Hans Küng, il teologo che mise in discussione il Papato
di Valerio Bernardi
Si è spento a 93 anni qualche giorno fa il teologo Hans Küng, uno dei più famosi e noti anche al grande pubblico per alcune delle sue posizioni che hanno fatto storia. Diversi anni fa, quando sono stato per motivi di studio a Tubinga, ho avuto il piacere di conoscerlo e con me è stata una persona affabile, assolutamente preparata e disponibile a parlare con un giovane studioso che stava preparando il suo lavoro di tesi in un campo che sicuramente era anche di suo interesse. Per me fu un piacere ed un onore ed il suo Istituto di Teologia ecumenica era anche il mio rifugio perché scoprii che per i teologi cattolici l’italiano era la lingua franca e, pertanto, quando volevo riposare la mia mente era il luogo adatto per andare a fare una chiacchierata con i suoi collaboratori.
Perché Küng è stato un teologo importante e cosa dovrebbe interessare ad un evangelico del suo pensiero oggi, ad ormai quasi sessant’anni dal Concilio Vaticano II? In questo breve articolo indicherò alcune piste su cui vale la pena seguire il pensatore svizzero e solleverò anche alcune perplessità e disaccordi.
Küng fu tra i più giovani osservatori del Concilio Vaticano II e il suo pensiero mutò notevolmente in quel periodo, rendendolo uno dei maggiori pensatori dell’ala progressista cattolica. La sua opera più significativa dopo il Concilio fu quella che concerneva il concetto di Chiesa. Contrapponendosi a Ratzinger che, più o meno nello stesso periodo ritornava ad un concetto di Chiesa dove la gerarchia assumeva un ruolo fondamentale e l’aspetto sacramentale rimaneva importante, il trattato sulla chiesa del teologo svizzero invece sottolineava, riprendendo la Lumen Gentium (il decreto conciliare sulla Chiesa prodotto dal Concilio Vaticano II), che la Chiesa era una comunità che rappresentava il popolo di Dio, dove il sacerdozio era conferito a tutti, il Magistero era essenzialmente al servizio dei fedeli e lo stesso Papa (pur rimanendo convinto del ministero e del primato pietrino) non era il depositario della successione apostolica, ma semplicemente il ministro e servo del Popolo di Dio che egli rappresentava. Cristo per lui era l’unico mediatore e il Papa non aveva questo potere. Nonostante queste affermazioni coloccassero Küng dalla parte dell’ala più avanzata del cattolicesimo, rimaneva nell’alveo della Chiesa per diversi motivi: il primo era il forte radicamento nella Tradizione (che rimaneva una delle fonti di ispirazione della Chiesa), l’altra era quella dell’idea del primato pietrino e la permanenza di un’idea sacramentale della Chiesa, benché già si accennasse allo “scandalo” di un cristianesimo separato e non nascondesse una vocazione ecumenica, in cui sperava in una sorta di Parlamento delle Chiese per risolvere i problemi anche di tipo dottrinale.
Una tale concezione “naturalmente” porterà al suo libro-dossier del 1970 (Infallibile?) dove verrà messo in discussione il dogma dell’infallibilità del Papa, che, come si sa, era stato proclamato tale da Pio IX nel 1870, proprio mentre l’esercito italiano si impossessava della città di Roma. La messa in discussione dell’infallibilità papale sembrava un altro segnale di volontà di ammodernare la Chiesa Cattolica e il discorso di Küng sembrava essere un tentativo di applicazione di alcuni dei decreti del Concilio Vaticano II. Nonostante ciò fu sospeso a divinis e gli fu tolta la possibilità di insegnare nella facoltà di teologia cattolica di Tubinga, la stessa dove era stato anche preside. Questo tentativo di disciplinamento e di messa a tacere del pensatore svizzero, divenne il suo trampolino di lancio nel mondo dei media. Infatti, la sua attività di insegnante non terminò ed ottenne di diventare direttore dell’Istituto di Teologia Ecumenica della stessa università, all’interno della Facoltà Protestante, ma, allo stesso tempo indipendente da essa: insomma, il suo Istituto, era una sorta di “Svizzera” (il suo paese di nascita) all’interno del panorama teologico.
Küng seppe a quel punto usare a suo vantaggio le sue grandi doti di comunicatore e divenne probabilmente il più noto teologo del mondo occidentale, cui veniva chiesto, soprattutto nell’Europa continentale un parere su tutte le questioni che concernevano la fede. Egli ha scritto per diversi dei quotidiani europei più prestigiosi (i suoi articoli sono spesso apparsi, in traduzione, in Italia su “Repubblica”). Anche alcuni dei suoi libri furono scritti in maniera tale da essere capiti da non addetti ai lavori. Proprio per questo motivo può essere considerato, a suo modo, anche un apologeta, avendo difeso in alcune delle sue opere divulgative l’esistenza di Dio e l’opera di Cristo. Lo stile in questi casi era quello delle tesi che potevano affascinare un pubblico che non era avvezzo alla cultura teologica e biblica ed erano scritti con un linguaggio chiaro e semplice ed immediato, senza per questo cadere nella banalità.
Il confronto con la cultura occidentale è sempre stata una delle costanti del pensiero di Küng (la sua dissertazione di dottorato era un serrato confronto della teologia cattolica con il pensiero di Hegel) e una delle sue opere più celebri (recentemente ripubblicata in italiano in una nuova edizione) è Esiste Dio? In questo testo il pensatore svizzero si confronta con il pensiero filosofico e scientifico moderno e cerca di mostrare come si possa dare una risposta all’incipiente atesimo. Al contrario dell’“ortodossia” cattolica, che si rifà normalmente alle tradizionali prove dell’esistenza di Dio messe a punto dalla teologia medievale, il suo testo si confronta con la modernità e contrappone in un excursus di circa 1000 pagine il modello pascaliano della scommessa (che è strettamente collegato alla plausibilità della fede) a quello cartesiano (ritenuto sin troppo razionale e portante direttamente all’ateismo). L’analisi di Küng è molto dettagliata e di grande interesse mostra la sua apertura verso il mondo moderno. Il testo ha il suo fascino (non ha caso è stato ripubblicato recentemente in una nuova edizione in italiano) e rimane un valido tentativo di confrontarsi con la contemporaneità, anche se non tiene del tutto conto del dibattitto post-moderno.
Nell’ultimo periodo il teologo svizzero si è dedicato non solo ai rapporti ecumenici tra Chiese, ma anche al dialogo interreligioso. Sue sono state le iniziative di un parlamento delle religioni che potesse contribuire alla pace nel mondo. L’iniziativa in questo caso non ha riscontrato grande successo anche se ha permesso la produzione di testi sulla conoscenza delle religioni ed in particolare dell’Islam di grande accuratezza, come sempre avveniva nella sua opera. Il dialogo interreligioso non è mai stato una novità nel mondo cattolico ed era sicuramente influenzato anche dall’inclusivismo di alcune posizioni teologiche che si sono sviluppate nel cattolicesimo olandese e tedesco della seconda parte del XX secolo.
Con la sua morte, pertanto, è venuto a mancare uno dei grandi teologi della tradizione liberale tedesca che, sin dal XIX secolo, si sono aperti al mondo moderno, hanno cercato di dialogare con il mondo nel senso più ampio del termine ed hanno anche cercato di produrre dei cambiamenti all’interno della struttura della chiesa cui appartenevano.
Cosa possiamo dire di questo teologo da un punto di vista evangelico? In primo luogo, quando si legge Küng, lo si deve sempre considerare nell’ambito del cattolicesimo: nonostante i chiari avvicinamenti al mondo protestante (soprattutto nella concezione di una chiesa come comunità di credenti), il suo attaccamento alla interpretazione della Tradizione della Chiesa, un certa concezione che va verso il sacramentale dell’istituzione ecclesiastica ed una gerarchia che, anche se al servizio, rimane tale (soprattutto se affiancata dai teologi) lo hanno fatto rimanere nella Chiesa cattolica, la cui continuità storica non è stata mai da lui messa in discussione. Le sue posizioni progressiste sono state sempre molto interessanti ma, allo stesso, la sua teologia non ha mai fatto un largo uso del testo biblico, pur conoscendolo (si vedano il suo libro sulla chiesa o le sue tesi su Gesù). Il suo attaccamento alla tradizione tedesca lo ha fatto sempre essere collegato al campo della teologia liberale.
Nonostante questi “limiti” la sua capacità di divulgazione lo ha reso probabilmente soprattutto nel ventennio che è andato dal 1970 al 1990, il teologo più conosciuto nel mondo. La sua profonda cultura (attestata dalle sue opere da studioso sempre molto accurate ed anche molto analitiche) sicuramente rimane un lato da apprezzare e che mancherà all’attuale panorama teologico mondiale. Küng ha avuto una capacità da cui varrebbe la pena imparare: quella di dialogare non solo con la Chiesa, ma anche (e forse soprattutto) con il mondo esterno.
Valerio Bernardi – DIRS GBU
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