Guerra e servizio militare nel Nuovo Testamento

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di Massimo Rubboli

(Questo articolo è tratto dalla nuova pubblicazione dell’autore: I cristiani, la violenza e le armi. Percorsi storici e revisioni storiografiche, Edizioni GBU, 2024)

Nell’Impero romano, l’esercito svolgeva diversi incarichi: dopo la conquista di un territorio, aveva il còmpito di consolidarne il controllo prevenendo o reprimendo ogni forma di protesta e di resistenza, poi vi esercitava le funzioni di polizia, cooperava nei processi giudiziari, eseguiva le sentenze, proteggeva la raccolta delle tasse o le riscuoteva direttamente e si occupava anche della costruzione di strade e ponti.

Le varie funzioni svolte dall’esercito sono presenti nel Nuovo Testamento: Pilato consegna Gesù ai soldati che lo percuotono e lo scherniscono (Mc. 15:15-20; Mt. 27:26-31; Lc. 23:33,36; Gv. 19:1-3); una squadra formata da un centurione e quattro soldati lo crocifigge insieme a due malfattori, che erano stati arrestati in una precedente operazione di polizia (Mc. 15:24-39; Mt. 27:35-38; Lc. 19:18,23-24); il sepolcro di Gesù era sorvegliato da guardie (Mt. 27:64-66); a Cesarea, Pietro viene arrestato dai soldati di Erode Agrippa e “affidato alla custodia di quattro picchetti di quattro soldati ciascuno” (Atti 12:4); a Gerusalemme, Paolo è salvato dal tribuno militare Claudio Lisia, accompagnato da soldati e centurioni della cohors equitata7 (Atti 21:31-36; 22:23-29;23:10), che lo invia di notte al procuratore romano Marco Antonio Felice, scortato fino ad Antipatrida da due centurioni, “duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri”, e poi a Cesarea, con la scorta dei soli cavalieri (Atti 23:23-24, 31- 32); il tribuno Claudio Lisia scrive un rapporto ufficiale (Atti23:25-30).

È opportuno tenere presente che un motivo ricorrente che emerge chiaramente nel dittico Luca-Atti è “il desiderio di di mostrare che la professione di fede in Cristo è perfettamente compatibile con la lealtà del cittadino romano verso l’Impero”. Per questa ragione, “i rappresentanti del potere romano”, specialmente militari (anche i governatori di provincia erano necessariamente militari), “vengono tutti ritratti in luce favorevole”, ad eccezione del procuratore Felice (Atti 24:22-27).

Mentre i soldati sono di solito presentati negativamente, soprattutto nei vangeli di Matteo e Giovanni (Mt. 27: 27-31, 28:12; Gv. 19:23-24, 29, 32-34), i centurioni sono figure più positive9: Gesù afferma di non aver trovato in Israele una fede più grande di quella del centurione di Capernaum (Mt. 8:5-13; Lc. 7:1-10); alla morte di Gesù, il centurione10 riconosce che “Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc. 15:39); di Cornelio, centurione della coorte “Italica” di stanza a Cesarea, si dice che “era pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia, faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio assiduamente” (Atti 10:2) e nella sua casa, per la prima volta, Pietro fa battezzare degli stranieri “nel nome di Gesù Cristo” (Atti 10:48); durante il trasferimento di Paolo da Cesarea a Roma, il centurione Giulio della coorte Augusta lo salva dai soldati che vogliono ucciderlo (Atti 27:42-44).

Per quanto riguarda il centurione di Capernaum, si è discusso se sia una persona storica o una figura letteraria. Nella prima ipotesi, non potrebbe essere un militare romano perché ai tempi di Gesù l’esercito romano non era presente in Galilea, dove erano stanziate le forze armate del tetrarca Erode Antipa. Dato che sia Matteo sia Luca indicano soltanto che si tratta di un gentile, è probabile che sia un funzionario erodiano, come appare anche dalla versione giovannea (Gv. 4:46-53)11. La questione è comunque di scarsa rilevanza ai fini dell’accertamento della posizione di Gesù nei confronti delle armi e del servizio militare; ciò che conta è il fatto che la professione del centurione non sembra rappresentare un problema e che Gesù non gli chiede di abbandonarla.

Anche Giovanni Battista, quando i soldati gli chiedono cosa devono fare in risposta al suo messaggio, aveva risposto “Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunce e contentatevi della vostra paga”, ma non li aveva invitati a lasciare il servizio militare (Lc. 3:14). Questi e altri episodi presenti nel Nuovo Testamento sono stati spesso usati – da Agostino a Tommaso, da Lutero ad oggi – per giustificare la partecipazione dei cristiani al servizio militare. Inoltre, è stato osservato che Gesù non solo non denunciò l’uso delle armi, ma non sarebbe stato neppure totalmente contrario alla violenza, poiché in un’occasione invitò i discepoli a vendere il mantello per comprare una spada. Quali erano le circostanze di questo episodio? Prima di ritirarsi a pregare nel giardino del Getsemani, Gesù ricorda ai discepoli di averli inviati “senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari” e chiede: “Vi è forse mancato qualcosa?”

Essi risposero: “Niente”. Ed egli disse loro: “Ma ora, chi ha una borsa, la prenda; così pure una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico che in me dev’essere adempiuto ciò che è scritto: Egli è stato contato tra i malfattori [Is. 53:12]. Infatti, le cose che si riferiscono a me stanno per compiersi”. Ed essi dissero: “Signore, ecco qui due spade!”. Ma egli disse loro: “Basta!” (Lc. 22: 35-38)

Dunque, Gesù voleva che i suoi discepoli usassero la spada? Eppure, quando Pietro usò la spada contro coloro che lo stavano arrestando e tagliò l’orecchio del servo del sommo sacerdote, Gesù intervenne per sanare l’orecchio e ordinò a un discepolo, identificato con Pietro in uno dei racconti (Gv. 18:26), di riporre la spada: “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli?” (Gv. 18:10-11; cfr. Mt. 26:52-53; Mr. 14:43-52; Lu. 22:47-53). E poi, di fronte a Pilato, Gesù indicò come prova che il suo regno non era di questo mondo il fatto che i suoi discepoli non combattevano (Gv. 18:36). Allora come interpretare l’invito a comprare una spada? Gesù stesso fornisce la chiave di lettura con la citazione del passo di Isaia: la spada deve servire a compiere la profezia di Isaia, cioè a far apparire Gesù e i discepoli come un gruppo di “malfattori”.

Inoltre, questa scena segna una rottura con il giudaismo, perché Gesù rifiuta di richiedere l’intervento di quelle armate celesti la cui apparizione indica, nella letteratura maccabaica sulla persecuzione e resistenza, che la guerra è giusta ed è condotta da Dio.

Sulla mancanza nel Nuovo Testamento di una condanna del servizio militare, va notato che un argumentum ex silentio non costituisce una prova a favore. Infatti, se Gesù non condanna esplicitamente “i pubblicani e i peccatori” non significa, come insinuano le autorità religiose, che approvi la loro condotta (Lc. 7:34; 15:1). Se Giacomo usa come esempio positivo la prostituta Raab, non significa che elogi la sua professione (Gc. 2:25).

Invece, nel Nuovo Testamento è chiaramente indicato che la violenza non è compatibile con la sequela di Cristo, l’Agnello di Dio (Gv. 1:29, 36). Gesù stesso libera il campo dall’immagine di un Messia politico, che avrebbe guidato il popolo lottando contro l’usurpatore romano, entrando a Gerusalemme sul dorso di un asino (Mt. 21:1-11; Mr. 11:1-11; Lc. 19:28-44; Gv. 12:12-19). Lo aveva predetto il profeta Zaccaria:

“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te;
egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell’asina.
Io farò sparire i carri da Efraim, i cavalli da Gerusalemme e gli archi di guerra saranno distrutti.
Egli parlerà di pace alle nazioni, il suo dominio si estenderà da un mare all’altro, e dal fiume sino alle estremità della terra.” (Zc. 9:9-10)

L’insegnamento degli autori del Nuovo Testamento sembra inequivocabile: i discepoli di Gesù non sono chiamati a migliorare il comportamento delle persone o dei governi del mondo. Paolo sostiene che, mentre la comunità dei credenti deve esercitare un controllo sulla condotta morale dei suoi membri, non deve “giudicare quelli di fuori” (I Co. 5:12), che sono già stati giudicati da Dio, e afferma che il solo messaggio che la chiesa deve proclamare è quello della riconciliazione con Dio per mezzo di Cristo: “Dio ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Infatti, Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi, dunque, facciamo da ambasciatori per Cristo” (II Co. 5:18-19).

Essere ambasciatori della riconciliazione con Dio in Cristo comporta amare il prossimo, perfino i nemici, e costituire una comunità di credenti che sovverta le pratiche del mondo in base all’agape; quindi, esclude l’uso della violenza. Gesù indica questo amore come tratto distintivo dei figli di Dio (Mt. 5:44-45; Lc. 6:35), non come principio etico universale. Pertanto, ritornando alla questione dell’assenza nel Nuovo Testamento di una critica dell’esercizio delle armi, si può concludere che ai soldati non viene richiesto di cambiare occupazione perché non fanno parte dei discepoli di Gesù. Dio incontra le persone nella condizione in cui si trovano e soltanto dopo la loro sottomissione alla signoria di Cristo costoro devono affrontare il problema della compatibilità del loro modo di vivere con l’appartenenza alla comunità dei discepoli. Un dilemma che, come vedremo, ha percorso il cristianesimo lungo tutta la sua storia, ponendo i cristiani – nel caso del servizio militare – di fronte alla scelta dell’obiezione di coscienza.

L’incompatibilità tra impegno militare e coinvolgimento con Cristo emerse progressivamente, non da considerazioni etiche sulla guerra ma piuttosto dalla difficoltà di servire due padroni e di vivere in due contesti diversi, quello dell’Impero e quello del Regno di Dio13. La reticenza al servizio militare ha la sua motivazione nel principio evangelico della necessaria separazione tra il piano politico e la prospettiva escatologica nella quale si situano i cristiani. È in questa prospettiva che le lettere pastorali propongono il modello del “soldato di Cristo” che combatte il “combattimento cristiano” (I Tm. 6:12; II Tm. 4:7), utilizzando metaforicamente il lessico della guerra14 e soprattutto la panoplia del soldato: il cristiano rivedella speranza (I Tess. 5:8; cfr. Ef. 6:10, 14-17). Queste sono le “armi della luce”, necessarie per lottare contro le “opere delle tenebre” (Ro. 13:12), e l’“armatura di Dio” per affrontare le “insidie del diavolo”:

Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento, infatti, non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; oltre a tutto ciò, prendete lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. (Ef. 6:11-17)

Molto probabilmente, l’adozione di questo linguaggio di uso comune da parte di Paolo e poi nella letteratura cristiana antica favorì l’accettazione da parte delle comunità cristiane di una realtà in contrasto con l’insegnamento evangelico.

 

 

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