La Riforma del “pensare” storico

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di Giacomo Carlo Di Gaetano

È uso ormai da qualche decennio, in Italia, che il 31 ottobre sia una data in cui la ricorrenza, convenzionale, dell’inizio della Riforma protestante (1517) venga segnalata da una serie di iniziative. Le iniziative sono in crescita, sotto la rubrica di vari slogan che coinvolgono la memoria ma anche l’attualizzazione e la realtà del senso della Riforma protestante.

Un clima del genere, sebbene attenga, per il momento, all’enclave evangelico e protestante, non può che essere positivo per un contesto storico e ideale come quello italiano dove abbiamo nell’archivio dell’identità nazionale il passaggio sulla “Riforma mancata” di Piero Gobetti (1901–1926).

Alla precarietà ed esiguità del recupero della memoria (che è comunque un fatto positivo, lo ribadiamo) si aggiunge anche la constatazione che un tale recupero risente delle varie anime del mondo evangelico che mettono in campo sguardi retrospettivi diversi sulla Riforma. Agli estremi abbiamo lo sguardo quasi agiografico di chi “inventa” una Riforma fatta di eroi a quello più ponderato dell’analisi storica (che è quello a cui ci sentiamo più vicini).

Ma questa pluralità degli approcci al fenomeno riformistico del 1500 e a ciò che significa nell’oggi, fa emergere un tema suggestivo che cercherei di esplicitare in questo modo: in che modo il “pensare” storico (che è memoria, rievocazione, ricordo, etc.) può e deve beneficiare esso stesso di alcuni principi che la Riforma ha introdotto nella storia e nella sensibilità dell’Occidente? Se la Riforma è stato quell’evento che ha riproposto la centralità della Bibbia per tutte le aree dell’esistenza, in che modo questa centralità condiziona lo stesso approccio alla storia?

 

Ci sarebbero diversi percorsi che potrebbero intraprendersi e questa riflessione non è altro che uno spunto. L’area coperta dalle riflessioni storiografiche è amplissima e abitata da tanti luminari che hanno segnato la stessa coscienza occidentale.

Proviamo però a fare questo esercizio.

La prima proposta concerne l’evento storico della Riforma in sé e per sé. Dobbiamo fale nostra la constatazione, che orami è acclarata, che forse sarebbe più corretto parlare di vari rivoli della Riforma, di “riforme”, non sempre sovrapponibili. Personalmente metterei tra parentesi, in questa piccola riflessione “evangelica”, l’interrogativo se la Controriforma sia essa stessa una Riforma.

Quando parliamo di Riforma “protestante”, infatti, abbiamo tra le mani un materiale estremamente variegato e plurale per dinamiche temporali (basti pensare alle differenze tra l’Europa del 1517 e quella della Notte di San Bartolomeo, 1572), per fenomeni sociali (da Enrico VIII alla rivolta dei contadini), per sensibilità culturali e teologiche, e così via.

Forse, il segno più forte, più marcato della pluralità e perfino dell’eterogeneità della Riforma è dato dalla distinzione che si va sempre più affermando e chiarificando tra Riforma Magisteriale (che si affida al magistrato – leggi Lutero e Calvino) e Riforma Radicale.

Se si vuole capire che cosa ha realmente prodotto la stessa riscoperta riformistica di Lutero (la giustificazione per fede), la pedagogia catechistica di Calvino e gli esperimenti ecclesiastici di Zwingli non bisogna solo guardare alla lunga e orribile sequela della repressione controriformistica. Bisogna guardare al coraggio che ebbero gli Anabattisti di portare la Riforma agli estremi, con il gesto eclatante del battesimo degli adulti. La Riforma non doveva fermarsi all’ambito della teologia e divenire poi scolastica e poi ancora guerra di religione, doveva toccare il cuore dell’esperienza cristiana: il modo di essere chiesa secondo il Nuovo Testamento e l’impatto che questo doveva avere nella società, nei rapporti tra Stato e Chiesa, tra cultura e fede.

La Riforma del pensiero storico (e delle celebrazioni) che guarda alla Riforma passa dal riequilibrio e dalla riscoperta della Riforma radicale. Il 1525 (anno in cui si registrarono i primi battesimi degli adulti) deve essere affiancato al 1517, con buona pace di Lutero, e Calvino, che avevano in orrore il coraggio degli Anabattisti fino al punto di perseguitarli!

 

C’è un secondo punto, ideale, in questa «riforma del pensare storico». Esso concerne l’epicentro da cui tutto si propagò. Sicuramente si trattò della Bibbia, del sola Scriptura – a questa proposito, e a beneficio di questa riforma del pensare storico, dobbiamo ricordare che i cinque “SOLA” non vennero dalla scrivania di Lutero o di Calvino, così tutto di un botto, ma furono il frutto anch’essi di una riflessione, guarda caso, storica!

Ma dietro e dentro il sola Scriptura agiva il principio umanistico del ritorno alle fonti (ad fontes). Lo scrive molto semplicemente Giancarlo Rinaldi nel suo Breve profilo di storia del cristianesimo. Dalla Riforma a oggi: «La parola d’ordine circolante tra gli umanisti era “tornare alle fonti”; questa stessa formula la ritroveremo anche tra i riformatori desiderosi di tornare alla Bibbia quale fonte, unica, della verità per il cristiano» (p. 19).

Una «riforma del pensare storico» deve dunque preoccuparsi di guardare alla Riforma con l’acribia dell’umanista del ‘500.

Non deve accontentarsi delle tradizioni che incapsulano il passato. Queste tradizioni, che possono essere di ordine confessionale (p.es. luteranesimo, calvinismo, anabattismo, etc.) appaiono, soprattutto oggi, di ordine puramente ideologico e hanno un evidente risvolto di politica ecclesiale. Almeno in due direzioni: accentuare, sul piano della memoria – perché è di questo che parliamo – il solco della contrapposizione tra i cosiddetti “evangelicali” e cosiddetti “liberali”; in secondo luogo, affermare una leadership intellettuale nei confronti di un evangelismo che per il fatto di concepirsi (o essere etichettato) come “fondamentalista” e “pentecostale”, di per sé ha bisogno di una educazione teologica che includa anche la formattazione della memoria.

Se vogliamo essere fedeli allo spirito riformistico, dobbiamo tornare alle “fonti” della Riforma. L’umiltà e l’entusiasmo umanistico che si immerge nel mare delle fonti storiche può essere una panacea per chi da un lato vuole leggere nella Riforma le dinamiche contemporanee ma anche per chi vuole costruire un’età dell’oro da contrapporre al dominio del Cattolicesimo. Ma anche per chi potrebbe erroneamente sentirsi senza un album di famiglia.
Su tutti noi evangelici italiani incombe l’intuizione ottocentesca: nel mentre si accumulavano “fonti” relative ai fatti di religione della penisola, incluso quelle sulla diffusione della Riforma in Italia, si interpretava lo stesso spirito riformistico con un sonoro quanto sorprendente: “non siamo né protestanti né cattolici”.

 

Il terzo elemento di una riforma del pensare storico deve riguardare il racconto della storia nel presente. Perché celebriamo il 31 ottobre? Che cosa ci muove veramente? Qui la «riforma del pensare storico» deve per forza di cose prendere una strada “biblica”. Possiamo imparare da Ebrei 13:7–9

7 Ricordatevi dei vostri conduttori, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio, e, considerando quale sia stata la fine della loro vita, imitate la loro fede.
8 Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno. 9 Non vi lasciate trasportare qua e là da diversi e strani insegnamenti; perché è bene che il cuore sia reso saldo dalla grazia

Una straordinaria sintesi di un’autentica riforma della memoria.
Il ricordo, la celebrazione sono in funzione dell’esaltazione (soli Deo gloria) dell’unica realtà che trascende il tempo, anche il tempo della storia, vale a dire Gesù Cristo, il Risorto, il Vivente (solus Christus).

Ed è solo questa esaltazione, nel fluire delle generazioni, e delle epoche storiche, che ci permetterà da un lato di stare fermi nella grazia (sola gratia) e dall’altro lato di ringraziare per gli esempi del passato che vanno considerati nella loro umanità (considerando la loro fine – incluso i loro errori?) e di prendere ciò che ci lasciano, la fede, che è la cosa che possiamo manifestare qui, oggi, anche il 31 ottobre del 2024, poiché è la nostra fede, non quella di Lutero e Calvino (sola fide)!

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