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Prima parte: Vivere.

di Giacomo Carlo Di Gaetano

Questo è lo schema del titolo degli ultimi Convegni Studi GBU. L’anno scorso (il 16° Convegno, 2023) è stato dedicato all’ateismo: Vivere e confrontarsi con l’ateismo.
Quest’anno (il 17° Convegno, che si terrà dal 31 ottobre al 3 novembre nella storica sede del Grand Hotel Montesilvano) il tema sarà “Vivere e confrontarsi con l’Islam“.

 

È possibile dire qualcosa sui due verbi, vivere e confrontarsi? Che idea intendono veicolare del rapporto dei cristiani con gli universi rappresentati da questi come da altri “ismi” (p.es. Islam – Islamismo).

 

Cominciamo con VIVERE

È indubbio che questo verbo non si limita alla vita della mente, che pur sempre vita è (si dice mente viva, vivace, sveglia …). Guarda a un orizzonte più ampio, al “mondo della vita”, come lo definiva un filosofo e che richiama tutto ciò che è pre – che sta prima – anche dell’intelligenza e dei suoi prodotti (pre–teorico).

I cristiani devono porsi il problema di come vivere insieme a … Il che implica che con i nostri “prossimi” condividiamo tutto. Andiamo insieme in autobus, compriamo nello stesso scaffale, partecipiamo alle riunioni di condominio, abbiamo i figli nelle stesse scuole votiamo alle stesse elezioni (speriamo il prima possibile anche per chi non è “di sangue” italiano – che brutta espressione!).

Dire “Vivere e (confrontarsi) con l’ateismo” significa dire, molto semplicemente, che viviamo insieme, in mezzo, al fianco a donne e uomini in carne e ossa che si professano atei e che, nelle migliori espressioni di questo “ismo” (Bertrand Russell?) vivono, o cercano di farlo, come se Dio non ci fosse.

“Vivere e (confrontarsi) con l’Islam”, va da sé, significa vivere insieme ai musulmani, con tutto ciò che questo comporta in termini di contaminazioni geo–politiche e sociali (immigrazione, terrorismo, educazione, culture materiali, rapporti di genere etc.).

Se dicessimo, per domani, “vivere e confrontarsi con la tecnologia”? Si potrebbe giungere anche a dire, in extremis, vivere insieme, con e al fianco di robot (?).
Postumanesimo!

Il verbo, mi pare, non fa altro che richiamare la precauzione di Gesù rivolta a Dio in preghiera e a noi comunicataci come rivelazione, e secondo la quale pur non essendo del mondo, per un meccanismo teologico glorioso ma complesso (siamo cittadini del cielo), siamo tuttavia NEL mondo (Gv 17 ma anche 1 Cor 7).

C’è dunque una lealtà da esprimere “al mondo” per la quale dovremmo scoprire o riscoprire molti insegnamenti. È esclusa l’ipotesi di scappare dal mondo.

Si tratta forse di ri–scoprire il creato? Non semplicemente facendo i creazionisti e vincendo qualche dibattito su creazione ed evoluzione. Neanche costruendo un “ordine creazionale” schiacciato sulle dimensioni bio–fisiche senza tener conto che il creato è continuamente ricreato dall’azione dell’uomo. Che non c’è solo la natura ma anche la cultura!

O ancora, di intepretare al meglio il “già” sperimentato dai seguaci di Gesù Cristo a cui è stata data assicurazione che il “Regno di Dio” è dentro di voi e, dunque, sulla base di quella assicurazione anticipare, nella totalità dell’esistenza, questa presenza che un giorno (altra assicurazione) sarà onnicomprensiva?
Per esempio vivendo e manifestando il “frutto dello Spirito” (Galati)

Oppure si tratta dello sperimentare in pieno il “non ancora” della redenzione, il che significa fare esperienza dell’incompletezza, della mancanza … e della speranza (maranatha) rispetto a ciò che è stato anticipato duemila anni fa con l’arrivo del vero Re (il regno di Dio si è avvicinato).

E nello stesso tempo fare esperienza dell’umiltà che ci suggerisce di tenerci lontani dalle teologie trionfalistiche, dai valori cristiani che vorrebbero fare del mondo, come è adesso, appunto, un mondo “cristiano”, magari ricorrendo alla politica, dimenticando che no, non siamo giunti ancora a regnare (1 Cor).

Oggi in tema di “vivere con …” stiamo assistendo a un clamoroso rovesciamento epistemologico. La presenza dei cristiani nel mondo sembra non sia più da esprimere con l’espressione “vivere con …” ma, al contrario, pare sia culturalmente e politicamente opportuno, finalmente, riflettere su come gli “altri” devono vivere con i cristiani. Quanto meno in Occidente.

È una vera e propria rivoluzione copernicana che non va però dalla terra ferma al sole al centro con la terra che gli ruota intorno. Ma torna indietro, dal sole fermo alla terra al centro e il sole che gli gira intorno; dalla sfera alla terra piatta! Un mondo a rovescio?

C’è un sintomo evidente di questo rovesciamento per cui, sembra, non dobbiamo più essere noi a vivere con … ma piuttosto gli altri a vivere con noi.
Lo ritrovo in una bella espressione di Pietro (trovano strano), che si trova nella prima delle sue Lettere neotestamentarie:

1 Pietro 4:1 Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che cioè colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, 2 per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio. 3 Basta già il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie e nelle illecite pratiche idolatriche. 4 Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi.

Pietro esprime la preoccupazione, per chi ha seguito Gesù Cristo, per il “tempo che resta da vivere nella carne”. Il discepolo dovrebbe comprendere che, sperimentando egli la stessa “sofferenza” di Gesù Cristo, a causa della rinuncia al peccato, ha da dedicare quel tempo, che poi sarebbe il tempo della nostra vita, a fare la volontà di Dio piuttosto che seguire le passioni degli uomini. Dovrebbe sapere infatti che ha già dedicato molto tempo a “soddisfare la volontà dei pagani”, e qui giù un tipico elenco neotestamentario di vizi che descrivono la società del primo secolo, di “gente senza Dio” (pagani, NVR): immoralità, insane passioni, ubriachezze, orge, bisbocce, abominevole venerazione degli idoli (NTV).

Che si fa allora? Non correte più dietro ai medesimi eccessi dice Pietro ai discepoli. E questo genera, NEI PAGANI, un clima di stupore e di meraviglia che, di conseguenza, trovando strano il comportamento dei cristiani, al pari di quello di uno straniero, invece di accoglierli, oltre a stupirsi, parlano male proprio di loro, dei cristiani.

Il senso si gioca tutto su una comune appartenenza dei termini relativi all’ospitalità dello straniero, che è “strano” perché si muove in modo eterogeneo nei confronti dei costumi della gente del posto, ponendo capo a due possibilità: essere accolto o respinto. In entrambe le possibilità questo strano (nel nostro caso i cristiani), creano stupore, perplessità, meraviglia … e ostilità.

A questo punto dobbiamo sottolineare che coloro che si stupiscono (e inveiscono e protestano e parlano male) sono i pagani; ciò che trovano strano è la rinuncia da parte dei cristiani a correre insieme a loro agli stessi eccessi mentre al contrario si adoperano a fare la volontà di Dio. I pagani alzano la voce e protestano; in qualche caso lo hanno fatto anche appellandosi alle autorità, scandalizzati dal comportamento dei cristiani.
I cristiani fanno altro. Neanche rispondono. Nel caso, “risponderebbero” della speranza che è in loro (3:15), per quello sono sono esortati a essere sempre pronti.

 

Torniamo a noi, oggi: Chi trova strano Chi?

Certo, là dove è in ballo l’integrità della vita dei discepoli (non le ipocrisie dell’ideologia Dio, patria e famiglia), come per esempio nelle terre di persecuzione, i “pagani” continuano a dire male, e non solo. Ma cosa accade qui in Occidente? I cristiani ora vestono i panni dei pagani e sono intenti a vociare contro i loro eccessi, che ora sono ritenuti strani, creano stupore (vedi ultime Olimpiadi di Parigi: il caso delle Drag Queen e della pugile algerina). I pagani, dal conto loro, molte volte, non corrono insieme ai cristiani ai loro eccessi (fanatismo, arroganza, spirito di superiorità). Tutt’al più continano a fare i pagani!

 

Noi non ci poniamo più nell’ottica di “vivere con …” loro, i pagani.
Pretendiamo che siano essi a vivere con noi!
E alle nostre condizioni!

 

Dobbiamo ri-scoprire che cosa significa “vivere con …”. Ben vengano a questo proposito le riflessioni di frontiera, contaminanti.

  • Le riflessioni che ci ricordano che nel vivere con gli altri, con tutti, dobbiamo essere orientati dalla stella polare del vangelo, facendo bene allora a ricercare la pace con chiunque. Rinunciando alla spada (Gesù). O all’orgoglio tanto da far ingelosire gli altri (Rom 11:14); per noi evangelici, rinunciando all’affermazione della nostra identità “protestante” per esempio nell’Approccio Identitario al Cattolicesimo (AIC).
  • Ben vengano le riflessioni che ci stimolano a vedere le continuità presenti nel nondo di Dio, non solo nell’universalità del peccato, ma anche nell’azione provvidente di Dio ovunque: anche nell’Islam?.
  • Ben vengano le riflessioni che ci aiutano a fare autocritica. Che non attribuiscono il clima post-cristiano nel quale siamo ora immarsi (l’aria che repiriamo) alla sciagura dell’Illuminismo o al genio perverso di Nietzsche; o all’evoluzionismo, etc.. Al contrario, riflessioni che si chiedono e ci chiedono: e le chiese dov’erano? Dov’erano nel mentre l’intellighenzia europea inveiva contro le ipocrisie e le contraddizioni del confessionalismo? Quando si chiudevano alle provocazioni della ricerca scientifica? Quando si voltavano dall’altra parte per non udire le rivendicazioni dell’universo femminile, etc.?

Vivere con … deve essere concepito come una vera e propria vocazione sociale, una vocazione nella quale i cristiani dovrebbero creare opportunità.

O forse è meglio dire, dovrebbero essere un’opportunità!

 

Vivere con …. a seguire: CONFRONTARSI CON …

 

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Andy Bannister

Solo perché un racconto utilizza gli stessi nomi e personaggi di un altro non significa automaticamente che le due storie siano collegate. Anzi, dobbiamo capire se questi elementi sono stati presi in prestito o se sono stati ereditati.

Per comprendere la differenza fra eredità e prestito consideriamo un esempio architettonico. Uno dei miei edifici preferiti è il duomo di York, probabilmente la più bella cattedrale d’Inghilterra. La sua storia è affascinante: la splendida chiesa normanna, poi cattedrale, fu costruita al di sopra di una chiesa sassone più antica; l’edificio medievale cresceva mentre la chiesa più antica fu ampliata e rimodernata. Sotto la chiesa sassone, però, c’è qualche cosa di ancora più antico: le rovine di un presidio militare romano. Se fate il tour della cripta, potete scendere attraverso strati di storia fino alle rovine romane nelle fondamenta.

C’è però una differenza sostanziale fra le rovine romane, sassoni e normanne. Nel suo processo di ampliamento, il duomo di York si è sviluppato organicamente dalle chiese più antiche, parallelamente al loro accrescimento e arricchimento. Che dire, però, delle rovine romane nella cripta? Certo, sono state utilizzate delle pietre romane, in quanto era agevole per le maestranze della chiesa sassone avere tonnellate di pietre squadrate sparse intorno e inutilizzate[1]. I Sassoni, però, usarono il materiale romano solo come mattoni da costruzione, non c’è nessuna continuità fra le rovine romane e la chiesa.

In altre parole, il duomo medievale di York ha preso in eredità dalle chiese normanna e sassone, mentre ha preso in prestito dal presidio romano, modificando la funzione delle pietre e gettandole senza troppe cerimonie nelle fondamenta della nuova costruzione.

Nel suo libro The Qur’an and Its Biblical Reflexes, Mark Durie propone un altro esempio che può aiutarci a comprendere la differenza fra eredità e prestito, stavolta preso dalla linguistica. Quando due lingue derivano da una fonte comune, condividono non soltanto delle parole ma anche delle strutture profondamente correlate. Consideriamo, per esempio, le parole per dire «topo» in inglese, islandese e tedesco[1]. In inglese il singolare è “mouse” e il plurale “mice”; in islandese è mus/mys e in tedesco Maus/Mause. Si noti come le forme singolare e plurale mostrino tutte lo stesso schema: una variazione vocalica interna. Questo tratto strutturale condiviso è indizio della derivazione di queste lingue da una fonte comune; hanno, cioè, una comune eredità.

Il prestito, al contrario, di solito è altamente distruttivo. Si pensi alla parola “juggernaut” [furia devastante, ndt], presa in prestito dalla lingua inglese dal sanscrito tramite l’Hindi. Originariamente era Jagannatha, nome sanscrito di una divinità indù il cui culto prevedeva di schiacciare i fedeli sotto le ruote di enormi carri. Quel contesto si era però totalmente perso quando l’inglese ha distruttivamente preso in prestito il termine.

Il Corano e la Bibbia: prestito o eredità?

Un lettore del Corano che abbia anche dimestichezza con la Bibbia noterà presto i frequenti riferimenti coranici a racconti e personaggi biblici. Fra i personaggi presenti nelle pagine del Corano[1] possiamo trovare Aaronne, Abraamo, Adamo, Davide, Elia, Eliseo, Esdra, Gabriele, Golia, Isacco, Ismaele, Giacobbe, Gesù, Giovanni, Giona, Giuseppe, Lot, Maria, Mosè, Noè, Faraone, Saul, Salomone e Zaccaria.

Oltre ai nomi compaiono anche idee e nozioni bibliche: di tutto, dal monoteismo all’adorazione, dall’idolatria al peccato, dalla legge alla Scrittura. Nulla di sorprendente se qualcuno, osservando questo fenomeno, ha concluso che il Corano deve essere un sequel della Bibbia e l’Islam il terzo atto dell’opera, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo. Queste idee e queste nozioni di provenienza biblica, però, sono per il Corano un’eredità o un prestito? Nella mia tesi, la teologia coranica non scaturisce organicamente dalla Bibbia; anzi, come le fondamenta romane del duomo di York, la parola “juggernaut” o la versione fantascientifica del Macbeth, il Corano ha fatto un ricorso massiccio e distruttivo al prestito, perdendo nel processo il contesto e il senso. Il risultato è una grande confusione, fra l’altro, su Dio, la sua natura e la sua identità. Come possiamo dimostrare la mia tesi secondo cui nel Corano non troviamo un’eredità ma un prestito? L’esempio per eccellenza per provarlo è Gesù.

 

…. Continua la lettura prenotando il libro di Bannister che sarà presentato al 17° Convegno Studi GBU: Cristiani e Musulmani adorano lo stesso Dio?, Edizioni GBU

 

[1] Molti dei quali con nomi arabizzati; per esempio, Aaronne è Harun, Elia è Elias e Giona è Yunus.

[1] Mark Durie, The Qur’an and Its Biblical Reflexes, op. cit., p. XL.

[1] «Guardate che cosa i Romani hanno fatto per noi!»

 

*Immagine di jeswin su Freepik

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Mancano ormai solo 14 giorni dall’inizio del IV incontro mondiale del Movimento di Losanna, fondato con lo scopo di riflettere sulla missione dell’annuncio del Vangelo di Cristo al mondo 50 anni fa, su ispirazione di due dei maggiori esponenti dell’evangelismo mondiale dell’epoca: John Stott e Billy Graham. 

In questi 50 anni il mondo in cui viviamo è profondamente cambiato ed anche la situazione del mondo evangelico. Sebbene, nelle sue varie componenti, il mondo cristiano rimanga la prima religione professata, è anche vero che ci sono delle zone di crisi paradossalmente proprio nel mondo occidentale. Se quando, nel 2010, alcuni di noi parteciparono al terzo incontro che si tenne a Città del Capo, il cristianesimo evangelico occidentale sembrava in crisi in Europa, ma non negli Stati Uniti, oggi anche la più importante nazione evangelica del mondo sta vivendo il suo momento di ripensamenti soprattutto se si guardano ai numeri di coloro che assiduamente frequentano una comunità o si definiscono cristiani. Rispetto a 14 anni fa molti sono anche i cambiamenti sociali: siamo nel mezzo di una rivoluzione digitale che, se era minimamente presente a Città del Capo, diviene di fondamentale importanza per quanto sta accadendo oggi.

Per prepararsi a questo incontro che si terrà nella Corea del Sud a Seul-Incheon, come sempre sarà inteso a riflettere su queste differenti situazioni e a cui parteciperanno circa 5000 delegati in presenza con diverse persone che invece potranno seguire i lavori online (questa già una prima grande differenza), il Movimento ha pubblicato un corposo documento che si intitola State of the Great Commission Report (Rapporto sulla situazione del Grande Mandato). Questo testo serve essenzialmente come lavoro preparatorio, ma anche come base per quello che deve essere fatto. E’ un documento di più di 500 pagine, scritto da molti autori (l’elenco è piuttosto lungo), montato con una grafica accattivante e con diverse info-grafiche in cui si ribadiscono alcune delle emergenze del Grande Mandato di Gesù di fare discepoli. Su questo testo e su alcuni dei suoi aspetti torneremo negli articoli che dedicheremo a questo evento.

L’introduzione analizza, da un punto di vista teologico, il significato della missione cristiana e, come già accaduto nei precedenti congressi, si sottolinea come ormai il cristianesimo sia sempre più globale ed coinvolga, con successo, continenti che sino a qualche decennio erano marginali (Sud America, Africa Subsahariana, una parte del continente asiatico). La proposta globale appare essere quella da una parte di mostrare come la missione sia un qualcosa di complesso che implica diversi aspetti della vita umana oltre quello meramente spirituale, dall’altra quella di cercare una lettura adeguata del mondo contemporaneo che appare sempre più complesso e stratificato, nonostante la globalizzazione che avrebbe dovuto avere come sua conseguenza una maggiore omogeneizzazione. Proprio per questo il documento presenta sia capitoli tematici che cercano di leggere il mondo nella sua complessità, sia capitolo divisi per aree geografiche, dove si individuano i maggiori problemi per la missione in una determinata regione del mondo. Vi è quindi attenzione sia alle tematiche globali che ai problemi che possono essere diversi a seconda del luogo in cui si vive e si agisce per la missione.

Il Congresso durerà un’intera settimana, dal 22 al 28 settembre; come per Città del Capo anche in questo caso, per sottolineare la centralità del testo biblico, ci saranno meditazioni e studi sul libro degli Atti che saranno fatti quotidianamente. L’organizzazione appare complessa ed ognuno dei delegati ha dovuto scegliere degli affinity groups in cui si affronteranno le tematiche ed i problemi che riguardano il mondo contemporaneo e dei gruppi di interesse dove si cerca di affrontare varie tecniche per “modernizzare” il discorso missionario (molto spazio è dato al mondo digitale ed alla cura del creato, due argomenti piuttosto caldi ed in cui il mondo evangelico non ha ancora saputo affrontare in modo adeguato). 

Due nuovi target interessanti sono poi i giovani e gli anziani. Il Movimento si rende conto che, negli ultimi anni, il processo di secolarizzazione ha colpito sempre più le fasce giovanili che soprattutto in Occidente vanno sempre meno in chiesa e si identificano sempre meno con il cristianesimo, coinvolgendo in questo tutte le sue varie componenti (cattolico, anglicano, evangelico, protestante storico). Gli anziani o il diventare tali (cosa che coinvolge in parte ormai anche il sottoscritto) è una nuova chiave della vita in Occidente (ma non solo, si pensi anche ad alcuni paesi dell’Estremo Oriente) e bisogna rapportarsi ad essa proprio se la missione, oltre che fermarsi al mero annuncio del Vangelo deve anche tenere conto dell’ambiente sociale in cui si sviluppa.

Come sempre la Delegazione italiana sarà relativamente piccola, composta, a quanto pare da 27 persone, abbastanza rappresentativa del variegato mondo evangelico, ma mai abbastanza. Sebbene ci siano dei criteri di selezione (40% per cento di donne, 40% di persone non a tempo pieno, una forte presenza di giovani leader sotto i 40 anni) non sempre è chiaro come siamo stati scelti. C’è chi ha fatto domanda autonomamente, chi è stato invitato, chi è stato recuperato all’ultimo momento. Sta di fatto che sarà una delegazione variegata, che non si conosce ancora del tutto tra di sé e che speriamo possa avere un congresso proficuo che possa dare dei frutti in seguito a beneficio di tutto il mondo evangelico italiano. Una novità, rispetto alle altre volte, è che saranno presenti anche dei volontari oltre che dei delegati, che coadiuveranno alla buona riuscita dell’evento.

Il problema della missione e di come si debba portare avanti, di quali siano le sfide del presente e del futuro sono un argomento importante soprattutto in un mondo come quello di oggi che è alle soglie del secondo quarto del XXI secolo che appare travagliato ed in cui il messaggio di “tutto il Vangelo” (per usare un’espressione cara al Movimento di Losanna) dovrebbe portare ristoro non solo agli individui ma all’intera società, cercando di portare un messaggio positivo e propositivo per il vivere bene in questo mondo nella speranza del ritorno di Cristo. Speriamo che Losanna IV, che celebrerà i 50 anni di questo movimento possa mostrare come una realtà variegata e molteplice come l’evangelismo mondiale possa diventare unitario nella testimonianza e nella fedeltà, tenendo conto anche delle diverse prospettive presenti e centrando l’attenzione sul messaggio del Vangelo e del bisogno che c’è per questo periodo. Ritorneremo durante il viaggio e dopo a parlare di questo evento mondiale che ci vede sicuramente protagonisti come credenti, ma anche forse marginali come Nazione, cosa che ci dovrebbe anche far riflettere.

Valerio Bernardi – DIRS GBU

L’articolo Aspettando Losanna IV. Alcune riflessioni preliminari prima di partire per la Corea proviene da DiRS GBU.

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di Gerald R. McDermott
(questo articolo è tratto da un libro che Edizioni GBU si apprestano a pubblicare sul tema)

Il nuovo sionismo cristiano ha tre implicazioni per i teologi, quando riflettono sulla giustizia in relazione al conflitto israeliano–palestinese. In primo luogo, rimanda alla necessità, sia per gli Ebrei sia per gli Arabi, di «condividere la responsabilità dell’amarezza»[1]. Lo si può esprimere anche in un altro modo: su entrambi i versanti, serve umiltà. Con ragione gli Ebrei possono dire di avere legittimamente acquistato la terra dagli Arabi a cominciare dal XIX secolo, di avere trasformato enormi, aride distese in suolo produttivo e portato enormi vantaggi materiali alle popolazioni arabe. Dovrebbero però riconoscere che nelle guerre del 1948 e del 1967, una terra precedentemente posseduta e controllata da Arabi è passata in mani ebraiche. Gli Ebrei hanno buone ragioni per pensare che questi trasferimenti siano stati per la maggior parte portati avanti in modo corretto, tramite liberi scambi finanziari o a seguito di guerre iniziate dagli Arabi. Dovrebbero però anche ammettere che gli Arabi hanno perso la dignità e il possesso di molto. Gli Ebrei hanno vinto.

Gli Arabi devono riconoscere che se avevano dei diritti sulla terra prima delle guerre e del terrorismo, questi due tipi di tragedie hanno fatto loro perdere alcuni di questi diritti. Dico “alcuni” di questi diritti perché gli Arabi possiedono e controllano ancora gran parte della terra nell’Israele propriamente detto e l’Autorità palestinese controlla ancora tutta o quasi tutta la Cisgiordania. Hamas, un governo arabo, possiede e controlla tutta Gaza. Il passaggio di terre da una proprietà araba a una ebraica è avvenuto, per lo più, a causa di guerre incominciate e perse dagli Arabi. Altre terre sono state perse dagli Arabi a causa della recinzione (più comunemente nota come «il muro») costruita fra la Cisgiordania e alcune parti d’Israele. È stata costruita per bloccare gli attacchi terroristici provenienti dalla Cisgiordania aventi di mira i civili in Israele ed è in larga misura servita allo scopo.

A volte, quando i cristiani cercano di applicare la loro teologia a questioni legate alla giustizia in questo conflitto, lo fanno con più calore che luce. Ecco alcuni fatti poco noti, da cui però qualsiasi valutazione della disputa non dovrebbe prescindere.

  1. Durante la guerra del 1948, la Giordania invase la parte assegnata agli Arabi e la occupò, definendo quell’area la propria Cisgiordania. Per vent’anni, il mondo arabo non ha riconosciuto uno specifico popolo palestinese. Nel frattempo, la Giordania definì gli abitanti della Cisgiordania, Giordani, mentre la Siria li definì Siriani in quanto per secoli, sotto l’impero ottomano, la Palestina era stata considerata parte della Siria del sud.
  2. Dopo la guerra del 1948 vi fu uno scambio di rifugiati in Medio Oriente. Gli Ebrei persero almeno tante case quante ne persero gli Arabi. Mentre Israele assorbì quasi tutti gli 800.000 rifugiati ebrei fuggiti da territori arabi e musulmani dove avevano vissuto per secoli, se non millenni, le nazioni arabe rifiutarono di dare delle nuove case ai rifugiati arabi in arrivo (725.000) e decisero di tenerli in campi profughi da utilizzare come strumento propagandistico contro Israele.
  3. Nel trattato di pace con l’Egitto del 1978–1979, Israele ha restituito il 90% del territorio occupato, conquistato dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Si trovava quasi tutto sul Sinai.
  4. Il “muro” ha reciso degli insediamenti palestinesi, danneggiato gli agricoltori palestinesi separandoli dalle loro piantagioni e dalle loro fattorie e in alcuni casi li ha ridotti in povertà. Lo stato ebraico ha assorbito più territorio. Al tempo stesso, però, il muro ha reciso più di 1.200 acri di territorio intorno a Gerusalemme, acquistato dagli Ebrei prima del 1948[2].
  5. La teologia musulmana contribuisce al conflitto, in quanto il Corano profetizza che gli Ebrei vivranno dispersi, poveri e miseri[3]. La prosperità d’Israele appare perciò ai devoti musulmani una contraddizione sconcertante come minimo, esecrabile nella peggiore delle ipotesi. Al tempo stesso, il Corano attesta che Dio ha dato la terra d’Israele agli Ebrei: «[Faraone] voleva scacciarli [gli Israeliti] dalla terra [d’Egitto], ma Noi [Allah] li facemmo annegare, lui e quelli che erano con lui. Dicemmo poi ai Figli di Israele: «Abitate la terra [la terra d’Israele]!». Quando si compì l’ultima promessa [la fine dei giorni], vi facemmo venire in massa eterogenea» (Corano, sura 17:103–104). Uno sceicco contemporaneo lo prende per quello che è: «Il Corano riconosce nella terra d’Israele l’eredità degli Ebrei e spiega che, prima del giudizio finale, gli Ebrei torneranno ad abitarvi. Questa profezia si è già adempiuta»[4].

Una terza implicazione del nuovo sionismo cristiano per la nostra comprensione di questo conflitto è che c’è una buona ragione per cui questo conflitto riguarda il mondo intero. La Bibbia lascia capire che il destino delle nazioni è legato a quello d’Israele[5].

In Isaia 19:23–25 le nazioni dell’Egitto e dell’Assiria sono benedette a causa d’Israele e Zaccaria 12 profetizza che Dio farà di Gerusalemme una «coppa di stordimento» per le nazioni circostanti. In altre parole, non soltanto Israele è un testimone per le nazioni (Is 43:10); Dio interagisce con le nazioni attraverso Israele. Nel loro relazionarsi con Israele, le nazioni, in qualche modo misterioso, vengono in contatto con il Dio d’Israele. Rispondono a Dio e sono da Dio giudicate in questa segreta relazione. Dobbiamo subito confessare che c’è molto che non sappiamo a questo proposito. Non significa certamente che Israele abbia sempre ragione o non sia mai stato ingiusto nel suo modo di rapportarsi con le altre nazioni. Neppure significa che la teologia cristiana debba sempre prendere le parti d’Israele contro le altre nazioni, specie quando Israele ha chiaramente torto. La Scrittura, però, chiarisce che Dio governa le nazioni; Israele, come popolo e come terra, rientra ancora nella sua provvidenza segreta, non soltanto quando Dio tratta con Ebrei e gentili sul piano individuale ma anche quando giudica le nazioni in quanto tali. Devono fare attenzione a non essere come gli amici di Giobbe, che mossero delle false accuse contro Giobbe e affrontarono l’ira di Dio.

[1] James Parkes, End of an Exile: Israel, the Jews and the Gentile World, a cura di Eugene B. Korn e Roberta Kalechofsky, Micah, Marblehead, Micah, 2004, p. 43.

[2] Israel Today (febbraio 2007), p. 11, citato in David W. Torrance, George Taylor, Israel God’s Servant: God’s Key to the Redemption of the World, Paternoster, Londra, 2007, p. 19.

[3] Per esempio, Corano, sura 2:61 (La giovenca): «E furono colpiti dall’abiezione e dalla miseria e subirono la collera di Allah» (il testo inglese è ripreso dalla versione del Corano conservatrice nota come Sahih International; per il testo italiano cfr. www.ilCorano.net, traduzione a cura di Hamza Roberto Piccardo, ndt).

[4] Sceicco Professor Abdul Hadi Palazzi, “What the Qur’an Really Says”, ristampato da Viewpoint, inverno 1998, www.templemount.org/quranland.html (ultimo accesso dell’autore: 8 luglio 2015; ultimo accesso del traduttore: 12 settembre 2022). Palazzi è il segretario generale dell’Assemblea musulmana italiana nonché califfo per l’Europa dell’ordine Qadiri Sufi [A mio parere gli autori si screditano, citando un personaggio come lui; farei una valutazione prima di mantenere questa citazione nell’edizione italiana. Cfr. https://latanadellupo.forumcommunity.net/?t=50885225].

[5] Torrance e Taylor, Israel God’s Servant, op, cit., pp. 28, 62.

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di Marcello Favareto

La lunga scia di attentati di matrice islamista in Europa nonché l’orrore del 7 Ottobre in Israele e la conseguente distruzione nella striscia di Gaza mantengono alta l’attenzione sulla presenza degli islamici di casa nostra e sul rapporto tra religione islamica e civiltà occidentale, sulla compatibilità degli insegnamenti del Corano con le società laiche occidentali.

Nel tempo, qua e là si sono registrate manifestazioni di musulmani con i cartelli “Not in my name”, forse segni di un ripensamento e per l’affermazione di un islam pacifico con la distinzione dai fondamentalisti violenti, dichiarati “sedicenti islamici” o addirittura “non islamici”.

Ci sono enormi, forse insormontabili difficoltà in questa operazione. Gli studiosi (Colin Chapman, p. 60) distinguono in proposito tra un Islam popolare, un Islam liberale e modernista e un Islam tradizionalista e ortodosso. Tuttavia nel decidere, ammesso che lo si possa fare, quale sia l’Islam con il quale preferiremmo interagire vorrei fare qualche considerazione che riguarda anche il cristianesimo.

 

Guerra santa e/o convivenza pacifica

Il primo punto che dobbiamo dirimere è l’alternativa tra guerra santa e/o convivenza pacifica. È possibile una riforma dell’Islam che vada nella direzione della seconda alternativa? È possibile leggere il Corano in maniera diversa da come è stato interpretato e applicato finora? Come si possono conciliare la jihad con un islam pacifico?

Ho deciso di rendermene conto direttamente e mi sono letto tutto il Corano, con un’attenzione particolare all’atteggiamento che i fedeli devono avere verso gli infedeli.

Ecco alcune Sure che parlano esplicitamente di questo.

 

Guerra santa

Sura II

190-193 “Combattete i vostri nemici nella via di Dio e non uscite mai da essa. Sappiate che Egli non ama chi esce dal Retto Sentiero. Uccideteli ovunque li incontrate e cacciateli via da dove essi hanno cacciato voi: subire passivamente una persecuzione è cosa peggiore dell’incontrare la morte. Ma evitate di ucciderli vicino alla Santa Casa, salvo che non siano essi i primi ad attaccarvi. In questo caso vi è lecito ucciderli e la morte sarà la ricompensa della loro iniquità. Se però i vostri nemici depongono le armi, allora anche voi deponetele e perdonate loro. Dio, infatti, è il Clemente e il Misericordioso! Combattete sino a che i Credenti non saranno più perseguitati e la sola religione sarà quella di Dio. Da quel momento i vostri nemici saranno i miscredenti e gli iniqui.”

Sura III

127-128 “Il vostro Signore vi renderà vittoriosi e ciò per uccidere ed umiliare i miscredenti, i quali saranno così i perdenti in questa e nell’altra vita . Lascia, Mohammad, che Dio accetti il loro pentimento o che li punisca, a Suo piacimento. In verità essi sono degli empi e degli iniqui!”

Sura IV

89 “I miscredenti vorrebbero che foste come loro, ma voi non scegliete fra di essi i vostri amici a meno che non abbiano riconosciuto la loro colpa e fatto ritorno sul Retto Sentiero. Ma se dovessero ritornare nella loro precedente condizione, allora vi è lecito prenderli ed ucciderli, ovunque si trovino.”

 

Ma subito dopo è scritto anche:
90-91 “Tra i miscredenti abbiate ad amici o a protettori solo quelli che appartengono a gente con cui esiste un patto di alleanza …. Se il vostro Signore avesse voluto, essi avrebbero prevalso su di voi, per cui se restano neutrali, non vi combattono o vi offrono la pace, non è lecito che voi li combattiate e, se lo farete, la vostra lotta non sarà sulla Via di Dio. Troverete altra gente che vorrà vivere in pace con voi, ma che coglierà in seguito ogni occasione per nuocervi. Accettate di buon grado la loro pace, ma se accadrà che essi non osservino le promesse e vi attacchino, allora combatteteli ed uccideteli, ovunque li troviate. Dio vi rende lecito un simile comportamento!”
93 “Ma per chi uccide intenzionalmente un Credente la punizione sarà il fuoco dell’Inferno ed in quel luogo troverà la sua eterna dimora.”

 

Sura IX
5 “O voi che credete! Osservate il patto concluso con gli idolatri, ma, allo spirare dei mesi sacri, combatteteli, ovunque li troviate. Non date loro tregua ed uccidete quanti di essi cadranno nelle vostre mani. Ma se quella gente si pentirà, crederà in Dio e nel giorno del Giudizio, osserverà la preghiera e pagherà la Tassa, allora cessate di combatterla. In verità Dio è il Clemente ed il Misericordioso!”

Sura XXXIII
60-62 “Se gli ipocriti, i miscredenti ed i sediziosi di Medina non cesseranno le loro provocazioni, ti sia lecito, Mohammad, muovere contro quella gente ed infliggere ad essi la giusta punizione. Essi sono dei Maledetti da Dio, per cui debbono essere uccisi dai Credenti allo stesso modo che, in passato, fu fatto – per Ordine Suo – nei confronti di altri negatori.”

Sura LIX
2 “E’ Lui che, chiamando alla Guerra Santa i Credenti, ha cacciato dalle loro dimore quanti, tra la Gente del Libro, rifiutarono di credere alle tue parole, Mohammad.”

Sura CX
1-2 “O Inviato! Quando, coll’aiuto di Dio, voi otterrete il desiderato trionfo sugli idolatri, allora tutti entreranno nella nostra religione.”

Mi sembra che i versetti siano, purtroppo, piuttosto espliciti.

 

Convivenza pacifica

Però, per rispetto della verità, dobbiamo anche riconoscere che coloro che difendono l’islam pacifico e rifiutano il terrorismo non raccontano frottole e fanno riferimento ad altri versetti. Tra i più noti possiamo ricordare:

Sura II
62 “In verità, coloro che, Ebrei, Cristiani e Sabei, credono in Dio e nel Giorno del Giudizio e compiono le buone opere, avranno la ricompensa presso il loro Signore. Essi nulla avranno da temere da lui e non vivranno nella tristezza.”

256 “Non vi dà alcuna costrizione nella Fede, poiché il Retto Sentiero si distingue da solo dal Sentiero dell’Errore. …”

Questo versetto viene spesso citato (v. anche ciò che ha scritto il filosofo francese nel testo precedente) ed enfatizzato più di quanto non sembri nel suo contesto.

Sura III
3-4 “Egli ha fatto scendere su di te, Mohammad, il Libro di Verità, a conferma delle precedenti Rivelazioni. Egli è colui che ha fatto scendere la Torah e il Vangelo,  affinché quei Libri fossero guida per i Credenti. …”

20 “… Dì poi alla gente del Libro ed agli idolatri: “Volete voi abbracciare l’Islam?” Se lo faranno, i loro passi percorreranno il Retto Sentiero, ma se rifiuteranno di farlo, tu lasciali al loro destino. Tuo compito è solo quello di mostrare i Segni di Dio a chi è in grado di coglierli. Il tuo Signore osserva ogni azione umana.”

64 “Dì, Mohammad, alla Gente del Libro: “Cerchiamo di trovare una soluzione che ci accomuni. Noi adoriamo un Unico Dio e non abbiamo altro Dio all’infuori di Lui.”

113-115 “Non tutta la Gente del Libro appartiene al numero dei miscredenti. Nel suo seno vi è infatti una comunità di Credenti che prega continuamente il suo Signore, prosternandosi in adorazione nelle ore della notte.  Essi credono in Dio e nel giorno del Giudizio, amano la Verità, rifuggono dall’Errore e compiono le buone opere. Essi sono Virtuosi e Timorati di Dio.  Il vostro Signore li ricompenserà, poiché Egli premia chi fa la Sua Volontà e Gli si mostra ubbidiente.”

 

Sura V

13-14 “In seguito gli Ebrei violarono questo patto e Noi li maledicemmo, indurendo i loro cuori. Fu così che essi falsarono il significato delle parole del loro Libro, giungendo fino a dimenticarne una parte: solo un piccolo numero evitò una simile miscredenza. Sii dunque benevolo, Mohammad, verso questi Credenti, perché Dio ama chi crede in Lui.

Noi stringemmo pure un Patto di Alleanza con i Cristiani, ma anche essi hanno dimenticato una parte del loro libro. Per punirli di ciò Dio ha fatto sorgere tra di essi le divisioni e l’odio perdurerà nel loro seno sino al Giorno del Giudizio.”

Ironia della sorte Maometto non poteva sapere quale drammatica divisione sarebbe emersa pochi anni dopo la sua morte tra i suoi seguaci: ancora oggi Sunniti e Shiiti si odiano profondamente.

32 “Fu a causa di questo delitto [Caino] che Noi dicemmo ai figli di Israele che l’uccisione di un essere umano, salvo il caso di un errore o di una disgrazia, sarebbe stato da noi considerato come un delitto contro l’intera umanità.”

Questo è il versetto che viene spesso citato quando si vuole dimostrare che l’islam è pacifico e che il Corano condanna quindi gli attentati e gli assassinii.

46-48 “Noi mandammo Gesù, Figlio di Maria, a confermare il Libro che già avevamo loro dato. Demmo a lui il Vangelo, in cui vi sono Luce e Guida, affinché i Virtuosi lo seguissero e credessero nelle sue parole.
Giudichino perciò i Cristiani secondo il Vangelo, poiché solo i miscredenti e gli iniqui prescindono dalla Parola di Dio nel dare i loro giudizi.
E su di te, Mohammad, facemmo scendere il Libro di Verità, a conferma delle Rivelazioni da Noi fatte agli Inviati che ti hanno preceduto. Giudica dunque Ebrei e Cristiani alla luce del Libro e le passioni non offuscheranno il tuo giudizio. In verità, Dio ha assegnato ad ognuno una via da seguire, mentre, se avesse voluto, Egli avrebbe fatto degli uomini una sola comunità con una sola Fede. Ma ciò non è , perché Dio vuole mettervi alla prova. Gareggiate dunque nel compiere buone opere, e nel Giorno del Giudizio tutti sarete radunati davanti a Lui. In quel giorno conoscerete da Dio le cose che vi hanno tenuti divisi su questa terra.”

 

65-66 “In verità, quanti tra la Gente del Libro crederanno ed agiranno da Virtuosi, avranno il perdono del loro Signore e saranno da Lui accolti nel Suo Paradiso.
In verità, se essi metteranno in pratica la Torah ed il Vangelo e quanto Dio ha rivelato loro, i Cieli e la Terra saranno benevoli verso di loro. Fra la Gente del Libro vi è chi è Credente, ma la maggior parte non crede e non compie le buone opere!”

E ancora una piccola chicca, sorprendente rispetto all’immagine dell’islam che riceviamo oggi.

82 “Tu troverai negli Ebrei e negli Idolatri i più accaniti nemici dei Credenti, mentre tra i Cristiani troverai i più sicuri amici. Questo avviene in quanto tra i Cristiani vi sono sacerdoti e monaci che servono Dio in umiltà e la superbia non regna tra chi segue Gesù, Figlio di Maria.”

Non pretendo certo di interpretare il Corano e non basta leggerlo una volta per capire l’islam. Maometto ricevette le “rivelazioni” nel corso di tre anni ma non scrisse mai nulla. I suoi seguaci imparavano a memoria i versetti pronunciati da Maometto e li scrivevano poi sui più svariati supporti. Fu Uthman, terzo Califfo, dopo la morte di Maometto, a raccogliere tutti i testi in un corpo unico di cui fece fare 4 copie e fece distruggere tutti i testi parziali precedenti.

Data la struttura della scrittura araba (senza consonanti) esistono ben 14 letture diverse del testo, prodotte dal 650 all’850 d.C. Inoltre il testo non ha una sua organizzazione logica o cronologica: le sure sono disposte per ordine di lunghezza, dalla più lunga alla più breve. Si sa soltanto quali sono state rivelate prima dell’esilio (meccane) e quali dopo (medinesi).

Cosa possiamo concludere? Come si possono conciliare versetti così contrastanti? Da come stanno le cose non sembra che i musulmani ci siano finora riusciti: o si sceglie la pace o si sceglie la guerra.

Ma come è fattibile una cosa di questo genere se il Corano originale è in Paradiso, non si può toccare e la sua interpretazione è stata congelata nel 14° secolo?

 

 Ma anche la Bibbia…

Una obiezione che si sente fare spesso da parte dei musulmani è: ma anche voi, Ebrei e Cristiani, avete nella Bibbia istruzioni a uccidere, a sterminare i nemici ecc.! In parte dobbiamo ammettere che è vero anche se ci sono differenze non trascurabili.

La prima è certamente il fatto che gli Israeliti nella fase della conquista di Canaan combattevano per un territorio: p.es. Deuteronomio 2:31-32 e 34 Mosè racconta come gli fosse stato rifiutato dal re locale il passaggio nel paese degli Amorrei: “E l’Eterno mi disse: Vedi, ho principiato a dare in tuo potere Sihon e il suo paese; comincia la conquista, impadronendoti del suo paese. Allora Sihon uscì contro a noi con tutta la sua gente per darci battaglia a Jahats. … E in quel tempo prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini; non vi lasciammo anima viva.

Ma, finito quel periodo, gli Ebrei non avevano particolari mire espansionistiche e, soprattutto, non miravano a convertire gli altri popoli al Dio d’Abramo. Le loro battaglie non erano contro gli infedeli in quanto tali. Non erano guerre di religione. E noi possiamo leggere oggi quegli ordini come parte di fatti storici che rientrano nella cultura dell’epoca e siamo ben lontani dal pensare che dovremmo fare così anche noi nel nostro tempo. Nella Bibbia i passaggi violenti sono descrittivi, mentre nel Corano sono prescrittivi.

Però… purtroppo, non è sempre così…
Deut. 13.6-8 “Se il tuo fratello,… o il tuo figliuolo… ti inciterà in segreto, dicendo: andiamo, serviamo ad altri dei … tu non acconsentire, tu non gli dar retta; l’occhio tuo non abbia pietà per lui; non lo risparmiare, non lo ricettare; anzi uccidilo senz’altro; la tua mano sia la prima a levarsi su lui, per metterlo a morte…

E questo ricorda uno dei versetti del Corano che abbiamo visto…

Num 15.30 “Ma la persona che agisce con proposito deliberato, sia nativo del paese o straniero, e oltraggia l’Eterno; quella persona sarà sterminata di fra il suo popolo. Siccome ha sprezzato la parola dell’Eterno e ha violato il suo comandamento, quella persona dovrà essere sterminata; porterà il peso della sua iniquità.

Non ricorda da vicino la legge contro la blasfemia, applicata nei paesi islamici? E non possiamo dimenticare che Gesù fu condannato a morte dal sinedrio, proprio con l’accusa di bestemmia per essersi dichiarato il Cristo, il figliuol di Dio! Oppure possiamo citare un Salmo splendido come il 139 che trova inseriti questi versetti (21,22): “O Eterno, non odio io quelli che t’odiano? E non aborro io quelli che si levano contro di te? Io li odio di un odio perfetto; li tengo per miei nemici.” O, ancora, il Sl 137.8-9 “O figliuola di Babilonia, che devi essere distrutta, beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto! Beato chi piglierà i tuoi piccoli bambini e li sbatterà contro la roccia!

Terribile. Anche se non sono ordini a fare cose del genere, comunque sembra indubbio che esse vengono approvate, e ci lasciano con la pelle d’oca.
Nel leggere questi testi, anche se ci sentiamo un po’ a disagio, dobbiamo anche dire che non ci sentiamo realmente coinvolti da essi.
Perché? Perché non pensiamo che riguardano anche noi, che sono regole che anche noi dobbiamo seguire? Perché non ci toccano?

 

Perché non ci toccano?

Non so come gli ebrei, dalla diaspora in poi, abbiano elaborato questi testi ed abbiano resi innocui o non applicabili gli ordini della Legge che prescrivevano la condanna a morte, o altre punizioni violente.
Ma, per i cristiani, per me come cristiano, trovo una sola spiegazione: perché fra allora e oggi, fra loro e noi, è passato Gesù.
È lui che ha detto più volte: “Voi avete udito che fu detto agli antichi… Ma io vi dico…” E in particolare possiamo ricordare in Mt 5.43 “Voi avete udito che fu detto: ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figliuoli del Padre vostro che è nei cieli; poiché Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.”

È lui:

  • che ha lasciato mangiare con le mani non lavate,
  • che ha detto che si può mangiare di tutto,
  • che ha affermato che il Sabato è per l’uomo e non l’uomo per il Sabato,
  • che ha completato e riassunto la legge ed i profeti nei due comandamenti “Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua” e “Ama il tuo prossimo come te stesso”
  • che ha reso il suo messaggio universale dicendo alla Samaritana “l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Iddio è spirito; e quelli che l’adorano bisogna che l’adorino in spirito e verità.”

 

Quindi non sul monte dei Samaritani, non nel tempio di Gerusalemme e nemmeno alla Mecca è necessario adorare il Signore.
Ecco, secondo me, il problema della riforma dell’islam sta proprio qui: avrebbero bisogno di un nuovo profeta, di uno come Gesù che possa correggere e completare il messaggio di Maometto. Ma Maometto è nato 600 anni dopo Gesù e, mentre ha pescato abbondantemente dall’Antico Testamento, non ha preso niente dal Nuovo.

Ora mi sembra difficile che appaia un nuovo profeta… quindi come uomo, cittadino di questo mondo, spero sinceramente, per il bene di tutti, che questa riforma, questa rivoluzione, questa liberazione da una ideologia soffocante e sacralizzata, come la definì il Presidente egiziano al Sisi in una prolusione all’Università Al–Azar a Il Cairo, il 28 dicembre 2014, possa realizzarsi, e presto.

Tutto a posto per noi?
Potremmo chiudere il discorso a questo punto. Tutti contenti perché la risposta ai problemi che abbiamo considerato sta in Cristo, nell’essere suoi seguaci. Ma saremmo dei disonesti se non ci chiedessimo se nel corso di duemila anni i cristiani abbiano dimostrato di essere indenni dal pericolo dell’odio in nome di Dio. E la risposta, purtroppo, sappiamo che è: NO, non ne siamo stati indenni.

Non è il caso di rifare la storia delle persecuzioni esercitate da cristiani nei confronti di altri esseri umani, cristiani o meno che fossero. Sembra banale e ovvio ricordare le stragi dei Catari, dei Dolciniani, piuttosto che degli Ugonotti o dei Valdesi, qui a casa nostra, che hanno riacquistato i diritti civili soltanto con lo Statuto Albertino del 1848. Quando si dice Inquisizione si dice tutto. Gli esempi che ho citato riguardano il mondo cattolico, ma anche i protestanti non si sono fatti mancare questi piaceri. Uno per tutti, possiamo citare il caso Michele Serveto, arrestato a Ginevra e poi condannato al rogo il 27 Ottobre 1553. Sebastien Castellion scrisse all’epoca: “Uccidere un uomo per difendere un’idea significa solo uccidere un uomo”.

Questa è la storia…

Conclusione
Alcuni nuovi atei hanno scritto libri per affermare che sono le religioni, che è l’idea stessa di Dio ad alimentare questo tipo di violenza. Dovrebbero allora dirci da quale Dio sono stati ispirati i lager nazisti, o i gulag sovietici, piuttosto che gli omicidi di Pol-Pot o, più modestamente, gli attentati delle nostrane Brigate Rosse o Nere.

No. Il problema è più profondo e universale, è dentro di noi, dentro ogni uomo. Potete anche chiamarlo peccato e si è manifestato già in Caino.
La tentazione di far valere le proprie idee con la forza è quasi irresistibile per l’uomo. Ed è indescrivibile l’euforia che può provare l’uomo quando è convinto di difendere Dio con le proprie azioni (come se Dio ne avesse bisogno…).

Ed era ovviamente così già ai tempi di Gesù.

In Luca 9:51 leggiamo: “Poi, come si avvicinava il tempo della sua assunzione, Gesù si mise risolutamente in via per andar a Gerusalemme. E mandò davanti a sé dei messi, i quali, partitisi, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli alloggio. Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto a Gerusalemme. Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni, dissero: Signore, vuoi tu che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi? Ma egli, rivoltosi, li sgridò.”

E in Marco 9:40 “Giovanni gli disse: Maestro, noi abbiamo veduto uno che cacciava demoni nel nome tuo, il quale non ci seguita; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguitava. Ma Gesù disse: Non glielo vietate, poiché non v’è alcuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e che subito dopo possa dir male di me. Poiché chi non è contro a noi, è per noi.”

E in Matteo 26.50 Gesù è nel Getsemane e sta per essere preso: “Allora accostatisi, gli misero le mani addosso, e lo presero. Ed ecco, uno di coloro che erano con lui, stesa la mano alla spada, la sfoderò; e percosso il servitore del sommo sacerdote, gli spiccò l’orecchio. Allora Gesù gli disse: riponi la spada al suo posto, perché tutti quelli che prendon la spada, periscono per la spada. Credi tu forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in quest’istante più di dodici legioni di angeli?”

Ecco i tre classici casi: distruzione di chi non vuole il nostro Dio, rifiuto di chi non sta col nostro gruppo, uso della forza per difendere Dio, che, invece, non ha proprio bisogno di noi.

Ma la lezione di Gesù è inequivocabile. Quindi?

La nostra responsabilità è tornare sistematicamente a confrontare i nostri atteggiamenti, i nostri comportamenti, i nostri pensieri con l’insegnamento che Gesù ci ha dato. La storia ce lo insegna e ce lo chiede.
E speriamo, preghiamo, che anche i musulmani, che cercano consapevolmente o inconsapevolmente un riformatore, lo possano trovare in Cristo, indagando nel Vangelo di cui Maometto ha pur parlato così bene. Questo potrebbe essere l’atteggiamento da tenere nei loro confronti: invitarli a leggere le parole di Gesù, che Maometto, pur non citandole, non rifiuta.

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