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di Andrea Becciolini, Staff GBU Firenze

Sei a lezione, nell’aula che è sempre troppo affollata. Stavolta però sei riuscito a prendere un buon posto per ascoltare ciò che il prof dice e vedere ciò che scrive alla lavagna. Hai la penna in mano e il blocco degli appunti davanti, ma… bastano pochi minuti per renderti conto di quanto poco ci stai capendo. 

Ti è mai capitato? Io non riesco a contare le volte che mi è successo durante il mio percorso universitario. 

Ascoltare, ma non capire…

Partecipare come attore a The Mark Drama mi ha fatto rivivere una sensazione simile. Infatti, mettendo in scena l’intero vangelo di Marco sono stato colpito da come Gesù insegnava, parlava e istruiva in modo molto chiaro e diretto riguardo a chi lui fosse e a ciò che era venuto a fare. Eppure, i discepoli capivano veramente poco!

Fin dai primi capitoli del vangelo di Marco, infatti, si percepiscono i tanti punti interrogativi nella loro mente. “Chi è costui?” si domandano l’un l’altro subito dopo che Gesù calma la tempesta. Pochi capitoli dopo, però, Pietro finalmente esclama “tu sei il Cristo!” in risposta alla domanda di Gesù. 

Il Padre chiarisce ogni dubbio 

Eppure, ciò che segue mostra che i discepoli non avevano veramente ascoltato, compreso, ciò che Gesù era venuto a fare. Infatti, dopo che Gesù spiega che sarebbe dovuto morire e resuscitare, Pietro lo prende da parte e lo rimprovera. Anche in questa occasione però, Gesù dimostra una pazienza e un amore impressionati! Pur allontanando Pietro, riconoscendo lo zampino di Satana nelle sue parole, non si tira indietro dallo spiegare cosa significa seguire il Cristo, cioè rinunciare a se stessi, prendere la propria croce e seguirlo. Inoltre, poco dopo, chiama proprio Pietro per salire sul monte insieme a Giacomo e Giovanni. Lì i tre assistono a qualcosa di glorioso: Gesù è trasfigurato e accanto a lui ci sono Mosé ed Elia, due fra i più grandi profeti dell’Antico Testamento. I discepoli sono presi da spavento, non sanno cosa pensare, dire o fare, ma ecco una voce dal cielo: “questo è il mio diletto figlio, ascoltatelo”. Il Padre spazza via ogni dubbio sull’identità di Gesù e sulla necessità di ascoltarlo! Lui è il diletto figlio di Dio che va ascoltato.

Il diletto Figlio di Dio: ascoltiamolo! 

Il diletto Figlio, in cui il Padre si compiace dall’eternità e per l’eternità. Il diletto Figlio, che ha sempre vissuto in obbedienza al Padre. Il diletto Figlio, che adempie le profezie dell’Antico Testamento venendo al mondo come servo, per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti. Gesù è il diletto Figlio di Dio, caratterizzato da perfetta umiltà e assoluta autorità. 

Per questo è degno di essere ascoltato! Comprendere le sue parole e ubbidire è vita per noi. Infatti, anche se umanamente parlando era follia che il Cristo doveva soffrire e morire, questo era proprio il piano del Padre per salvarci. Anche se umanamente parlando è follia rinunciare a se stessi e considerarsi morti al proprio ego, questa è la chiamata del Figlio.

Ascoltiamolo dunque! Ascoltiamolo questo Natale. Così facilmente ci concentriamo sui regali, i viaggi, le decorazioni, i momenti in famiglia; tutte cose belle e buone che però non devono distoglierci dall’ascoltare il Figlio. Prendiamo così tempo nella Bibbia, non per vivisezionarla né per meramente comprenderla intellettualmente; non leggendola in modo passivo né per spuntare un’attività sulla nostra lista di cose da fare. No! 

Approcciamoci invece in modo intenzionale, attivo, gioioso alla Parola di Dio chiedendo al Padre di aprirci le orecchie per poter ascoltare il suo diletto Figlio.

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Di Gianluca Nuti, ex studente GBU e oratore al GBU Summer Camp 2022

L’estate sta finendo. Questo era il punto di partenza del Summer Camp 2022. Non proprio una prospettiva incoraggiante! Eppure, man mano che si avvicina l’autunno, è facile avvertire un senso di nostalgia, o addirittura di vaga delusione: dove sono le risate, le abbuffate, il relax tanto attesi durante l’anno? Com’è possibile che tutta la felicità che ho sperimentato sia svanita così in fretta? Forse una sessione estiva più lunga del previsto, forse un viaggio cancellato per problemi di Covid; sta di fatto che proprio il periodo dell’anno più solare e rilassante ci svela il carattere sfuggente della felicità. L’estate sta finendo, anche se sembra essere iniziata solo ieri.

La risposta che non ci aspetteremmo

Viene naturale chiedersi allora in cosa consista la felicità. E forse, addirittura, quale sia il senso della vita! Domande importanti per tutti, ma domande cruciali per chi studia all’università e si prepara a dire la sua nel mondo. Spesso, anche inconsapevolmente, rivolgiamo queste domande alle grandi menti di varie epoche. Le risposte che sentiremo da loro probabilmente plasmeranno la nostra vita. Chi vorrebbe perdersi un TED Talk di Alessandro Barbero o del grande (oggi compianto) Piero Angela sul senso della vita? 

Ma cosa succederebbe se il nostro conferenziere, una volta salito sul palco, ci dicesse che tutte le sue ricerche sull’argomento non lo hanno portato a niente? Cercare di capire qual è il senso della vita e come trovare la felicità è come cercare di afferrare il vento: un tentativo inutile. È molto probabile che sentiremmo il terreno tremare sotto ai nostri piedi…

Tutto è vanità

Questa sensazione di smarrimento è la stessa che proviamo quando l’Ecclesiaste, uno dei più grandi sapienti di Israele, dopo una vita trascorsa nel lusso, nei viaggi, nelle relazioni internazionali, nelle scoperte scientifiche e nella produzione letteraria ci comunica molto serenamente che, sotto il sole, tutto è vanità (Ecclesiaste 1:2). Sarebbe a dire, tutto ciò che l’occhio può osservare e la mente può concepire sfugge alla nostra comprensione come uno sbuffo di vento sfugge alla nostra presa. Ancora una volta, non proprio una prospettiva incoraggiante!

Tanta fatica, nessun profitto

Ma per l’Ecclesiaste non può essere diversamente, in un mondo in cui nonostante tutti i faticosi e travagliati sforzi dell’essere umano, “non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1:9). Tutta la fatica che l’uomo sostiene in questo mondo, tutte le ore passate sui libri e i soldi spesi in master di specializzazione, alla fine ci lasciano in mano poco più che un vapore. La carriera? Solo altre fatiche una dopo l’altra, senza un vero punto d’arrivo. La soddisfazione per i propri traguardi? Temporanea e insufficiente, sempre orientata a un risultato ancora successivo, magari migliore, forse più soddisfacente.

L’iperattivismo, la goal-orientation, la spinta verso il progresso tecnologico: tanto movimento, nessun cambiamento. Tutti i nostri progetti e programmi sono esposti al fallimento per il minimo imprevisto (Ecclesiaste 3:1-15) e ogni ricerca del piacere si risolve nell’attesa del piacere successivo (Ecclesiaste 2:1-11). In tutto questo, le nostre mani sono ancora vuote, strette a pugno per cercare di afferrare quel vapore, quella vanità che è il vero senso della vita in questo mondo. E la fatica? Quella sì, rimane. Tanta fatica, nessun profitto.

Il problema dell’uomo

A questo punto, l’unica vera scoperta del nostro sapiente, l’Ecclesiaste, è una non-scoperta: gli esseri umani non possono trovare la saggezza, perché irrimediabilmente peccatori, intrappolati fra le braccia di Follia (Ecclesiaste 7:23-29). Ogni nostra ricerca è destinata ad andare alla deriva, perché noi stessi siamo alla deriva. Ecclesiaste stesso non è un’eccezione, e per questo tutta la sua ricerca porta a un nulla di fatto. 

Il problema di ogni uomo è il problema di ogni studente e di ogni ricercatore: la ricerca di senso nella creatura invece che in Dio. Trovare felicità nelle cose buone della vita invece che nel Dio buono che le ha create. Per questo ancora oggi vale la pena ascoltare i “podcast” dell’Ecclesiaste, per questo ogni studente dovrebbe accorrere alla sua conferenza, riportata parola per parola nella Bibbia: perché quel problema è anche il nostro! Tutti noi cerchiamo senso e felicità nella creazione invece che nel Creatore. Tutti noi, cioè, siamo folli mentre pensiamo di essere saggi.

Tanta fatica, una grande ricompensa

Ma questa non è tutta la storia. L’estate non sta finendo! Dio, proprio quel Dio che abbiamo dimenticato, non ha dimenticato noi. È ancora possibile tornare a Lui prima dell’ultimo giorno; l’ultimo giorno delle nostre vite, ma anche l’ultimo giorno di un mondo stanco e prossimo alla sua fine (Ecclesiaste 12:1-10). “Ricòrdati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza” è la chiamata che l’Ecclesiaste rivolge con forza a tutti noi e che ha rivolto anche agli studenti del GBU durante il Summer Camp 2022. La chiamata a ritrovare la strada di casa, verso il Dio che ci ha progettati e formati, e nelle cui mani viviamo le nostre vite, anche senza rendercene conto.E la fatica? La fatica rimane, la vanità è ancora qui, ma per poco. Gesù, la Parola creatrice, dal suo trono sopra il sole dice: “Io faccio nuove tutte le cose” (Apocalisse 21:5). In ultima analisi, la chiamata dell’Ecclesiaste è la chiamata a trovare in Gesù la nostra felicità. Perché solo grazie a lui il nostro più grande problema, il peccato, è stato risolto. E perché solo in Cristo anche la più piccola fatica avrà una grande ricompensa.

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La sessione estiva è uno dei momenti più temuti dagli studenti universitari, il caldo e la pila infinita di libri da studiare non sono la migliore delle accoppiate!

Io mi trovo ad affrontare la mia ultima sessione estiva e, sarà la stanchezza accumulata in questi anni, ma ho pensato spesso di non avere la voglia o di non potercela fare.

Ogni volta che questi pensieri sfiorano la mia mente, cerco di allontanarli, ricordandomi di alcune lezioni che ho imparato in questi anni di università e che vorrei condividere con voi:

Studiare con entusiasmo è un modo per mostrare a Dio la nostra gratitudine.

“In ogni cosa rendete grazie a Dio”, così scrive l’apostolo Paolo ai Colossesi.

A volte lo dimentichiamo, ma avere la possibilità di studiare non è scontato.  

Se ogni mattina (anche dopo aver scrollato le stories di Instagram in cui tutti sembrano già in vacanza) ringraziamo Dio per questa possibilità, il nostro punto di vista cambia.

Gesù è il miglior compagno di studio.

Lui ha già studiato tutte le materie, non ci distrae chiacchierando, è pronto a sostenerci quando ci sentiamo giù, gioisce sempre delle nostre vittorie e, cosa ancora più straordinaria, ci accompagna fin dentro l’aula d’esame!

“Tu non temere, perché io sono con te.” Isaia 41:10.

A volte pensiamo che a Gesù non importino le nostre sfide quotidiane, ma non è così!

Lui è accanto a noi nelle piccole e nelle grandi cose. 

E sa bene che per noi studenti la sessione di esami è un grande ostacolo da superare, sa che la paura di fallire spesso ci blocca, per questo promette di custodire le nostre menti con la Sua pace, che supera ogni intelligenza (persino quella del professore!). 

Va un po’ meglio?

Spero di sì, ma non è finita qui…

C’è un’ultima lezione che ho imparato in questi anni, forse la più importante di tutti, ma anche la più difficile da tenere a mente: 

Il nostro valore non dipende dalla media dei nostri voti.

Almeno una volta durante il nostro percorso universitario abbiamo pensato di non essere abbastanza, perché un esame non è andato come ci aspettavamo o meritavamo. 

Ma Dio è sempre pronto a ricordarci che il nostro valore non dipende da un numero, ma da chi siamo in Lui.

Spero che, consapevoli di tutto ciò, possiamo affrontare questa sessione con la giusta carica. 

Diamo il massimo ma ricordiamo che, a prescindere dai nostri risultati, Dio ci dice:

 “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo.”  (Isaia 43:4)

Buono studio ragazzi e ci vediamo al Summer Camp!

PS: E poi quanto è bello sapere di poter sostenerci l’un l’altro in preghiera?

Miryam Giorgianni

(GBU Messina)