Jimmy Carter, 1924-2024

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di Massimo Rubboli

Su Jimmy Carter si veda anche: L’evangelicalismo di Jimmy Carter, di Daniel K. Williams

A 100 anni, dopo una lunga malattia, il 29 dicembre 2024 si è spento Jimmy Carter, 39° presidente degli Stati Uniti, che aveva scelto di non prolungare le cure mediche in ospedale e di ricevere soltanto cure palliative nella propria casa di Plains, in Georgia, dove aveva vissuto con la moglie Rosalynn dal giorno del loro matrimonio il 7 luglio 1946.

Nelle elezioni presidenziali del 1976, che si svolsero in un paese ancora segnato dalle dimissioni di Nixon in seguito allo scandalo Watergate, Carter sconfisse il candidato repubblicano Gerald Ford ma fu presidente per un unico mandato, perché nelle elezioni del 1980 fu sconfitto da Ronald Reagan, sull’onda della crisi legata all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre 1979 e al sequestro, un mese prima, dei dipendenti dell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran (dopo quasi sei mesi dall’occupazione dell’ambasciata, Carter aveva autorizzato un’operazione delle forze speciali per liberare gli ostaggi che fallì clamorosamente). La vittoria di Reagan, favorita anche dal sostegno della Nuova Destra Religiosa, dipese dal desiderio di una parte dell’elettorato di ridare forza al primato politico, economico e militare degli Stati Uniti, che Carter non aveva sostenuto con la risolutezza mostrata dal candidato repubblicano, e la sua ricerca di soluzioni pacifiche, come nel caso dei Trattati del Canale di Panama del 1977, era stata considerata responsabile di un indebolimento dell’immagine degli Stati Uniti nel mondo.

Dopo la fine della sua presidenza, fondò insieme alla moglie il Carter Center, con sede ad Atlanta, che si è occupato della difesa dei diritti umani, dell’osservazione elettorale neutrale in paesi di “democrazia recente” e dell’aiuto umanitario e medico-sanitario nelle zone colpite da calamità naturali.

Nel 2002, fu insignito del Premio Nobel per la pace con questa motivazione: “per i decenni di sforzi instancabili per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, per far progredire la democrazia e i diritti umani e per promuovere lo sviluppo economico e sociale”. Si trattò di un riconoscimento della sua politica estera e, in particolare, della mediazione che aveva portato alla firma, a Washington, il 26 marzo 1979, del Trattato di pace israelo-egiziano, che pose fine al lungo conflitto tra i due paesi.

 

Un “born-again Christian”?

Carter non nascose mai che il suo impegno politico fosse motivato dalla volontà di mettersi al servizio della società civile e che questo spirito di servizio fosse fondato sulla sua fede evangelica[1], che lo portava a volere servire gli altri stando tra di loro e non al di sopra di loro. Carter volle dare un segno di questa sua volontà di servizio fin dal 20 gennaio 1977, giorno del suo insediamento, quando – insieme alla moglie Rosalynn – percorse a piedi Pennsylvania Avenue fino alla Casa Bianca.

Il 23 marzo 1976, durante le primarie del Partito democratico in North Carolina, rispondendo alla domanda di un giornalista, Carter affermò di essere un “born again Christian”, cioè un cristiano nato di nuovo. Il giorno dopo, nei programmi televisivi e sulla stampa degli Stati Uniti alcuni giornalisti sostennero che il candidato della Georgia apparteneva alla setta religiosa dei “nati di nuovo”, notizia che fu ripresa anche dalla stampa italiana! In realtà, Carter aveva soltanto fatto riferimento al cap. 3 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù, a Nicodemo che gli domandava cosa dovesse fare per entrare nel regno dei cieli, rispondeva che sarebbe dovuto “nascere di nuovo”. Si tratta di una metafora ben nota agli evangelici, per i quali significa che la salvezza richiede la conversione; quindi, non suscitò nessuna sorpresa a chi aveva dimestichezza con immagini bibliche, ma sorprese e trasse in inganno chi non lo conosceva.

 

Una fede vissuta

Per quanto riguarda la sua appartenenza denominazionale, Carter fu sempre membro attivo di una chiesa battista[2]. Una delle caratteristiche del battismo è la separazione tra stato e chiesa e Carter si attenne sempre a questo principio e non esibì mai la sua fede personale a scopi politici.

Nella retorica politica americana – in particolare nei discorsi dei candidati alla presidenza – è molto comune l’uso di riferimenti biblici, perché il linguaggio biblico risulta familiare a milioni di elettori che – almeno da giovani – hanno frequentato una chiesa nella quale hanno ricevuto un insegnamento biblico. Carter, invece, fece sempre un uso molto discreto della sua fede nei discorsi pubblici (più di Lincoln, Franklin Roosevelt, Eisenhower e Reagan), ma ne dimostrò l’autenticità – prima, durante e dopo la sua presidenza – con l’impegno personale sia come diacono e insegnante della scuola biblica domenicale nella chiesa battista di Plains sia come volontario dell’associazione Habitat for Humanity, con la quale lavorò dal 1984, insieme alla moglie, come carpentiere nella costruzione di case per famiglie indigenti.

Nel 2006, lui e la moglie lasciarono la Southern Baptist Convention, che aveva modificato la propria base di fede escludendo le donne dal pastorato, e aderirono alla Cooperative Baptist Fellowship[3].  Nel gennaio del 2007, Carter è stato tra i promotori del “Nuovo patto battista”, un’alleanza creata per riunire le varie anime del battismo e rappresentare “una voce battista autentica e profetica per questi tempi difficili, […] accogliere gli stranieri tra noi e sostenere la libertà religiosa e il rispetto per la diversità religiosa”.

L’eredità politica di Carter fu in parte raccolta da Obama. Oggi, è difficile dire se emergerà qualcuna/o in grado di recuperare l’impegno di Carter e Obama per la pace, la giustizia sociale e i diritti umani.

 

Massimo Rubboli ha insegnato Storia dell’America del Nord e Storia del Cristianesimo presso l’Università di Genova, ha pubblicato diversi libri e articoli che illustrano la vicenda storica del cristianesimo e in particolare di alcune aree geografiche nonché di alcune chiese.
Per le Edizioni GBU ha pubblicato diversi volumi tra cui: La guerra santa di Putin e Kirill. Il fattore religioso nel conflitto russo-ucraino (2022), e il volume fresco di stampa: I cristiani, la violenza e le armi. Percorsi storici e revisioni storiografiche (2024)

 

[1] Sul rapporto tra la sua fede evangelica e la sua presidenza, vedi Richard Hutcheson, God in the White House: How Religion Has Changed the Modern Presidency, New York 1988, pp. 114-51; Richard V. Pierard e Robert D. Linder, Civil Religion and the Presidency, Grand Rapids, MI 1988, pp. 231-56; Gary Scott Smith, Faith and the Presidency, Oxford – New York 2006, pp. 293-324.

[2] Il Battismo è la più numerosa famiglia protestante degli Stati Uniti, che conta oltre 30 milioni di membri suddivisi in una miriade di associations, conferences e conventions. Sono battisti l’ex presidente Bill Clinton l’ex vice-presidente Al Gore; lo era anche il presidente Harry Truman.

[3] Jimmy Carter, “Lascio la mia denominazione per l’uguaglianza tra uomo e donna”, in Massimo Rubboli, I battisti. Un profilo storico-teologico dalle origini a oggi, Torino 2011, pp. 190-4.

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