrante del loro modo di confrontarsi. Mi accorgevo così che avevo bisogno di una preparazione da acquisire presso una scuola biblica focalizzata sull’evangelizzazione tra i musulmani. Abbiamo scuole bibliche che ci preparano per rispondere e per testimoniare ai mormoni, ai testimoni di Geova, agli atei ma non trovavo una scuola biblica che insegnasse a testimoniare e a rispondere ai musulmani. Per questo andai a Londra per la mia formazione missiologica. Sono passati ormai 32 anni.

 

In che modo, sinteticamente, pensi che si debba cercare un approccio con vicini e amici musulmani per parlare loro del vangelo?
Le mie riflessioni nel corso del tempo sono state le seguenti: per un approccio con i vicini e amici musulmani per parlare loro del Vangelo è essenziale partire da un atteggiamento di profondo rispetto e amicizia. Nell’evangelizzazione, infatti, il metodo più diffuso è il rapporto di amicizia, un rapporto in cui introdurre gradualmente il messaggio del Vangelo

È importante ricordare che non stiamo cercando di “vincere una discussione” o imporre le nostre convinzioni, ma piuttosto di condividere la nostra esperienza di fede in modo genuino e amorevole.

Un buon punto di partenza è allora essere disposti ad ascoltare. Spesso, la migliore apertura è mostrare interesse per le loro esperienze religiose (semplici domande, come perché pregate 5 volte al giorno, e altre domande). Questo crea un terreno fertile per un confronto sincero sul quale entrambi possono esprimersi senza sentirsi giudicati. Durante la conversazione, personalmente, cerco di testimoniare la mia fede in modo chiaro, semplice e personale. Spiego cosa significa per me il vangelo: non come un insieme di regole, ma come la storia di Dio che in Cristo mi ha cambiato la vita e mi ha assicurato la salvezza secondo i meriti di suo Figlio.

Cerco di dire loro che il vangelo è più di un messaggio religioso; è una relazione viva con Gesù, fonte di salvezza eterna. Credo dunque che ognuno debba raccontare il modo in cui la propria vita è stata trasformata e come si continua a sperimentare il suo perdono e la sua grazia ogni giorno.

È anche importante ricordare di non diluire il messaggio per cercare di compiacere. Siamo chiamati a essere onesti riguardo alla verità del vangelo, anche se può essere difficile o sfidante. Come dice 1 Pietro 3:15, dobbiamo essere sempre pronti a dare una risposta riguardo alla speranza che è in noi, ma farlo con gentilezza e rispetto.

Molto spesso, i musulmani convinti si presentano come sfidanti, tendendo a trascinare gli interlocutori in polemiche contro la Verità. Come dicevo, generalmente non siamo preparati né abituati a rispondere loro, e spesso ci ritroviamo a fuggire dal confronto. Tuttavia, possiamo trovare ispirazione dai profeti e dai servitori di Dio nelle Scritture.

Pensiamo, ad esempio, al profeta Elia, che affrontò i profeti di Baal. Elia scelse di rimanere saldo sul terreno della Verità e dimostrò un potente segno del potere di Dio. Allo stesso modo, il profeta Geremia si trovò spesso di fronte a falsi profeti, e rimase fermo nella proclamazione del messaggio di Dio.

Anche Gesù affrontò i Farisei, i quali cercavano continuamente di metterlo in difficoltà con domande insidiose, simili alle sfide che spesso ci pongono i musulmani convinti. Gesù rispose sempre con saggezza, non cadendo mai nelle trappole.

Mi viene in mente anche l’apostolo Paolo, che a sua volta si confrontò con i filosofi di Atene. Paolo non cercò di polemizzare, ma di spiegare la Verità con pazienza e chiarezza. Egli studiò la loro narrativa e le loro credenze, basate sulle idee di poeti e profeti precedenti, e utilizzò questa conoscenza per costruire un ponte verso il Vangelo.

Mi sono dunque accorto che per raggiungere efficacemente i cuori dei musulmani è fondamentale abbandonare metodi ormai superati. Il nostro uditorio, i nostri amici, oggi sono musulmani di seconda e terza generazione; nei nostri atenei sanno come spiazzare forbitamente e filosoficamente gli argomenti biblici. Usano diverse e scientificamente raffinate argomentazioni, differenti da quelle utilizzate dai loro padri. I musulmani di oggi sono universitari, avvocati, professori, ingegneri, laureandi, sono persone di cultura.
I nostri giovani credenti universitari li incontrano ogni giorno. Alcuni di questi musulmani di seconda e terza generazione sono divenuti anche personalità politiche.
Il nostro obiettivo deve essere quello di permettere al messaggio del Vangelo di penetrare profondamente nelle anime di chi lo ascolta, distinguendolo dalle sterili discussioni verbali e dalle polemiche. È essenziale riportare il Vangelo al suo giusto posto, ponendolo al centro del dialogo.

Ma chi di noi è in grado di trasmettere questo messaggio in maniera chiara e incisiva in pochi minuti?

Infine, è fondamentale avere pazienza e fiducia nel fatto che non siamo noi a cambiare i cuori, ma solo Dio può fare questo miracolo. La nostra responsabilità è seminare con amore e verità, pregando affinché sia lo Spirito Santo a operare nelle vite delle persone, recipienti possibili della svariata Grazia di Dio.

Il successo non si misura dalle conversioni immediate, ma dall’onestà e dall’amore con cui riusciamo a riflettere Cristo.

 

Ritieni che oltre alla spinta evangelistica sia lecito e giusto per i cristiani evangelici impegnarsi, insieme ai musulmani, per capire in che modo poter convivere pacificamente tra di loro in una stessa comunità sociale?

È essenziale affermare che per i cristiani evangelici la Verità è unica e si trova nella Bibbia, e questa verità non può essere alterata o compromessa in alcuna circostanza. Detto questo, è non solo possibile, ma anche giusto impegnarsi con i musulmani per esplorare insieme come convivere pacificamente all’interno della stessa comunità sociale. La convivenza pacifica non richiede di rinunciare alle nostre convinzioni di fede in Cristo, ma piuttosto ci chiama a vivere e testimoniare la nostra fede con autenticità, chiarezza e amore.

Il mio obiettivo è sempre quello di mostrare l’amore di Cristo, anche a musulmani che hanno convinzioni religiose fortemente polemiche. Questo amore si manifesta attraverso il rispetto scendendo sul livello della loro offensiva non per vincere gli argomenti ma renderli ubbidienti alla Verità e per aprire il cuore dei musulmani polemisti al Vangelo, sempre rimanendo fedeli ai principi biblici.

In 2 Corinzi 10:5*, è scritto: “Noi distruggiamo i ragionamenti e ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio, e facciamo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo.”

Nello stesso tempo come dice la Scrittura: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:18).
Siamo chiamati a cercare la pace e la convivenza, contribuendo al benessere della comunità senza mai compromettere la verità in cui crediamo.

Francesco Maggio terrà un Seminario al 17° Convegno Studi GBU dal titolo: Gesù di Nazaret e Maometto: vite parallele?

L’articolo Tre domande a Francesco Maggio proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/tre-domande-a-francesco-maggio/

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CONFRONTARSI

Durante il decennio segnato dall’attivismo dei nuovi atei (oggi si registra un riposizionamento di questi filosofi o scienziati su posizioni che potremmo definire di “ateismo cristiano” o di “cristianesimo ateo”, che è tutto dire …) è andata in scena una particolare modalità di confronto, quella del dibattito/duello tra “campioni”. Un campione della fede cristiana e un campione della posizione opposta, per lo più “atea”. Ma non sono mancati duelli con esponenti di altre religioni. Sicuramente il nome più blasonato per questo tipo di confronto è stato quello di John Lennox. Su You Tube si trovano una lunga serie di dibattiti del matematico di Oxford con i principali esponenti del nuovo ateismo. Ma non sono mancati degli emuli nostrani! Abbiamo anche avuto ministeri che si sono specializzati in questo tipo di confronto: penso per esempio a Veritas Forum.
L’idea che soggiace a questi esperimenti è quella di segnare la presenza della testimonianza cristiana in uno spazio pubblico, come per esempio un’aula universitaria, non certamente con l’intento di convincere l’avversario (potrebbe anche accadere, naturalmente, tutto è possibile) quanto piuttosto quello di gettare un seme negli ascoltatori per quanto attiene la rispettabilità (John Locke avrebbe detto “ragionevolezza”) del cristianesimo.

Si potrebbero evocare altri esempi storici di “confronto”. Penso per esempio alle antiche assemblee germaniche del basso medioevo (le diete) che divennero protagoniste della diffusione sociale delle idee della Riforma (la Dieta di Worms, per esempio). Si trattava di passaggi giuridici e pubblici nei quali un’intera popolazione cittadina poteva poi determinarsi ad accogliere la Riforma, o a rigettarla (accadde così in molte città libere, tra cui Ginevra); oppure contesti in cui c’era un confronto istituzionale tra Papato, Impero e Principi, sempre alla presenza di qualche professore di teologia. Accadeva infatti che ci si trovava tra i piedi un Lutero, un Calvino, piuttosto che uno Zwingli, etc.

Confronti–duello. Sicuramente benedetti ma che si staccavano e si staccano dal tessuto in cui è calata la vita dei protagonisti e soprattutto degli ascoltatori. Si tratta di confronti tra idee, molto spesso tra “ismi” (Cristianesimo vs Ateismo), senza nulla togliere alla bravura e alla capacità dei protagonisti (e penso in particolare a Lennox) di cercare di riportare il confronto sempre sui temi legati alla vita tutta intera e non solo alla vita della mente (vedi Vivere e confrontarsi con … Vivere).

Il confronto a cui alludiamo, al contrario, parte proprio dal contesto vitale.
Questa fondamentale differenza è espressa molto bene da un pensatore olandese a cui spesso si fa riferimento come a un campione di dogmatica e di teoria teologica (Herman Bavinck). La citazione è tratta da un piccolo libro capolavoro di John Stott (Missione cristiana nel mondo moderno), in cui Stott analizza quattro parole relative alla missione cristiana, tra cui spicca la parola dialogo (sicuramente un sinonimo del nostro “confrontarsi con”:

«Il mio interesse non è mai diretto al buddismo ma a una persona vivente e al suo buddismo; non stabilisco mai un contatto con l’Islam, ma con un musulmano e il suo maomettismo» (H. Bavinck sull’elenctica – la scienza che smaschera davanti al mondo pagano tutte le false religioni rivelandole come peccato contro Dio … e chiama il mondo pagano alla conoscenza del vero Dio –, citato in J. Stott, Missione, p. 85).

Ecco che qui troviamo l’incipit del confronto che vorremmo stimolare nella testimonianza cristiana.

Si tratta di un confronto che passa al lato e si distingue anche dagli approcci “identitari” (per esempio gli approcci identitari al cattolicesimo – AIC) in cui si vuole dimostrare che, teologicamente, il protestantesimo è superiore al cattolicesimo, etc.. Negli approcci identitari, colui che si confronta non si confronta mai come persona che incontra un altro tu ma semplicemente come un esponente di una tradizione che invita l’interlocutore a verificare quale sia la tradizione migliore. Diatriba! Questo tipo di diatriba ha un suo retroterra filosofico e teologico di cui ci occuperemo in un altro momento.

Forse si potrebbe dire che il confronto con, quale passaggio interno alla testimonianza cristiana abbia visto negli ultimi 50 anni, almeno per quanto concerne la testimonianza dei cristiani evangelici, una certa oscillazione.
Dalla forma stigmatizzata sempre da John Stott che parlava per gli evangelici della strategia dei “conigli”: si usciva dalla propria tana (si dice confort zone?) per una rapida incursione a suon di proclamazione del vangelo, “sparata” a un uditorio che non conosceva per niente questi interlocutori estemporanei, per poi tornare nella propria tana, vale a dire a disinteressarsi delle cose del mondo.
All’approccio appunto identitario con il quale si è giunti, oggi, a una certa presunzione di superiorità con la quale si vorrebbe mostrare al mondo che noi ci siamo, dobbiamo contare di più, abbiamo le giuste idee espresse con le corrette parole mentre di fronte, e separati da noi senza tema di contaminazioni o ponti di collegamento, ci stanno sistemi di credenze pervasi di confusione. Farebbero bene, questi sistemi, a venire alla nostra scuola. Questo tipo di confronto potrebbe valere nei confronti del cattolicesimo ma anche nei confronti del mondo musulmano. Nel primo caso vanteremmo il blasone della Riforma, nel secondo la superiorità dei valori occidentali (ebraico-cristiani).

Ci sono almeno tre elementi che caratterizzano il confronto che sorge dalla vita (vivere e confrontarsi con …) e che vorremmo sottolineare.

 

  1. Persone che si parlano e parlano di se stesse.

Lo abbiamo letto in Bavinck: un tu incontra un altro tu. Chi mi sta di fronte non è l’Islam ma Mohamed e il singolare modo che egli ha di incarnare il suo credo. È risaputo che l’Islam è un mosaico di culture e tradizioni condizionate da contesti geografici e sociali molti differenziati. Queste culture circondano il nocciolo duro dei cinque pilastri del credo islamico ma non si sovrappongono perfettamente a esso. Per cui l’interlocutore senegalese vive il suo islamismo in maniera diversa da un filippino, da un arabo, o da un convertito europeo.

Questo fa si che, molto spesso, i cristiani che vivono in contesto islamico o che provengono da tale contesto, una volta che approdano alla fede vivente in Gesù, mostrano di non essere principalmente interessati a ripulire le incrostazioni culturali dell’Islam. Ciò permette di dire a Dave Garrison, islamista ed esperto di missione tra i musulmani, che:

«per molti musulmani, l’Islam [inteso come cultura, ndc] è centrale nel modo di vivere della gente. È la loro madre. La loro famiglia. La loro comunità. E non hanno problemi con l’Islam. Ciò che ora vogliono fare è seguire Gesù e amare di più i loro parenti per trascinarli alla fede. Ho trovato pochissime persone che volevano affrontare l’Islam [in quanto cultura]. Sentivano solo che quella era una battaglia secondaria. La vera battaglia era seguire Gesù e diffondere Gesù». (Thimoty C. Morgan, Why Muslims are becoming the best Evangelist, Intervista a Dave Garrison, Christianity Today, https://www.christianitytoday.com/2014/04/why-muslims-are-becoming-best-evangelists/)

Anche per quanto concerne il versante cristiano, in un confronto tra due “tu”, non si parla astrattamente di Cristianesimo ma si parla di che cosa il cristianesimo ha prodotto e sta producendo nelle vite di chi crede e sta parlando; e per converso ascoltiamo quello che il sistema di fede del nostro interlocutore sta producendo nella sua vita e raccontiamo ciò che il cristianesimo sta producendo nella nostra vita.

Questo permette di mostrare il modo in cui il messaggio del vangelo (che naturalmente non scompare dietro il racconto dell’esperienza personale) agisce a livello delle persone; si potrà mostrare che Gesù è una persona vivente. E potremo ascoltare e individuare i punti in cui il credo del nostro interlocutore manifesta dei vuoti.

La vita, il “vivere con”, diviene dunque la condizione di possibilità per un confronto di questo genere. Emil Shehadeh, oratore del Convegno Studi di quest’anno, nel suo lavoro di analisi delle dinamiche di conversione dal mondo islamico, trova che l’amicizia sia la dinamica più efficace. Quella ricercata maggiormente dagli stessi convertiti dall’Islam.

 

 

  1. Metto in gioco la mia identità

«Fino a che rido delle sue sciocche superstizioni, lo guardo dall’alto in basso; non ho ancora trovato la chiave per entrare nella sua anima. Ma non appena capisco che ciò che egli fa in modi notevolmente ingenui e fanciulleschi, pure io lo faccio più e più volte sotto una diversa forma, non appena mi pongo accanto a lui – allora posso nel nome di Cristo dichiararmi in disaccordo con lui e convincerlo di peccato, come Cristo fece con me e come continua a fare giorno dopo giorno» (Bavink in J. Stott, Ibid., p. 85)

È sempre Bavinck che parla. Il “confrontarsi con” esige che non si resti aggrappati al proprio recinto identitario, ma che ci si sposti, che si rischi, abbandonandolo e rinunciando alla propria identità. L’orizzonte all’interno del quale deve svolgersi il confronto è il vangelo. E il vangelo non è di nessuno, neanche degli “evangelicali”. Il confronto non si svolge all’insegna della Riforma né tanto meno all’insegna dei valori occidentali. Il confronto adotta la postura che Paolo ha indicato ai Corinzi nel capitolo 9 della Prima Lettera che porta quel nome. Il confronto vede il cristiano come un soggetto mobile, disposto a rinunciare a ogni cosa per il vangelo; disposto a seguire e concordare con l’interlocutore, magari quando questi si lamenta e condanna i tanti errori commessi dai cristiani identitari: dalle crociate alle guerre di religione.

Si è vero, loro [per esempio i musulmani] hanno il jihad, hanno i testi che maledicono gli infedeli (ebrei e cristiani).
Ma sono solo i credenti in Gesù ad avere Gesù!!!
A loro tocca additare la presenza di un regno che non è di questo mondo e che essi dovrebbero incarnare.

Rinunciare al “noi” è dunque una vera e propria conversione semantica. Non ti sto parlando a nome di un “noi”; siamo io e te di fronte al vangelo. Io ti apro il mio cuore, ti mostro quanto sono stato perdonato, ti mostro il peggio di me stesso affinché tu possa vedere quanto grande è l’amore di Gesù Cristo.

 

  1. Racconto una storia migliore

Jonathan Lamb, riprendendo le riflessioni che Glynn Harrison (A Better Story: God, sex and human flourishing, 2017) fa a sostegno dell’etica sessuale cristiana, rilancia la tesi che in un frangente storico come il nostro la morale cristiana relativa alle relazioni d’amore appare completamente screditata; per questo motivo dobbiamo imparare a raccontare una storia migliore.

Negli ultimi venti o trent’anni: «il nostro tono è spesso suonato duro e freddo. Perfino narcisistico».

Il primo rimedio è un necessario ascolto da prestare a quanti differiscono da noi: «Nelle guerre culturali spesso ci si è concentrati troppo, su tutti i fronti, sul “rispondere” e troppo poco sull’“ascoltare”». Gli attivisti, su tutti i versanti del dibattito, profondono ogni loro energia nell’«oscura arte della persuasione». Tuttavia, «non dobbiamo essere sordi all’invito scritturale ad ascoltare prima di parlare e a essere pronti a rispettare la buona fede di quanti potrebbero avere posizioni diverse dalle nostre» (In J. Lamb, Che siano uno, di prossima pubblicazione presso Edizioni GBU).

Ingelosire (Rom 11:11), è questo il concetto che Paolo elabora nei famosi capitoli della Lettera ai Romani in cui parla del rapporto tra Cristiani e popolo ebraico. La sostituzione apparente dei primi al secondo (la metafora dell’ulivo) ha solo un unico obiettivo: far sì che gli Ebrei provino gelosia per il rapporto che i Cristiani hanno intessuto con YHWH, con un’intimità dovuta solo e unicamente a Jeshua. Ma questa è stata un’utopia nella storia, contraddetta ahimè da ben altri sentimenti, con una scia di incomprensioni che continua ancora al giorno d’oggi.

Ma la proposta di una storia migliore implica la rimozione di alibi e fraintesi, tutti passaggi obbligati di un “confrontarsi con” in cui siano dei “tu” che si incontrano, e in cui le identità non sono barriere ma costruzioni virtuali aggirabili. Sono i cristiani in primis, che possono fare questo, che non temono di perdere niente, avendo guadagnato tutto con Cristo.

Che sia possibile una storia migliore da raccontare è dato da un indizio che emerge qui e là nella cultura occidentale: esso è rappresentato da quei pensatori di varia provenienza che sono disposti a identificare nel cristianesimo elementi in grado di giustificare la possibilità di un fiorire umano (penso qui in particolare a Miroslav Volf). Questa possibilità solo il cristianesimo sembra garantirla.

Ecco una sfida nella sfida: è vero il cristianesimo ha risorse per il fiorire umano.

Ma quale cristianesimo?

Il vivere e il confrontarsi con … ha il vantaggio di rifuggire dall’equivoco rappresentato da un cristianesimo nominale o culturale. Poiché un discepolo di Gesù nella vita quanto nel confronto non avrà altro scopo che incarnare la vita nuova del Risorto e del suo Regno, e non saprebbe che farsene delle ideologie dei valori cristiani, facili da proclamare quanto altrettanto facili da contraddire … con la vita.

 

 

 

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