Articoli

Tempo di lettura: 3 minuti

Di Francesco Schiano Lomoriello, Staff GBU Napoli.

L’espressione “ricerca del Gesù storico” fa riferimento allo sforzo di ricostruire un ritratto di Gesù di Nazareth che scavalchi quello offerto dai vangeli, per giungere più vicino possibile alla verità storica.

L’assunto di partenza è che gli autori dei Vangeli non siano stati motivati dal desiderio di riportare la verità oggettiva, ma da intenti teologici e dottrinali. Pertanto, li si accusa di avere inserito nei loro racconti fatti non accaduti realmente, o almeno non nelle modalità descritte, per sostenere le posizioni delle comunità cristiane di cui erano espressione.

Tre fasi della ricerca

Oggi si riconoscono tre fasi della ricerca:

– La prima si è sviluppata tra il XVIII e la prima parte del XX secolo. Il Razionalismo di derivazione illuiminista spinse studiosi come Hermann Reimarus a suggerire la differenza tra il “Cristo della Fede” e il “Gesù della Storia”. Vennero scritte biografie di Gesù che erano soprattutto il tentativo di razionalizzare e naturalizzare i vangeli, epurandoli di tutti gli elementi sovrannaturali. Rudolf Bultmann è stato l’ultimo protagonista di questa fase e colui che vi ha posto fine. Egli suggeriva che il Gesù della Storia fosse inaccessibile alla ricerca. Tale conclusione era stata motivata dalla constatazione che ogni biografia di Gesù pubblicata nei precedenti 2 secoli aveva offerto un ritratto diverso dalle altre, alimentato non tanto dagli auspicati criteri di oggettività, quanto dall’orientamento e dai pregiudizi di chi l’aveva proposto.

– Proprio un discepolo di Bultmann, Ernst Kasemann, è stato l’iniziatore della seconda ondata di studi sul Gesù storico. Convinto, a differenza del suo maestro, della possibilità di colmare il gap tra il Cristo della Fede e il Gesù della Storia attraverso lo studio critico dei testi del Nuovo Testamento. Era la metà del XX secolo e questa stagione durò poco perché importanti scoperte archeologiche imposero un nuovo approccio alla ricerca.

– Studi basati su scoperte come la biblioteca di Nag Hammadi e i rotoli di Qumran permisero agli storici di giungere a una conoscenza più profonda della società e della cultura del Medio Oriente antico. Tale conoscenza è il fondamento dell’approccio della terza fase della ricerca sul Gesù storico. A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, sempre più studiosi si sono interessanti alla possibilità di distillare la verità storica dai testi del Nuovo Testamento. Questo non solo attraverso un lavoro filologico e letterario, ma attraverso l’analisi dei resoconti biblici alla luce delle conoscenze acquisite sulla società nella quale Gesù visse e i vangeli furono scritti. Una caratteristica importante di questa terza fase è la presenza tra i suoi animatori di studiosi atei e agnostici, che in alcuni casi sono cristiani deconvertiti.

Come affrontare la questione

Confrontarsi con le opere di studiosi, passati e presenti, che mettono fortemente in discussione l’affidabilità dei racconti evangelici può rappresentare una sfida di non poco conto per i credenti. Tuttavia abbiamo gli strumenti per affrontare tale sfida e trasformarla in un’opportunità evangelistica.

1. I testimoni oculari e il vero Gesù

L’assunto di partenza a cui abbiamo fatto riferimento, cioè la convinzione che i Vangeli canonici non rappresentino resoconti storici ma ricostruzioni teologiche della figura di Gesù, non è assolutamente dimostrato. Le prove interne sembrano suggerire tutt’altro. Se si pensa alla presenza di tanti particolari non necessari alla narrazione (il numero di pesci pescato alla seconda pesca miracolosa, il giovane coperto da un lenzuolo presente all’aresto di Gesù, il fatto che Giovanni arrivò al sepolcro prima di Pietro, ecc.), alle storie che mettono in cattiva luce i discepoli, o alla dichirazione d’intenti che Luca offre all’inizio del suo Vangelo (…è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine…), si può sostenere ragionevolmente che gli evangelisti abbiano riportato testimonianze oculari con lo scopo di presentarci il vero Gesù.

Proprio la categoria della testimonianza è quella che suggerisce lo studioso Richard Bauckham nel suo Gesù e i testimoni oculari1 per comprendere correttamente il genere letterario Vangeli. Estremamente soggettivo, ma non per questo non attendibile.

D’altra parte, la data di pubblicazione degli scritti del Nuovo Testamento, collocabile al più tardi tra il 60 e il 95 d.C., rende piuttosto difficile sostenere che essi contengano miti e leggende, visto che i testimoni oculari dei fatti narrati erano ancora in circolazione in quegli anni.

2. Incontrare il Cristo con la ricerca del Gesù storico

Oggi la maggior parte degli studenti è convinta che la Bibbia non sia un testo affidabile; parlare di Gesù a partire da ciò che affermano i Vangeli spesso vuol dire scontrarsi con questo pregiudizio. In un contesto simile, la ricerca del Gesù storico rappresenta un punto di incontro tra il credente e lo scettico. In altre parole, ci si può avvicinare ai testi del Nuovo Testamento da scettici e analizzarli con gli strumenti della storiografia moderna. Si può cercare di capire chi sia stato Gesù di Nazareth, senza dover prima accettare la dottrina dell’ispirazione della Bibbia, e incontrare il Cristo.

Non mancano le testimonianze di persone comuni e studiosi2 che, analizzando i Vangeli da non credenti, sono finite per riconoscere Gesù come loro Dio e Signore, proprio come accadde al primo scettico, il discepolo Tommaso.

  1. Bauckham R., Gesù e i testimoni oculari, Ed. GBU, Chieti 2010 ↩︎
  2. Si vedano, ad esempio, i seguenti libri di autori che hanno raccontato la loro esperienza: Chi ha rimosso la pietra?, F. Morison, Più che un falegname, J. MacDowell, Il caso Gesù, L. Strobel ↩︎
Tempo di lettura: 4 minuti
Di Cristiano Meregaglia, Staff GBU Milano.

L’articolo è la sintesi del seminario che lo stesso Cristiano ha proposto ai coordinatori durante la Formazione GBU (ndr)

Imagine there’s no heaven / It’s easy if you try / No hell below us / Above us only sky / Imagine all the people / Living for today… / Imagine there’s no countries / It isn’t hard to do / Nothing to kill or die for / And no religion too / Imagine all the people / Living life in peace…

Lennon, John. Imagine

Così cantava John Lennon nel 1971, auspicando un tempo in cui le persone potessero vivere, finalmente, solo per l’oggi, senza essere oppresse dal pensiero di un paradiso o un inferno che si schiudessero loro davanti al momento del trapasso. Un mondo in cui non ci fossero nazioni e religioni, contrapposte le une alle altre, ad impedire una pace altrimenti possibile.

Certo, seppur a distanza di più di 50 anni, queste parole e questi auspici sono ancora presenti, e forti, nella società in cui viviamo. Parole che sembrano suggerire che la fede è non solo razionalmente insostenibile, ma anche moralmente dannosa. Pertanto, la società risulterebbe molto più funzionale se, da essa, si sradicasse ogni radice religiosa.

Il “nuovo” ateismo

Tutto ciò è stato sostenuto, in modo esplicito, dai principali esponenti del cosiddetto movimento del New Atheism. Questi hanno dedicato lunghe pagine a descrivere, senza mezzi termini, i grandi mali che la religione ha prodotto nella storia. Dalle crociate alla Jihad, dalle guerre di religione ai regimi teocratici contemporanei, questi intellettuali hanno messo bene in evidenza come la soluzione per un mondo migliore sembri essere proprio quella prospettata dal cantante dei Beatles.

È interessante notare, però, che, sebbene questi autori vengano appellati come nuovi atei, le tesi che sostengono sono tutt’altro che nuove. Esse sono infatte desunte, a tutti gli effetti, dalle riflessioni di pensatori del passato. Tra questi pensatori del passato è impossibile ignorare Bertrand Russell. Con la raccolta di saggi confluiti nel testo Perché non sono cristiano, Russell rappresenta, a tutti gli effetti, un riferimento normativo per buona parte della letteratura prodotta in seno al nuovo ateismo. 

La religione: una malattia da estirpare

In uno di quei saggi, intitolato “La religione ha contribuito alla civiltà?”, infatti, Russell espone proprio quelle tesi che, decadi dopo, Dawkins, Hitchens, Harris, Odifreddi, Augias e altri intellettuali contemporanei continuano a proporre per sostenere il danno prodotto dalla religione. Nella fattispecie, Russell sostiene che la religione sia «una specie di malattia, frutto della paura e fonte di indicibile sofferenza per l’umanità». Questo sostanzialmente per due motivi che hanno a che fare con la sfera intellettuale e con quella morale. Infatti, da un lato la religione impedisce il libero pensiero e la libera indagine razionale; dall’altro imponendo una morale, ritenuta assoluta e ancorata a concetti arcaici, produce i conflitti alla base dell’infelicità umana. Così, infatti, si esprime a conclusione del suddetto saggio:

«Con il progresso del sapere e della tecnica, la felicità universale può essere raggiunta; ma il principale ostacolo alla loro utilizzazione per tale scopo è l’insegnamento della religione. La religione impedisce ai nostri figli di ricevere un’educazione razionale; la religione ci impedisce di rimuovere le cause fondamentali delle guerre; la religione ci impedisce di insegnare l’etica della collaborazione scientifica in luogo delle vecchie, aberranti, dottrine di colpa e castigo. Forse l’umanità è alla soglia di un periodo aureo; ma per poterla oltrepassare sarà prima necessario trucidare il drago di guardia alla porta: questo drago è la religione».

Russel, B. “Perché non sono cristiano”, Longanesi & C., Milano, 1960, p.24

Ora, per quanto mordenti siano tali critiche, è utile sottolineare che è lecito, e forse doveroso, essere d’accordo con alcune delle istanze presenti nel saggio. È indubbio, infatti che diverse persone, reclamanti il nome di cristiani (o di altre religioni), nel corso della storia, abbiano compiuto azioni effettivamente riprovevoli, spesso abusando della posizione sociale fornita loro dalla religione; ed è altrettanto condivisibile l’insistenza sulla necessità di rifiutare una fede acritica, che non sia consapevole di ciò che crede e del perché lo creda.

Stante ciò, però, è anche necessario indicare come tali critiche, in verità, si espongano a delle forti contro-obiezioni, le quali possono essere articolate secondo tre linee di risposta.

1. Ciò che Cristo predicava e l’impatto sulla società

Innanzitutto è facilmente dimostrabile come il cristianesimo vero, quello incarnato e predicato da Gesù Cristo stesso, sia radicalmente diverso dalle altre religioni e, in molti casi, dalla rappresentazione che di esso ne hanno fatto i cristiani. Il vero cristianesimo, infatti, lungi dall’essere fonte di violenza, ha alla propria radice la persuasione attraverso la contrizione interiore, piuttosto che la costrizione esteriore tramite l’uso della forza. Non è un caso, perciò, che, quando Gesù, a poche ore dalla sua condanna a morte, si trovò nel Getsemani e Pietro provò a difenderlo con le armi dai suoi nemici, non solo ordinò al suo discepolo di riporre la spada nel fodero, ma guarì anche il servo del sommo sacerdote che era stato ferito proprio da quella spada (Mt 26:51-52; Lc 22:51)

È facile mostrare, inoltre, che il vero cristianesimo non solo non è causa di male per la società, ma che, piuttosto, la società intera ha beneficiato dell’influsso del cristianesimo, il quale ha generato ospedali, croce rossa, orfanatrofi, università… al punto che un giornalista ateo ha potuto scrivere, su The Times, che, in Africa, il contributo che l’evangelismo ha dato per il progresso della società è stato di gran lunga superiore a quello fornito da qualunque altra organizzazione, governativa o meno che fosse (M.Parris, The Times, 27.12.2008).

2. Una società che vuole liberarsi di Dio

In secondo luogo, si può, altrettanto facilmente, mostrare come una società in cui Dio sia rimosso si apra alla possibilità di qualunque violazione e sopruso da parte dei più potenti, proprio perché si rimuove il presupposto secondo cui si debba rendere conto delle proprie azioni davanti ad un Dio giusto. Di tali situazioni il XX secolo abbonda di esempi, dalla Russia di Stalin, alla Cina di Mao, alla Cambogia di Pol Pot. Il premio Nobel per la letteratura Solzhenitsyn, a riguardo, affermava che «se si chiedesse oggi di formulare nella maniera più conscia possibile la causa principale della rovinosa Rivoluzione che ha inghiottito 60 milioni di persone del nostro popolo, non potrei essere più accurato nel dire: gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è accaduto tutto ciò» (A. Solzhenitsyn, Templeton Prize Address, 1983).

3. Fallacia argomentativa

Si può, infine, evidenziare come proprio i principi in base ai quali oggi si critica la religione sono principi cristiani, principi che non ci sarebbero se non ci fosse stata la rivoluzione culturale prodotta da Gesù e dal conseguente cristianesimo. La libertà, l’uguaglianza, il progresso, la scienza, la pace che sembrano essere messi in dubbio, nella società, dalla religione, sono, in verità, nient’altro che il prodotto del cristianesimo, e noi ne siamo così immersi che sono come l’aria che respiriamo (cfr. G. Scrivener, The air we breath, Introduzione).