Tre domande a Giancarlo Rinaldi
(Vivere e confrontarsi con l’Islam)
Da storico del cristianesimo antico le tue ricerche ti hanno spinto oltre il secolo della nascita dell’Islam (VII d.C.), nonché oltre i confini geografici della tradizionale storiografia sulle origini del cristianesimo [qui citerò Cristianesimi e Christiana Clio].
In Cristianesimo e Islam. Fatti e antefatti (2016) ricerchi e descrivi le radici pre–islamiche dell’Islam.
La domanda concerne non il come (bisogna leggere il libro) ma le ragioni, il perché, per quanto sia possibile a uno storico rispondere a una simile domanda.
- Perché nasce una religione (che ha l’aura in premessa di un’irenica fratellanza – sono parole tue) nell’alveo di un mondo che conosceva la diffusione sempre più ampia di una fede, quella cristiana, che avrebbe dovuto essere il punto di ritrovo e di rinnovamento di una nuova umanità, di un “uomo nuovo” come lo descrive Paolo (Efesini)?Mi sono interessato dei rapporti tra l’islàm nascente e la galassia cristiana all’epoca del mio insegnamento presso l’Università degli studi di Napoli l’Orientale. Qui era attivo un Corso di laurea in Studi islamici (credo unico in Italia) e non pochi allievi venivano a interrogarmi, in generale, del rapporto tra le due religioni. Non m’impegnai, come si è soliti, sugli aspetti dottrinali soltanto, ma mi studiai di collocare il problema nel suo contesto storico aurorale. Partii dall’affermazione di un autore siriaco di lingua greca, Giovanni Damasceno, che il mondo del primitivo islàm aveva ben conosciuto. Questa religione, da lui chiamata degli ‘ismailiti’, veniva rubricata tra le ‘eresie’ di quelle che pullulavano nel panorama cristiano del tempo suo. Quasi sempre gli studiosi oggi tralasciano questa informazione e preferiscono schierarsi in due opposte falangi: da un lato i ‘crociati’ che demonizzano in blocco la fede islamica e ognuno che la professa, dall’altro gli ‘ecumenici’ che, in nome di un irenismo ingenuo, pervengono a un “volgiamoci bene” tanto generico quanto sterile. Nel mio libro illustro come l’esperienza di Maometto abbia affondato, e profondamente, le sue radici nel caleidoscopio delle sette giudeo cristiane dell’Arabia del suo tempo. Si tratta di un cristianesimo che potremmo definire ‘ereticale’ poiché difforme dai dettami teologici degli imperatori di Bisanzio ma che lì, tra deserti e oasi, sperduti monasteri e carovane itineranti, prosperava. Una lettura, anche superficiale, del Corano ci consente di cogliere gli echi della letteratura cara a quei cristiani, sono testi che noi oggi chiamiamo apocrifi ma che lì e allora godevano ampia circolazione. Un paziente lavoro di collazione, di cui rendo ragione nel libro edito dai GBU, mi ha consentito di ravvisare le corrispondenze tra le due esperienze religiose e con queste un rapporto di continuità. Poi, naturalmente, le interazioni tra gli uomini e le loro idee subiscono variazioni e conoscono incontri e scontri nella cittadella della storia, ma questa è un’altra vicenda.
- Gli errori del cristianesimo dei primi secoli, che in qualche modo sembrerebbero costituire degli antefatti alla nascita dell’islàm possono essere identificati ancora oggi nel modo in cui il “mondo cristiano” si confronta con il mondo islamico?Non parlerei di “errori del cristianesimo” tout court ma preferirei far riferimento agli atteggiamenti diversificati di gruppi cristiani in un’epoca nella quale religione e politica erano fuse e confuse. Ancora oggi, a differenza di quanto avviene nei paesi d’afferenza cristiana, possiamo ravvisare questa indistinzione di piani in quelle comunità islamiche dove non si distingue la legge di Allah dalla legge civile. Si era in un’epoca dove si credeva in una e una sola verità, ritenendo coerentemente tutto il resto errore o eresia e, inoltre, considerando quest’ultima come pericolo da estirpare. Era lontana l’epoca nostra nella quale le ragioni del dialogo prevalgono su quelle della differenziazione considerata prodroma dello scontro. La rapidissima diffusione del dominio degli arabi e la conseguente affermazione della loro religione furono facilitate dall’insofferenza di numerosissime popolazioni del vicino oriente e dell’Africa mediterranea verso il potere bizantino il quale imponeva la sua ortodossia con la forza della coercizione e vessava economicamente i sudditi di terre remote da Costantinopoli. Le dispute teologiche ‘bizantine’ sembravano astruse, e così una cristologia che riduceva Gesù a uomo profeta e una teologia enormemente semplificata, quale quella islamica, apparve a molti una prospettiva attraente. Naturalmente, in sèguito, le scimitarre affilate fecero anche la loro parte presso i dhimmi, cristiani sottomessi pian piano e indotti ad abbracciare la fede di Maometto. Un grande storico belga, Henri Pirenne, ha sostenuto, non senza una parte di verità, che la vera cesura tra il mondo antico e quello medievale sia costituita non dalla caduta dell’impero romano (da altri storici considerata ‘silenziosa’) bensì dall’espansione dell’islàm in un Mediterraneo che allora vide mutare profondamente il suo volto.
- Noi crediamo che il messaggio del vangelo sia la risposta a qualsiasi problema di ordine spirituale e morale e questa risposta è costituita del messaggio e dall’opera di Gesù. Suggerimenti su come condividere questo messaggio ad amici e conoscenti musulmani?Se vogliamo prender sul serio il vangelo dobbiamo credere che Gesù sia, lui stesso, la via, la verità e la vita; affermazione da sottoscrivere con difficoltà in una società, quale la nostra, dove si declinano al plurale questi termini, con particolare riferimento al termine ‘verità’, della quale si ritiene che ognuno ne possegga una sua fettina condita con la salsa propria. Bisogna prima di tutto allontanarsi dall’atteggiamento che chiamerei da “battaglia di Lepanto”, cioè da un’ostilità preconcetta, e ciò in base, prima ancora che del precetto evangelico di amore per il prossimo, anche in forza dell’ovvia considerazione del fatto che persone per bene e mascalzoni sono distribuiti e assortiti in ogni etnia, popolo e religione. Noi ‘occidentali’ abbiamo la grande responsabilità di confrontarci con il mondo islamico, ma ogni serio confronto si basa su una chiarezza identitaria dei dialoganti. Ora una società, quale la nostra, a metà strada tra tradizione cristiana e ateismo, secolarizzazione e relativismo rischia di non avere un volto chiaro con il quale guardare con interesse e spirito costruttivo all’altro il quale, invece, la propria identità la conserva. Avere autoconsapevolezza non significa armarsi contro l’altro; tutt’altro: significa disporsi ad ascoltare, ad imparare e crescere culturalmente e spiritualmente. Il Corano andrebbe letto con attenzione al suo contesto storico, proprio come noi siamo soliti fare con la Bibbia. Questo metodo, lo si chiami “storico critico” o “storico grammaticale”, è per noi il frutto di secoli di riflessione e d’indagine razionale così come di esercizio di fede. La condivisione di questo metodo potrebbe costituire un antidoto a perniciosi fondamentalismi. Dal canto mio tenderei a valorizzare il rapporto di filiazione tra le due fedi ma, si tenga ben presente, questo che per noi è un atteggiamento di fratellanza e imparentamento suona addirittura blasfemo per i nostri amici islamici i quali non tollerano che si neghi la provenienza delle rivelazioni affidate a Maometto direttamente da Dio e mai per tradizione recepita. Insomma, mentre noi cristiani non abbiamo difficoltà ad ammettere l’ebraicità di Gesù e il cordone ombelicale che lega la sua predicazione e la sua chiesa al precedente giudaismo, un musulmano rigoroso mai avrebbe tal atteggiamento in merito al rapporto tra la sua fede e quella cristiana. Mi si consentirà un pensiero finale: noi che siamo chiamati a proclamare il vangelo sappiamo che il nostro compito non è quello di convertire (compito che spetta a Dio solo) bensì quello di testimoniare. E il miglior condimento della testimonianza è sempre l’amore. Valga ciò verso ognuno che dialoghi con noi, musulmano o no.
Giancarlo Rinaldi ha insegnato Storia del Cristianesimo presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Si è interessato in particolare al rapporto tra cristianesimo e paganesimo con particolare attenzione alla percezione del secondo nei confronti della diffusione della fede cristiana. Per le Edizioni GBU ha pubblicato Cristianesimi nell’antichità (2008 e ristampe).
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