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di Daphne Manlapaz (coordinatrice GBU Torino)

Quando mi hanno proposto di partecipare alla Formazione, mi sono fatta subito un’idea di come sarebbe stata: avremmo letto la Parola, ricevuto un insegnamento, partecipato a seminari e pregato. La mia aspettativa era giusta, ma Dio mi ha dato molto di più: mi ha donato una comunità, una famiglia. Ognuno di loro è stato per me ciò che Paolo è stato per i Corinzi: uno specchio della gloria di Dio, che riflette la luce del Padre.

Costretti dall’amore di Dio

Ciò che ha riunito tutti noi, studenti e staff da tutta Italia, a un hotel di Rimini è stato l’amore di Dio che opera in noi. Il Suo amore, nelle nostre città e nei nostri GBU locali, ha prodotto speranza per le persone che avremmo incontrato dopo. Come scrive Paolo in 2 Corinzi 5:14, l’amore di Cristo ci spinge: il pensiero del Vangelo e l’amore che proviamo per Dio non riescono a contenere il nostro desiderio di condividere il Vangelo e parlare dell’amore che noi per primi abbiamo sperimentato.

Il tema

Durante la Formazione abbiamo letto e meditato dal terzo al quinto capitolo della Seconda Lettera ai Corinzi. In questi capitoli, Paolo ricorda ai Corinzi chi sono in Cristo, chi è Dio per loro e come sono chiamati a vivere per amore di Gesù. 

Paolo inizia affrontando un dubbio che alcuni avevano nei suoi confronti: la sua autorità era davvero valida? Per rispondere, li conduce a riflettere su se stessi e sul cambiamento che il Vangelo ha prodotto nelle loro vite. Il Vangelo, infatti, trasforma i cuori. Ma non solo: il Vangelo è anche la luce della gloria di Dio, una luce che si riflette in noi e che gli altri possono vedere. Non siamo noi a dover dimostrare questa gloria, perché è Dio stesso a manifestarla attraverso di noi, anche nella sofferenza. E la nostra sofferenza, per quanto reale, è “leggera e momentanea”, perché mentre l’uomo esteriore si consuma, quello interiore si rinnova di giorno in giorno per la grazia di Dio. 

Consapevoli di questa grazia, pienamente rivelata nella morte di Gesù, Paolo ci invita a vivere una vita con lo sguardo fisso su Cristo e a condividere questa vita come testimonianza dell’amore di Dio.

Come vasi di terra

Quest’anno non ero l’unica a partecipare per la prima volta alla Formazione e ad affrontare il nuovo anno accademico come coordinatrice: eravamo in molti. E penso che tutti noi, di fronte alla domanda “Vuoi essere coordinatore?”, ci siamo chiesti: “Sono davvero all’altezza?”. Ricevere e ricordare le parole di Paolo ci ha rassicurati: non è per le nostre forze o capacità che possiamo servire, ma per la potenza di Dio. Dio, come un vasaio, ci ha resi vasi di terra (che oggi potremmo paragonare a semplici bicchieri di plastica biodegradabile): fragili, di poco valore materiale. 

Eppure, come scrive Paolo, noi non siamo vasi vuoti: portiamo dentro di noi un tesoro, il Vangelo. Lo abbiamo sperimentato personalmente, e i nostri cuori sono la prova vivente che Dio ha scritto, e continua a scrivere, la nostra storia. 

Ora, terminata la Formazione, siamo pronti ad affrontare il nuovo anno accademico con speranza, fiducia e franchezza, consapevoli della forza che il Vangelo porta in noi.

Stesso Spirito di fede

Questo cambiamento di postura l’ho potuto vedere con i miei occhi, nei cuori di ciascuno di loro. Ho visto cuori aperti in adorazione, che invitavano Dio a dimorare dentro di sé. Ho visto Dio operare in ognuno, donando coraggio e forza per affrontare ciò che sarebbe venuto. Ho visto che non solo Dio era con noi, ma ciascuno di noi era lì per l’altro: ognuno incoraggiava il fratello o la sorella accanto con la preghiera e con parole di speranza e di fede. Eravamo uniti in Cristo, animati dallo stesso Spirito di fede. E se non è stato Dio a renderlo possibile, chi altri avrebbe potuto? In pochi giorni, quella stanza d’albergo è diventata una casa, perché lo Spirito di Dio dimorava con noi. E quelle persone, ognuna con la propria storia e il proprio passato, sono diventate fratelli e sorelle in Cristo. La Formazione sarà anche finita, sì, ma il nostro amore per Dio no. 

Ora ciascuno di noi è tornato al proprio GBU locale, lontano dagli altri rispetto a quando eravamo a Rimini. Eppure li sento tutti vicini, in spirito e nel cuore. Ognuno sta affrontando un nuovo anno e situazioni diverse, ma il Padre a cui ci rivolgiamo è lo stesso, e il Suo amore continua ad abbondare su ciascuno di noi, nelle nostre vite uniche e differenti. La Formazione è finita, sì, ma il nostro spirito di fede non lo sarà mai.

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Di Francesco Schiano, Segretario Generale GBU

Per molte persone settembre rappresenta il vero inizio dell’anno nuovo. Sicuramente è così per le attività
dei GBU, che seguono il calendario accademico delle università.


Questo, tra l’altro, per noi è un anno particolare. Dopo 20 anni di servizio benedetto da Dio, il nostro amato
Johan non è più il Segretario Generale dei GBU; chi scrive ha l’arduo compito di sostituirlo, e sente l’onore e
l’onere che derivano dal nuovo inizio. In queste condizioni la preghiera diventa un bisogno particolarmente
sentito.


Non penso sia per caso che proprio in questi giorni mi sono ritrovato a leggere la biografia di C. H. Spurgeon
(A. Dallimore, pubblicata in italiano da Passaggio). Il Principe dei predicatori, che ha visto frutti straordinari
nel suo mistero, era un uomo di preghiera che spingeva la sua chiesa alla preghiera: “in vista della battaglia
spirituale del credente, si preoccupava in primo luogo che la sua chiesa imparasse a pregare” (p.70); “D. L.
Moody, di ritorno in America dopo la sua prima visita in Inghilterra, alla domanda: «Ha sentito predicare
Spurgeon?» rispose: «Si, ma cosa ancora migliore, l’ho sentito pregare»” (p.105).


La Parola di Dio ci invita a pregare con fede, incessantemente, insistentemente e disperatamente. Sono
convinto che a volte il Signore trattenga la Sua mano dall’operare con potenza nel desiderio di insegnarci a
dipendere veramente da Lui.


Non credo di dover convincere nessuno, tra i lettori di questo articolo, dell’importanza prioritaria della
preghiera, ma so per esperienza quanto sia raro avere una vita di preghiera che sia coerente con quanto
affermiamo di credere riguardo ad essa. Per questo motivo, incoraggiato dalla partecipazione di tanti di voi
alla settimana di preghiera della scorsa primavera, vi chiedo di prendervi un impegno per questi giorni di
settembre: dall’8 al 14 settembre scegliete di dedicare del tempo al digiuno e alla preghiera, perché gli
studenti possano annunciare con franchezza il Vangelo di Gesù Cristo tra i loro colleghi, e noi tutti possiamo
vedere tante anime passare dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita!


Il link alla fine dell’articolo conduce a un modulo anonimo attraverso il quale potrete indicare il vostro
desiderio di saltare uno o più pasti, in quella settimana, per dedicarvi alla preghiera. Speriamo di vedere
una numerosa staffetta di digiuno e preghiera impegnata con noi dello staff a supplicare Dio perché lui
faccia infinitamente di più di quanto speriamo.


“la preghiera del giusto ha una grande efficacia” (Giacomo 5:16b)


https://forms.gle/CiAU4PNMuaCY8EVt5

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Di Maria Chiara Squeo, coordinatrice GBU Urbino

La Festa GBU 2025 si è conclusa da pochi giorni, e nel mio cuore risuonano ancora tutte le benedizioni vissute. Quest’anno, ha avuto qualcosa di unico – come ogni edizione, certo, perché ogni festa GBU è speciale – ma in modo particolare, questa volta ha toccato corde nuove nel mio cuore.

Chi sono

Mi chiamo Maria Chiara, coordinatrice del GBU di Urbino. Questa è la mia quarta festa GBU, in presenza – senza contare quella online durante il periodo della pandemia. Ogni anno torno a casa con il cuore colmo: incoraggiata, rinnovata, più carica, con un desiderio ancora più forte di proclamare il Vangelo con coraggio. 

Un desiderio per gli altri 

Quest’anno, però, il mio sguardo non era rivolto solo a ciò che Dio avrebbe fatto in me, bensì a ciò che avrebbe compiuto negli altri, nei membri del mio gruppo GBU. Pregavo e desideravo con tutto il cuore che anche loro potessero sperimentare la gioia e la potenza che ho vissuto negli anni passati. In un certo senso, pensavo di sapere già cosa aspettarmi, che non ci sarebbero state sorprese per me. 

Eppure, Dio è sorprendente. Non smette mai di parlare, di incoraggiare, di toccare profondamente il mio cuore in modo nuovo. La Sua Parola è luce, e parla con chiarezza e potenza. Parlando con un’amica del mio gruppo, mi ha confidato quanto partecipare alla Festa GBU sia stato per lei un dono del Signore. Ha descritto ogni momento come “meravigliosamente unico e prezioso”. Ciò che l’ha colpita di più è stato sentire un amore profondo nel suo cuore, nonostante non conoscesse nessuno. Ha scoperto e vissuto la realtà della famiglia spirituale, che va oltre la nazionalità, la lingua, ogni differenza. Questo è l’amore di Dio: un amore che va oltre ogni logica umana.  

Un Regno diverso 

Il tema della Festa 2025 era “Per un regno diverso”, tratto dal libro del profeta Daniele. Un libro che ci mostra chiaramente che Dio trionfa su ogni opposizione, e come il Suo Regno sia eterno e incrollabile, radicalmente diverso da quelli umani. L’incoraggiamento è quello di non focalizzarci sulle nostre sconfitte ma sulla vittoria già compiuta da Dio. Spesso ci sentiamo pochi, deboli, irrilevanti in un mondo che sembra correre in tutt’altra direzione. Ma non siamo in minoranza: siamo figli del Re, di un Regno che non finirà mai. Questa è la verità potente che ha fatto da filo conduttore a ogni momento vissuto insieme. 

“Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio dura di generazione in generazione.”  

Daniele 4:3b

Una preghiera che unisce 

Un momento che mi ha particolarmente incoraggiata è stato quando ho avuto l’opportunità di guidare la preghiera del mattino. Davanti a me c’erano tutti questi ragazzi, svegli presto, pronti a lodare Dio insieme. Non era scontato: vedere cuori giovani uniti nella preghiera, così sinceri e desiderosi di intercedere, mi ha profondamente toccata. In quel momento ho capito ancora di più quanto Dio stia operando nelle nostre vite, non solo individualmente, ma come un corpo. 

Una visione condivisa 

La festa GBU è qualcosa di straordinario: decine di studenti e staff uniti da un solo desiderio, quello di condividere Gesù da studente a studente. È una visione che si respira, che si vive, che infiamma i cuori. 

Sono riconoscente a Dio per ogni persona che ha reso possibile questa Festa. È evidente che nulla è stato fatto per caso: ogni dettaglio, ogni parola, ogni incontro era parte di un disegno più grande. Sono profondamente grata per come Dio sta operando nel mio gruppo, nella mia vita, nel movimento GBU. Il Suo Regno è davvero in mezzo a noi. La sfida ora è continuare a vivere con lo stesso entusiasmo anche all’università, nel quotidiano. Ma so che Dio è con me anche lì. Il Regno diverso comincia proprio da lì.

Un invito per te

Se non hai mai partecipato a una Festa GBU, lascia che ti dica questo: non perderti la prossima. È molto più di un evento: è un’esperienza di incontro reale con Dio, insieme ad altri studenti come te. Ti cambia. Ti rinnova. E ricorda chi sei: figlio di un Re che regnerà per sempre.

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Francesco si racconta in questa intervista: la decisione di proporsi come Segretario Generale (SG), le emozioni vissute nell’ultimo anno e i suoi desideri sul futuro del GBU.

Francesco, Il Comitato Direttivo ti ha scelto come nuovo SG. Come hai accolto questa notizia? Che sensazioni hai provato? 

È una notizia che mi dà tanti e nuovi stimoli. Sono Staff GBU a Napoli da oltre dieci anni, e ho avuto l’opportunità di servire il Signore sia nel gruppo locale sia in diversi progetti a livello nazionale. Dieci anni molto ricchi e formativi, ma di certo questo è un grande cambiamento che porta con sé tante responsabilità e richiede tanto tempo da dedicare.

Sono stato anche sorpreso e incoraggiato dai tantissimi messaggi che ho ricevuto dopo che la notizia è stata resa pubblica. Mi hanno scritto persone più o meno vicine al mondo GBU, ma sinceramente non mi aspettavo tanto affetto. Pensavo, infatti, che la notizia sarebbe rimasta più interna al GBU, e invece è stato bello sapere che ci sono tante persone che pregano e pregheranno per me, per questo nuovo impegno. 

Qual è stata la riflessione che ti ha portato a candidarti come nuovo SG?

La verità è che tra i membri dello Staff più anziani ci sono anche io! 

Ero e sono consapevole che non avrei affrontato troppe difficoltà per quanto riguarda l’esperienza e la conoscenza del GBU. Poi c’è stata una ragione più personale, riguardo alla chiamata che sento nel GBU e al percorso che stiamo facendo come famiglia. 

Inoltre, dopo più di dieci anni nel GBU sento sempre di più la distanza dagli studenti, nel senso che diventa sempre più complicato partecipare agli studi biblici in facoltà e andare a evangelizzare gli universitari insieme ai ragazzi del GBU. Se fino a pochi anni fa potevo illudermi di sembrare uno studente (molto) fuori corso, oggi che sto per compiere quarant’anni… (ride, ndr).

Desidero comunque essere vicino agli studenti come SG. Ma sarà in modo diverso e più in armonia con il mio nuovo ruolo. È uno dei miei obiettivi nei prossimi anni.

Quindi dovrai lasciare il tuo ruolo di Staff GBU a Napoli?

Sì, ma grazie a Dio a Napoli ci sarà Rebecca Iacone, che si è laureata pochi anni fa, ha terminato il suo percorso da Staff in Formazione e ora vuole rimanere a servire il gruppo GBU Napoli. Questa è una di quelle circostanze favorevoli che il Signore ha preparato e che mi hanno incoraggiato a candidarmi come SG.

Oltre a questo, per essere più vicini alla mia famiglia e alla chiesa locale che frequentiamo, tra non molto ci trasferiremo a Bacoli, allontanandoci un po’ da Napoli e dagli studenti. Anche questo aspetto familiare è più compatibile con un ruolo nazionale rispetto a un impegno con un gruppo GBU locale. 

Ottimo allora, potrai dedicarti serenamente al tuo ruolo come SG. Quali sono i tuoi sogni futuri per il GBU?

Ho una serie di desideri e di aspettative per il GBU. Sono maturati in me in modo naturale in questi anni, e prego che possano ispirare e motivare il mio impegno in questo nuovo ruolo, e anche l’impegno di tutto lo Staff GBU. 

Alcune di questi desideri sono in piena sintonia con la storia del GBU, e sono da preservare. Altre sono cose su cui dobbiamo lavorare ancora o che dobbiamo esplorare. Vorrei sicuramente che gli studenti mantenessero sempre un ruolo centrale nel GBU e nella condivisione del vangelo nell’università, insieme alla centralità della Parola di Dio in tutto quello che facciamo.

Vorrei anche che la missione rafforzasse la sua dimensione interdenominazionale, riuscendo a interagire con diverse realtà ecclesiali in Italia, per raggiungere quelle chiese che ad oggi non conoscono il GBU. Spero e prego di poter vedere questo risultato nei prossimi anni. Ho appreso molto sulle relazioni con le chiese attraverso il mio coinvolgimento con il “NoiFestival” (un’iniziativa della Billy Graham Ass., ndr). È stata un’esperienza davvero formativa e mi impegnerò per raggiungere un buon risultato nel prossimo futuro. 

Questa interazione con le chiese è fondamentale per diversi aspetti, tra cui la possibilità di avere più studenti impegnati nel Condividere Gesù nelle università italiane. 

Una delle cose in cui sei stato coinvolto da Staff GBU è stata “Interagire con l’università”. Pensi che il GBU abbia dei margini di crescita sotto questo aspetto?

Sì, mi piacerebbe molto riuscire a dare un contributo affinché il GBU sia più attivo e capace a rispondere alle domande e ai dubbi degli studenti universitari. Mi piacerebbe che gli studenti fossero stimolati e sfidati in questo, ma vorrei coinvolgere pure professori e professionisti, anche internazionali, che possano affrontare temi specifici e rilevanti nell’ambiente universitario. 

Ci sono poi tante idee e desideri, ma vedremo strada facendo. Per il momento sto vivendo a pieno questo periodo di transizione, nel quale sono il “SG eletto”, ma non in carica (ride, ndr). Saranno mesi utili per il passaggio di testimone e potrò interagire per bene con Johan che sarà di grande aiuto in questa fase.

A proposito di Johan, hai letto i suoi consigli per te nella sua intervista? Cosa ne pensi?

Sì, ringrazio Johan per il suo affetto, la sua stima, ma soprattutto per il suo esempio. Ha fatto un grande lavoro per dare al GBU una struttura che oggi permette a tutti noi di muoverci con più disinvoltura e sarà così anche per me nel ruolo di SG.

Di certo voglio mantenere e anche rafforzare la struttura che Johan ha creato, in continuità con il suo lavoro e in armonia con tutti i membri dello Staff GBU. 

Uno dei motivi per cui ho accettato l’incarico è stata proprio la consapevolezza di avere una squadra forte, formata da persone piene di capacità e doni spirituali. Sarebbe impossibile fare il mio lavoro senza questo team talentuoso. La mia intenzione, ovviamente, è quella di accogliere il consiglio di Johan e di fare affidamento su tutti i membri della famiglia dello Staff GBU, nonché sugli altri membri della fellowship. 

Di Domenico Campo, Staff GBU Sicilia
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Johan (a destra nella foto, insieme al Comitato Direttivo del GBU) si racconta in questa intervista. La sua storia come Segretario Generale (SG), l’evoluzione del GBU, il suo futuro e i consigli per Francesco (a sinistra nella foto), il nuovo Segretario Generale.

Johan, quest’anno lascerai l’incarico di Segretario Generale. Dopo quanti anni?

Sono diventato SG nel 2009/2010, quindi ufficialmente sono 15 anni. In realtà, però, già dal 2005 ero di fatto attivo in questo ruolo, perché ero Presidente dell’Associazione GBU e mi occupavo di alcuni aspetti propri del SG, figura che all’epoca non esisteva. Quindi, sono quindici o venti anni!

Possiamo definire questo un momento di grande cambiamento nella tua vita e nella storia del GBU. Come sei arrivato a prendere questa decisione? Aspetta… non è che ti hanno cacciato?

Sì, finalmente posso dirlo ufficialmente: mi hanno fatto fuori (ride, ndr). In realtà, il mandato di un Segretario Generale, secondo lo statuto, è di cinque anni rinnovabili. Dopo questi cinque anni, si valuta se continuare o meno insieme al Comitato Direttivo, cioè le persone che, tra le altre cose che fanno per il bene del GBU, hanno il compito di affidare il mandato di SG.

Con il Comitato, abbiamo scelto di proseguire per due volte. Dopo i primi cinque anni, sentivo di poter dare ancora molto ed è stato semplice decidere di continuare, insieme al Comitato. Cinque anni fa, invece, era un periodo un po’ particolare, soprattutto dal punto di vista amministrativo e dello sviluppo del GBU, quindi continuare è stata anche una necessità.

Ho amato svolgere il ruolo di Segretario Generale del GBU e ho avuto molte soddisfazioni e benedizioni da Dio in questi venti anni di lavoro di squadra. Oggi, il team dello Staff è ricco di persone capaci e ho sentito che fosse il momento giusto per lasciare spazio a qualcun altro, che potesse esercitare i propri doni in questo ruolo.

Cosa farai ora? Rimarrai coinvolto nel GBU?

Tre anni fa, IFES (il nome del GBU a livello internazionale, ndr) mi ha chiesto se volevo impegnarmi nel loro programma di Governance, che consiste nell’offrire formazione ai Comitati Direttivi dei gruppi GBU nei vari paesi del mondo. Era una proposta in linea con i miei doni e le mie passioni, perché mi occuperò di leadership e struttura. Quindi, ho accettato la proposta, consapevole che non fosse compatibile con il ruolo di Segretario Generale.

Sembra che la tempistica per questo nuovo incarico sia stata perfetta.

Sì, grazie a Dio. Una prospettiva di servizio in IFES, in un momento in cui iniziavo davvero a pensare di lasciare il ruolo di SG a qualcun altro, con piena fiducia nel Signore, nel Comitato che avrebbe scelto il nuovo SG e nella squadra degli Staff. La consapevolezza che stava arrivando il momento di lasciare il ruolo, dopo circa 20 anni, è coinciso quindi con l’arrivo di questa proposta di essere più impegnato in questo programma IFES, in cui ero già coinvolto dal 2019 come Trainer, per aiutare i vari Comitati Direttivi dei gruppi GBU internazionali.

Adesso una domanda per la quale, per rispondere al meglio, potresti dover scrivere un libro (perché non farlo?!)… Pensando a questi vent’anni, com’era il GBU quando hai iniziato come SG e com’è adesso?

Questo è probabilmente l’aspetto più incoraggiante e benedetto di questi anni. Siamo partiti da un GBU molto più piccolo, per quanto riguarda il numero di gruppi nazionali, di studenti coinvolti e di membri dello Staff in Italia, ma anche per quanto concerne donazioni e finanze in generale. Guardando ai numeri, è un GBU completamente diverso.

Guardando invece a ciò che il GBU fa e alla sua missione, le radici sono le stesse. La passione per il vangelo è la stessa, così come la centralità dello studente e, di conseguenza, la visione di condividere Gesù da studente a studente. Tutte queste cose sono rimaste pressoché invariate.

In questi anni, abbiamo aggiunto molta struttura intorno a queste fondamenta. Ad esempio, oggi abbiamo un percorso per formare i Coordinatori, lo stesso per i membri dello Staff in Formazione. Crescendo, era necessario aggiungere struttura, perché il rischio sarebbe stato una crescita isolata e distaccata, mentre così c’è una crescita organizzata e omogenea. Oggi, siamo sempre un movimento studentesco fondato sugli studenti, ma per certi versi siamo un’organizzazione più strutturata e collegata, più capace di relazionarsi con diverse chiese provenienti da diversi contesti, con più studenti coinvolti e più capace di riuscire a mettere insieme una squadra di membri dello Staff più ricca, per essere presenti in più città universitarie.

Cosa succede ora? Rimarrai coinvolto nel GBU? Quale sarà eventualmente il tuo ruolo?

Il mio lavoro in IFES non occuperà tutto il mio tempo. Certamente, rimarrò a disposizione del GBU e del nuovo SG. Ci sarà un periodo di transizione tra me e Francesco, per dare a lui e a tutto lo Staff il tempo di abituarsi al nuovo assetto. Dopodiché, sarò a disposizione del GBU. Ci sono aree in cui continuerò a servire, utilizzando alcuni miei doni specifici, senza conflitti di ruolo con Francesco, considerando anche i suoi doni, molteplici e diversi dai miei.

Francesco sarà il nuovo Segretario Generale del GBU e sicuramente apprezzerà qualche dritta da parte tua! Che consigli vorresti dargli?

In questi mesi, ci ho pensato diverse volte, perché ho analizzato le cose buone e quelle meno buone del mio percorso. Non vorrei fare un elenco a Francesco, ma piuttosto condividere alcune riflessioni.

Credo che Francesco dovrà sentirsi libero di usare i molti doni che Dio gli ha dato e le sue passioni, e guidare il GBU attraverso di essi, verso gli obiettivi che avremo davanti. Nel farlo, spero che vorrà preservare la struttura che siamo riusciti a realizzare in questi anni, o comunque migliorarla o adattarla ai tempi, in modo da rimanere stabili su un fondamento che è necessario, e che permetta a lui di esercitare liberamente i suoi doni e aiutare il GBU a “cambiare” nelle cose che sente che devono essere cambiate, create o implementate. Sono sicuro che saprà trovare il suo spazio e il suo modo personale per svolgere l’incarico di Segretario Generale.

Spero che continui a fare un lavoro collaborativo, dove ogni elemento del GBU si senta parte della famiglia. Questo diventerà sempre più complicato man mano che cresceremo, lo abbiamo visto negli ultimi dieci anni; allo stesso modo, ci sono diversi modi per coinvolgere tutti, soprattutto per quegli aspetti strategici che riguardano il lavoro a lungo termine. Sarà importante che questo venga mantenuto.

Sono certo che il Comitato ha fatto un’ottima scelta, che Francesco saprà donare cose buone e anche diverse rispetto a me e sono sicuro che il Signore continuerà a benedire il GBU e a guidare tutti noi per il lavoro nella condivisione del vangelo nelle università.

di Domenico Campo, Staff GBU Sicilia

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Maria Chiara (GBU Urbino), Liz (GBU Milano) e Deborah (GBU Roma) sono tre studentesse che hanno partecipato alla Mission Week tenutasi a Loughborough, in Inghilterra, dal 17 al 21 febbraio. La settimana evangelistica è stata organizzata dagli studenti di Christian Union, il GBU inglese. Maria Chiara, Liz e Deborah hanno collaborato con il gruppo locale nella settimana di evangelizzazione del campus universitario. 

Abbiamo fatto alle ragazze alcune domande sulla loro esperienza a Loughborough. Ecco cosa ci hanno detto.

RACCONTATECI DELLA MISSIONE WEEK. COME ERANO ORGANIZZATI GLI STUDENTI DI CU?

LIZ – La settimana di eventi è stata ben pubblicizzata tramite volantini, social media, gazebo, lecture shout-out (chiedere al professore di comunicare un’iniziativa di un club studentesco e dire a tutta la classe dell’evento che si svolgerà). Inoltre, gli studenti di CU erano anche ben visibili in giro per il campus perché indossavano la felpa con il logo di CU e il tema della settimana di eventi.

Gli studenti erano puntuali, seri e sempre i primi a prendere parte a tutte le attività, sia come presentatori che come servitori durante l’evento. Anche quando non erano gli oratori, si impegnavano attivamente, aiutando a promuovere l’iniziativa con banchetti evangelistici e altre forme di coinvolgimento. L’organizzazione della Mission Week era accurata, con una distribuzione delle responsabilità che non ricadeva mai solo su poche persone, ma su un gruppo ampio. Gesù era senza dubbio il protagonista principale, ma erano gli studenti a essere in prima linea nella condivisione del vangelo all’interno dell’università. Questo approccio colpiva profondamente gli amici invitati, che vedevano i loro compagni cristiani veramente impegnati e sinceri nel messaggio che condividevano.

MARIA CHIARA – Una cosa che mi ha colpito è stata il concetto dello “Student Led”. Gli studenti stessi erano i protagonisti di ogni attività e missione, senza la presenza costante dello Staff. La missione veniva portata avanti dai ragazzi, molti dei quali erano giovanissimi, ma con un cuore ardente per Gesù. Il contesto in cui ci trovavamo era un grande college, pieno di studenti, con spazi facilmente accessibili. Gli eventi evangelistici, come il lunch bar, si svolgevano in luoghi vicini a quelli frequentati dagli studenti, il che rendeva facile invitarli all’ultimo momento. La vicinanza degli spazi ha reso l’invito agli studenti ancora più naturale e immediato.

Un aspetto che ci ha particolarmente colpite è stata la preghiera di qualità che ha caratterizzato tutta la settimana del team di CU. Ogni mattina, i ragazzi si svegliavano presto e ci incontravamo alle 8 per dedicare un’ora alla preghiera, mettendo nelle mani di Dio la giornata, gli eventi e le persone che avremmo incontrato. È stato davvero incoraggiante poter condividere le richieste di preghiera, le sfide e gli incoraggiamenti e sentirci parte di un unico team, con lo stesso spirito, la stessa visione e lo stesso scopo: proclamare il vangelo. Vedere questi ragazzi così giovani pregare con tale costanza e dedizione, essere puntuali e alzarsi presto ogni mattina, è stato davvero bello. Successivamente, tutti andavano alle loro lezioni, pronti ad affrontare la giornata. 

COME ERANO ORGANIZZATI GLI EVENTI?

DEBORAH – Ogni evento aveva una struttura chiara e abbiamo notato delle peculiarità che permettevano di raggiungere gli studenti del campus:

        a. Ad ogni evento c’era del cibo gratuitamente e le persone che lo servivano erano gli studenti di CU. Abbiamo proprio assistito a come il cibo portava a un momento di aggregazione, condivisione, intimità…a pensarci, infatti, anche Gesù stesso si sedeva a tavola con i suoi discepoli e con le persone che evangelizzava.

        b. C’era un’atmosfera informale: disporsi in tavolini, condividere un pasto e scambiare idee rendevano l’atmosfera piacevole per tutti.

        c.  Nessuno usava il telefono durante gli eventi. In un’epoca in cui abbiamo sempre il telefono in mano, abbiamo notato come durante gli eventi gli studenti di CU tenevano il telefono in tasca per dare piena attenzione agli ospiti.

        d. Gli eventi proposti erano adatti agli studenti perché affrontavano temi rilevanti per loro. In questo senso, è stata importante anche la scelta dei relatori: è stato bellissimo per noi osservare come i relatori stessi fossero disponibili (anche fino a tarda sera) a passare del tempo con gli studenti non cristiani e rispondere alle loro domande, o sedersi per condividere un pasto con gli studenti. Inoltre, offrivano anche un altro tipo di interazione, meno diretta, perché era possibile fare domande anonime tramite un QR code. Oltre ai relatori, venivano coinvolte anche altre persone: ogni sera veniva intervistata una persona diversa con una storia diversa, compresi anche alcuni studenti di CU.

QUALCOS’ALTRO CHE VI HA COLPITO IN MODO SPECIALE?

LIZ – A proposito della preghiera, anche prima degli eventi si spendeva del tempo per pregare e la giornata si concludeva sempre in preghiera.  Nel gruppo c’era una reale consapevolezza della potenza della preghiera, tutti sentivano il bisogno di pregare per i loro amici prima di invitarli. Gli studenti di CU avevano capito che gli eventi della settimana evangelistica non erano solamente un’occasione per stare insieme, ma l’obiettivo era soprattutto invitare i loro amici non cristiani, affinché potessero ascoltare La Buona Notizia. Avevano il desiderio ardente di vederli salvati.

DEBORAH – La dimostrazione della cura e dell’amore per la persona, perché un non cristiano interessato a Gesù e al testo biblico, o anche un nuovo credente, non veniva mai lasciato a sé stesso.  C’era una presa di posizione da parte degli studenti, un’intenzionalità nelle conversazioni, e un’audacia che deriva dalla pura certezza della Buona Notizia che stavano condividendo. C’era un impegno a non lasciare indietro nessuno, a rispondere alle domande, anche le più scomode, e camminare insieme. Sono rimasta in contatto con i ragazzi conosciuti lì (e che hanno ormai un posto nel mio cuore!) e so per esempio che il lunedì successivo alla settimana di eventi si sono presentate una ventina di persone! Gli studenti, inoltre, portano queste persone nelle loro chiese, invitandole e spesso offrendo loro un passaggio in macchina (un buon incentivo!), e offrendo poi il pranzo in chiesa, in alcuni casi. Gli studenti di CU si preoccupano personalmente che questi nuovi studenti siano inseriti in una chiesa.

LIZ – Un’altra cosa che mi porto a casa da questa esperienza in Inghilterra è senza dubbio una visione più chiara di cosa rappresenti il GBU. Non si tratta di un semplice club culturale o sociale dedicato allo studio del testo biblico, ma di una missione evangelistica che si impegna attivamente a condividere il messaggio di Gesù da studente a studente. È stato davvero interessante osservare come il focus principale fosse sul vangelo, che veniva predicato in vari modi, e come l’evento fosse seguito da studi biblici.

QUESTA ESPERIENZA HA TRASFORMATO IL VOSTRO APPROCCIO EVANGELISTICO? COSA VORRESTE VEDERE NEI VOSTRI GRUPPI GBU E QUI IN ITALIA?

MARIA CHIARA – Quando siamo tornati, personalmente mi sono sentita molto incoraggiata e motivata a portare questa stessa passione nel mio contesto universitario. Ho cercato subito di trasmettere agli altri membri del gruppo di Urbino l’importanza di avere uno scopo comune nella missione, innamorandosi nuovamente del vangelo e proclamandolo non solo attraverso studi biblici, ma anche curando le persone che partecipano ai nostri incontri. Abbiamo deciso di mantenere lo stesso spirito, organizzando momenti di preghiera, formazione sull’evangelizzazione e incontri di équipe, per restare uniti come gruppo di credenti.

Siamo così incoraggiate da voler organizzare una settimana simile in Italia. Abbiamo già programmato un incontro di preghiera e iniziato a pregare, ma siamo consapevoli che il Signore ha il controllo su ogni cosa. Sono estremamente grata per questa esperienza, che mi ha rafforzato nel mio ruolo di coordinatrice nel GBU e mi ha permesso di tornare a casa con un nuovo spirito. Mi ha aiutato a guardare la mia città con occhi nuovi, apprezzando le sue bellezze e non focalizzandomi solo sulle difficoltà. È stato incredibile vedere tanti studenti più giovani di me proclamare il vangelo con passione ai loro amici non credenti. Credo fermamente che il Signore desideri fare cose meravigliose attraverso il GBU in Italia, specialmente attraverso gli studenti.

DEBORAH – Da quando sono tornata ho una forte audacia nel condividere il Vangelo, perché se ho la certezza che Gesù ha salvato me allora so che vuole salvare tanti altri studenti. Nel condividere il vangelo ho anche imparato che si tratta di un messaggio semplice: Dio non cerca una teologia perfetta, ma un cuore arreso. Spesso pensiamo che per evangelizzare (cioè parlare di Gesù) serva costruire dibattiti filosofici e teologici articolati, quando invece dobbiamo solo mostrare che Gesù ama le persone di un tipo di amore che l’uomo cerca per tutta la sua vita, ma che al tempo stesso continuerà a non trovare mai su questa terra restando deluso, vuoto e rotto.

All’interno del GBU a Roma, in particolare all’università della Sapienza, stiamo provando diverse strategie, cercando di aumentare le interazioni che abbiamo con gli studenti, frequentando più spesso gli spazi universitari. Abbiamo preso la buona abitudine di avere conversazioni ogni settimana: andiamo in giro per il campus con un cartellone in cui c’è scritta una domanda che secondo noi potrebbe essere rilevante per gli studenti, ci impegniamo ad ascoltare la loro risposta e a concludere parlando di Gesù e del vangelo. 

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Di Zach Taylor, Staff in Formazione a Roma

Questo articolo deriva da un evento evangelico organizzato dal GBU Roma, dove abbiamo esplorato le seguenti domande attraverso l’analisi di gruppo di opere d’arte, dibattito e una breve presentazione:

  • Cos’è l’arte?
  • Perché creiamo arte?
  • Cosa può dirci l’arte sull’umanità?

Per questo articolo, mi concentrerò principalmente sulla terza domanda come modo per esplorare la storia evangelica della creazione, della caduta e della redenzione attraverso l’arte. È scritto per essere accessibile sia ai cristiani che ai non cristiani. Se desideri leggere un’analisi più completa delle opere d’arte presentate, non esitare a contattarmi tramite il sito web del GBU.

Arte, bellezza e creatività

L’arte pone alcune domande profonde sull’umanità e può catturare la bellezza che vediamo nel mondo, dai bellissimi tramonti di un dipinto di Monet alle magnifiche montagne di Albert Bierstadt. Quando vedo queste opere d’arte, mi ricordano lo stupore e la meraviglia che provo quando vedo queste incredibili parti del nostro mondo. Poiché le pennellate sono state dipinte dagli artisti con passione e pensiero, la bellezza apparentemente infinita che vediamo nel mondo mi fa pensare che il mondo debba avere un certo disegno dietro di sé. La storia della Bibbia ci dice che il mondo non è stato creato per caso ma con uno scopo, soprattutto per essere vissuto e goduto dagli esseri umani nella loro relazione con Dio che li ha creati.

Genesi 1 afferma che gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio. Può sembrare una frase strana, ma significa essenzialmente che Dio ci ha creati amorevolmente per essere diversi dal resto della creazione, perché in qualche modo riflettiamo il Suo carattere. Ciò include l’incredibile creatività che vediamo riversata in così tante opere d’arte. Come un genitore o un nonno che insegna a un bambino a disegnare, cantare o cucinare, Dio si compiace che noi prendiamo parte alla Sua creazione e che godiamo dell’uso delle straordinarie capacità che ci ha dato.

Tuttavia, non so voi, ma io non mi sento fatto a immagine di Dio la maggior parte del tempo. So che non amo e non mi prendo cura degli altri perfettamente, che ferisco i sentimenti delle persone e a volte mi sento confuso e isolato. E spesso mi ritrovo frustrato dal fatto di non avere il tempo o la capacità di essere creativo come vorrei e sono schiacciato dalle mie ambizioni irrealizzate. Questa frustrazione è ben espressa dal poeta Joshua Luke Smith:

A volte mi sono chiesto, e forse anche tu puoi averlo fatto, cosa ho esattamente da offrire al mondo? Quando scolpirò la mia statua di David come Michelangelo o dipingerò la nascita di Venere come Sandro Botticelli? Voglio fare qualcosa di grande ed essere qualcosa di grande, ma la maggior parte della mia vita la passo a districarmi dalle ragnatele della vergogna e della sfortuna in cui sono intrappolato.

Mi chiedo se ti sei mai relazionato con qualcuna delle emozioni che hai visto rappresentate in un’opera d’arte. Che si tratti della solitudine ritratta nel New York Movie di Edward Hopper o dell’ingiustizia in The Power of Music di William Mount. Quando guardiamo le opere d’arte create da persone diverse in tempi e luoghi diversi, sembra esserci un dolore e un’angoscia comuni per il fatto che il mondo non è come dovrebbe essere.

Cercare risposte nella rottura

La Bibbia ci dà una ragione per questo. Il dolore e la confusione che spesso proviamo sono il prodotto del fatto che abbiamo tutti rifiutato Dio e abbiamo invece scelto di renderci noi stessi dei delle nostre vite. Vogliamo decidere il nostro destino, fare le cose che ci porteranno più felicità, pensando di sapere cosa è meglio per noi. Ma dove ci porta questo? Fuori dalla relazione con Dio, siamo soli in un grande mondo dove ci sono molte pressioni che ci affliggono ogni giorno. E spinti dalla pressione di fare qualcosa di significativo con la nostra vita, spesso ci sentiamo schiacciati dall’indecisione o dall’ansia.

In molte opere d’arte, sembra che ci sia poca speranza per le situazioni e le persone raffigurate. Quindi, cosa facciamo con quelle opere d’arte che non sembrano offrire alcuna risposta? Ad esempio, un critico dell’opera d’arte Shibboleth del 2007 alla Tate Modern di Londra ha scritto:

l’opera d’arte mi rimbombava in testa tutto il giorno e mi perseguita ancora. Quando mi chiedo perché, mi rendo conto che è perché sembra una ferita, una ferita che non può guarire. Non offre alcuna speranza, lasciandoti vuoto come l’abisso che si apre sotto i tuoi piedi.

Doris Salcedo, Shibboleth I, 2007

Forse questa non è la tua impressione dell’opera d’arte (poiché tutti interpretiamo le cose in modo diverso), ma è chiaro che quando guardiamo l’arte attraverso la storia, c’è molta bellezza e anche molta rottura. Quindi questo ci porta a chiederci: come affrontiamo la tensione tra rottura e bellezza che vediamo nell’arte e nel mondo che ci circonda? Lo abbracciamo semplicemente come la crepa nel pavimento in Shibboleth o c’è una risposta? C’è speranza nella rottura?

Tutto è fatto nuovo

La risposta che dà la Bibbia è che quando l’umanità ha rifiutato l’amore di Dio, la morte è entrata nel mondo come conseguenza della scelta di andare per la nostra strada. Tuttavia, Dio ci ama troppo per lasciarci affrontare la punizione della morte che tutti meritiamo, senza un modo per tornare a Lui. Per questo ha mandato Gesù a morire al nostro posto, affinché non dovessimo pagare noi. E la parte più sorprendente è che Gesù non è rimasto morto ma è risorto dalla tomba, sconfiggendo la morte e aprendo una via per noi, per ricevere la vita eterna in Lui, quando scegliamo di seguire Gesù e di tornare a relazionarci con Dio.

Non solo la risurrezione di Gesù offre speranza di fronte alla morte, ma cambia tutto del nostro presente, mentre guardiamo al futuro. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, dice: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore, perché le cose di prima sono passate.” Ancora di più, nella frase successiva Dio dice semplicemente ma meravigliosamente “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Tutta la rottura che vediamo raffigurata nell’arte, nelle nostre vite e nel mondo che ci circonda sarà trasformata. Le nostre relazioni spezzate con Dio, con gli altri e con il mondo saranno ripristinate. Come il Kintsugi, la pratica giapponese di riparare la ceramica rotta per creare una nuova opera d’arte, quando scegliamo di seguire Gesù, Egli può trasformare i nostri pezzi rotti in qualcosa di nuovo. La crepa irrisolta nel pavimento è risolta.

Può essere doloroso riconoscere le parti rotte della nostra vita; la nostra sofferenza o la nostra vergogna. Tuttavia, quando le portiamo alla luce di un Dio amorevole che aspetta di perdonarci e darci nuova vita, Egli può fare qualcosa di bello dalla nostra rottura. E quando segui Gesù, puoi vivere con libertà e con uno scopo, alla luce del mondo a venire. Essere i figli creativi di Dio che siamo stati creati per essere, significa che possiamo fare cose straordinarie, senza la pressione di fare o essere qualcosa di grande o di risolvere i problemi del mondo da soli. Possiamo piangere il mondo com’è ora mentre indichiamo la speranza dell’eternità.

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Di Francesco Schiano Lomoriello, Staff GBU Napoli.

L’espressione “ricerca del Gesù storico” fa riferimento allo sforzo di ricostruire un ritratto di Gesù di Nazareth che scavalchi quello offerto dai vangeli, per giungere più vicino possibile alla verità storica.

L’assunto di partenza è che gli autori dei Vangeli non siano stati motivati dal desiderio di riportare la verità oggettiva, ma da intenti teologici e dottrinali. Pertanto, li si accusa di avere inserito nei loro racconti fatti non accaduti realmente, o almeno non nelle modalità descritte, per sostenere le posizioni delle comunità cristiane di cui erano espressione.

Tre fasi della ricerca

Oggi si riconoscono tre fasi della ricerca:

– La prima si è sviluppata tra il XVIII e la prima parte del XX secolo. Il Razionalismo di derivazione illuiminista spinse studiosi come Hermann Reimarus a suggerire la differenza tra il “Cristo della Fede” e il “Gesù della Storia”. Vennero scritte biografie di Gesù che erano soprattutto il tentativo di razionalizzare e naturalizzare i vangeli, epurandoli di tutti gli elementi sovrannaturali. Rudolf Bultmann è stato l’ultimo protagonista di questa fase e colui che vi ha posto fine. Egli suggeriva che il Gesù della Storia fosse inaccessibile alla ricerca. Tale conclusione era stata motivata dalla constatazione che ogni biografia di Gesù pubblicata nei precedenti 2 secoli aveva offerto un ritratto diverso dalle altre, alimentato non tanto dagli auspicati criteri di oggettività, quanto dall’orientamento e dai pregiudizi di chi l’aveva proposto.

– Proprio un discepolo di Bultmann, Ernst Kasemann, è stato l’iniziatore della seconda ondata di studi sul Gesù storico. Convinto, a differenza del suo maestro, della possibilità di colmare il gap tra il Cristo della Fede e il Gesù della Storia attraverso lo studio critico dei testi del Nuovo Testamento. Era la metà del XX secolo e questa stagione durò poco perché importanti scoperte archeologiche imposero un nuovo approccio alla ricerca.

– Studi basati su scoperte come la biblioteca di Nag Hammadi e i rotoli di Qumran permisero agli storici di giungere a una conoscenza più profonda della società e della cultura del Medio Oriente antico. Tale conoscenza è il fondamento dell’approccio della terza fase della ricerca sul Gesù storico. A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, sempre più studiosi si sono interessanti alla possibilità di distillare la verità storica dai testi del Nuovo Testamento. Questo non solo attraverso un lavoro filologico e letterario, ma attraverso l’analisi dei resoconti biblici alla luce delle conoscenze acquisite sulla società nella quale Gesù visse e i vangeli furono scritti. Una caratteristica importante di questa terza fase è la presenza tra i suoi animatori di studiosi atei e agnostici, che in alcuni casi sono cristiani deconvertiti.

Come affrontare la questione

Confrontarsi con le opere di studiosi, passati e presenti, che mettono fortemente in discussione l’affidabilità dei racconti evangelici può rappresentare una sfida di non poco conto per i credenti. Tuttavia abbiamo gli strumenti per affrontare tale sfida e trasformarla in un’opportunità evangelistica.

1. I testimoni oculari e il vero Gesù

L’assunto di partenza a cui abbiamo fatto riferimento, cioè la convinzione che i Vangeli canonici non rappresentino resoconti storici ma ricostruzioni teologiche della figura di Gesù, non è assolutamente dimostrato. Le prove interne sembrano suggerire tutt’altro. Se si pensa alla presenza di tanti particolari non necessari alla narrazione (il numero di pesci pescato alla seconda pesca miracolosa, il giovane coperto da un lenzuolo presente all’aresto di Gesù, il fatto che Giovanni arrivò al sepolcro prima di Pietro, ecc.), alle storie che mettono in cattiva luce i discepoli, o alla dichirazione d’intenti che Luca offre all’inizio del suo Vangelo (…è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine…), si può sostenere ragionevolmente che gli evangelisti abbiano riportato testimonianze oculari con lo scopo di presentarci il vero Gesù.

Proprio la categoria della testimonianza è quella che suggerisce lo studioso Richard Bauckham nel suo Gesù e i testimoni oculari1 per comprendere correttamente il genere letterario Vangeli. Estremamente soggettivo, ma non per questo non attendibile.

D’altra parte, la data di pubblicazione degli scritti del Nuovo Testamento, collocabile al più tardi tra il 60 e il 95 d.C., rende piuttosto difficile sostenere che essi contengano miti e leggende, visto che i testimoni oculari dei fatti narrati erano ancora in circolazione in quegli anni.

2. Incontrare il Cristo con la ricerca del Gesù storico

Oggi la maggior parte degli studenti è convinta che la Bibbia non sia un testo affidabile; parlare di Gesù a partire da ciò che affermano i Vangeli spesso vuol dire scontrarsi con questo pregiudizio. In un contesto simile, la ricerca del Gesù storico rappresenta un punto di incontro tra il credente e lo scettico. In altre parole, ci si può avvicinare ai testi del Nuovo Testamento da scettici e analizzarli con gli strumenti della storiografia moderna. Si può cercare di capire chi sia stato Gesù di Nazareth, senza dover prima accettare la dottrina dell’ispirazione della Bibbia, e incontrare il Cristo.

Non mancano le testimonianze di persone comuni e studiosi2 che, analizzando i Vangeli da non credenti, sono finite per riconoscere Gesù come loro Dio e Signore, proprio come accadde al primo scettico, il discepolo Tommaso.

  1. Bauckham R., Gesù e i testimoni oculari, Ed. GBU, Chieti 2010 ↩︎
  2. Si vedano, ad esempio, i seguenti libri di autori che hanno raccontato la loro esperienza: Chi ha rimosso la pietra?, F. Morison, Più che un falegname, J. MacDowell, Il caso Gesù, L. Strobel ↩︎
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Di Cristiano Meregaglia, Staff GBU Milano.

L’articolo è la sintesi del seminario che lo stesso Cristiano ha proposto ai coordinatori durante la Formazione GBU (ndr)

Imagine there’s no heaven / It’s easy if you try / No hell below us / Above us only sky / Imagine all the people / Living for today… / Imagine there’s no countries / It isn’t hard to do / Nothing to kill or die for / And no religion too / Imagine all the people / Living life in peace…

Lennon, John. Imagine

Così cantava John Lennon nel 1971, auspicando un tempo in cui le persone potessero vivere, finalmente, solo per l’oggi, senza essere oppresse dal pensiero di un paradiso o un inferno che si schiudessero loro davanti al momento del trapasso. Un mondo in cui non ci fossero nazioni e religioni, contrapposte le une alle altre, ad impedire una pace altrimenti possibile.

Certo, seppur a distanza di più di 50 anni, queste parole e questi auspici sono ancora presenti, e forti, nella società in cui viviamo. Parole che sembrano suggerire che la fede è non solo razionalmente insostenibile, ma anche moralmente dannosa. Pertanto, la società risulterebbe molto più funzionale se, da essa, si sradicasse ogni radice religiosa.

Il “nuovo” ateismo

Tutto ciò è stato sostenuto, in modo esplicito, dai principali esponenti del cosiddetto movimento del New Atheism. Questi hanno dedicato lunghe pagine a descrivere, senza mezzi termini, i grandi mali che la religione ha prodotto nella storia. Dalle crociate alla Jihad, dalle guerre di religione ai regimi teocratici contemporanei, questi intellettuali hanno messo bene in evidenza come la soluzione per un mondo migliore sembri essere proprio quella prospettata dal cantante dei Beatles.

È interessante notare, però, che, sebbene questi autori vengano appellati come nuovi atei, le tesi che sostengono sono tutt’altro che nuove. Esse sono infatte desunte, a tutti gli effetti, dalle riflessioni di pensatori del passato. Tra questi pensatori del passato è impossibile ignorare Bertrand Russell. Con la raccolta di saggi confluiti nel testo Perché non sono cristiano, Russell rappresenta, a tutti gli effetti, un riferimento normativo per buona parte della letteratura prodotta in seno al nuovo ateismo. 

La religione: una malattia da estirpare

In uno di quei saggi, intitolato “La religione ha contribuito alla civiltà?”, infatti, Russell espone proprio quelle tesi che, decadi dopo, Dawkins, Hitchens, Harris, Odifreddi, Augias e altri intellettuali contemporanei continuano a proporre per sostenere il danno prodotto dalla religione. Nella fattispecie, Russell sostiene che la religione sia «una specie di malattia, frutto della paura e fonte di indicibile sofferenza per l’umanità». Questo sostanzialmente per due motivi che hanno a che fare con la sfera intellettuale e con quella morale. Infatti, da un lato la religione impedisce il libero pensiero e la libera indagine razionale; dall’altro imponendo una morale, ritenuta assoluta e ancorata a concetti arcaici, produce i conflitti alla base dell’infelicità umana. Così, infatti, si esprime a conclusione del suddetto saggio:

«Con il progresso del sapere e della tecnica, la felicità universale può essere raggiunta; ma il principale ostacolo alla loro utilizzazione per tale scopo è l’insegnamento della religione. La religione impedisce ai nostri figli di ricevere un’educazione razionale; la religione ci impedisce di rimuovere le cause fondamentali delle guerre; la religione ci impedisce di insegnare l’etica della collaborazione scientifica in luogo delle vecchie, aberranti, dottrine di colpa e castigo. Forse l’umanità è alla soglia di un periodo aureo; ma per poterla oltrepassare sarà prima necessario trucidare il drago di guardia alla porta: questo drago è la religione».

Russel, B. “Perché non sono cristiano”, Longanesi & C., Milano, 1960, p.24

Ora, per quanto mordenti siano tali critiche, è utile sottolineare che è lecito, e forse doveroso, essere d’accordo con alcune delle istanze presenti nel saggio. È indubbio, infatti che diverse persone, reclamanti il nome di cristiani (o di altre religioni), nel corso della storia, abbiano compiuto azioni effettivamente riprovevoli, spesso abusando della posizione sociale fornita loro dalla religione; ed è altrettanto condivisibile l’insistenza sulla necessità di rifiutare una fede acritica, che non sia consapevole di ciò che crede e del perché lo creda.

Stante ciò, però, è anche necessario indicare come tali critiche, in verità, si espongano a delle forti contro-obiezioni, le quali possono essere articolate secondo tre linee di risposta.

1. Ciò che Cristo predicava e l’impatto sulla società

Innanzitutto è facilmente dimostrabile come il cristianesimo vero, quello incarnato e predicato da Gesù Cristo stesso, sia radicalmente diverso dalle altre religioni e, in molti casi, dalla rappresentazione che di esso ne hanno fatto i cristiani. Il vero cristianesimo, infatti, lungi dall’essere fonte di violenza, ha alla propria radice la persuasione attraverso la contrizione interiore, piuttosto che la costrizione esteriore tramite l’uso della forza. Non è un caso, perciò, che, quando Gesù, a poche ore dalla sua condanna a morte, si trovò nel Getsemani e Pietro provò a difenderlo con le armi dai suoi nemici, non solo ordinò al suo discepolo di riporre la spada nel fodero, ma guarì anche il servo del sommo sacerdote che era stato ferito proprio da quella spada (Mt 26:51-52; Lc 22:51)

È facile mostrare, inoltre, che il vero cristianesimo non solo non è causa di male per la società, ma che, piuttosto, la società intera ha beneficiato dell’influsso del cristianesimo, il quale ha generato ospedali, croce rossa, orfanatrofi, università… al punto che un giornalista ateo ha potuto scrivere, su The Times, che, in Africa, il contributo che l’evangelismo ha dato per il progresso della società è stato di gran lunga superiore a quello fornito da qualunque altra organizzazione, governativa o meno che fosse (M.Parris, The Times, 27.12.2008).

2. Una società che vuole liberarsi di Dio

In secondo luogo, si può, altrettanto facilmente, mostrare come una società in cui Dio sia rimosso si apra alla possibilità di qualunque violazione e sopruso da parte dei più potenti, proprio perché si rimuove il presupposto secondo cui si debba rendere conto delle proprie azioni davanti ad un Dio giusto. Di tali situazioni il XX secolo abbonda di esempi, dalla Russia di Stalin, alla Cina di Mao, alla Cambogia di Pol Pot. Il premio Nobel per la letteratura Solzhenitsyn, a riguardo, affermava che «se si chiedesse oggi di formulare nella maniera più conscia possibile la causa principale della rovinosa Rivoluzione che ha inghiottito 60 milioni di persone del nostro popolo, non potrei essere più accurato nel dire: gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è accaduto tutto ciò» (A. Solzhenitsyn, Templeton Prize Address, 1983).

3. Fallacia argomentativa

Si può, infine, evidenziare come proprio i principi in base ai quali oggi si critica la religione sono principi cristiani, principi che non ci sarebbero se non ci fosse stata la rivoluzione culturale prodotta da Gesù e dal conseguente cristianesimo. La libertà, l’uguaglianza, il progresso, la scienza, la pace che sembrano essere messi in dubbio, nella società, dalla religione, sono, in verità, nient’altro che il prodotto del cristianesimo, e noi ne siamo così immersi che sono come l’aria che respiriamo (cfr. G. Scrivener, The air we breath, Introduzione).

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di Sharon Fichera, coordinatrice GBU Bologna

Ciao a tutti! Mi chiamo Sharon, ho 20 anni e sono siciliana. Sono anche bolognese di adozione, da quando mi sono trasferita nella capitale dei tortellini per studiare Lettere Classiche. Amo Gesù e amo parlare di Lui, e proprio per questo, quando ho conosciuto il GBU me ne sono innamorata e mi sono unita al gruppo di studenti a Bologna.

Quest’anno ho partecipato alla Formazione per coordinatori, che si è tenuta a Rimini a inizio ottobre. Brevemente, la Formazione prepara giovani leader per essere un supporto al GBU a livello locale. Inutile dire che Dio ha lavorato in me più di quanto mi potessi aspettare, e per questo voglio raccontarvi la mia esperienza.

Il programma si è sviluppato seguendo tre filoni: 

Bibbia e Preghiera

Abbiamo approfondito la conoscenza delle Scritture e il nostro rapporto con Dio tramite studi biblici induttivi (SBI), preghiera, lode e prediche. In questo track abbiamo studiato i capitoli 8-10 di Marco. Ciò che mi ha colpito è stato vedere il continuo gioco di potere intrinseco nell’animo umano. Gesù cercava di insegnare ai discepoli che dovevano sacrificare sé stessi ogni giorno, amare e servire gli altri con disinteresse, smetterla di cercare di guadagnarsi la vita eterna con i propri sforzi e accettare l’amore di Dio. Loro invece si comportavano con arroganza, non capivano gli insegnamenti di Gesù e credevano di essere superiori agli altri, oltre che a fare a gara tra loro stessi su chi fosse il maggiore. Gesù cercava di insegnare loro cosa fosse la vera grandezza, ma loro (e spesso anche noi) avevano un cuore duro. 

Coordinatori

Questo track era pensato per farci apprendere chi un coordinatore deve essere e cosa deve fare per dare il giusto apporto al GBU locale e alla missione nell’università. È stato bello concentrarci anche sulle nostre potenzialità e quelle dei nostri gruppi GBU. Ciò che mi ha colpito di più è stato imparare cosa voglia dire essere coordinatori maturi. La definizione che abbiamo dato di maturità spirituale è “Crescita costante, coerente e consapevole in Cristo”. Per camminare in questa crescita è necessario morire a sé stessi, accettare la sofferenza, abbracciare il sacrificio e la croce, consapevoli che tutto ciò lo si attraversa per una gioia e una gloria più grandi, ovvero la proclamazione del vangelo e l’avanzamento del Regno di Dio.

Evangelizzazione

Con questo track ci siamo concentrati su condividere Gesù da studente a studente, sia individualmente che come gruppo locale. Mi è piaciuto molto un seminario dal titolo “La fede è dannosa (?)”, in cui abbiamo letto alcune delle critiche mosse al cristianesimo nel corso della Storia e della Filosofia. Ho trovato utile e stimolante ricevere degli strumenti per controbattere a queste critiche. Inoltre, è stato molto interessante notare come molte persone non siano indignate o in collera a causa di Dio, ma a causa di ciò che la Chiesa ha fatto in nome di Dio. Questo mi ha sfidato ad essere un buon esempio per chi mi circonda e a onorare Cristo in ogni cosa che faccio.

Ma la Formazione, a livello pratico, a cosa è servita?

Personalmente, la formazione mi ha incoraggiata e sfidata ad avere consapevolezza del mio ruolo come coordinatrice, a servire gli altri, a sacrificare me stessa per Cristo, a vivere una vita di preghiera, a cercare il volto di Dio, e a diffondere il vangelo senza vergogna. Sono sicura che tutti noi presenti lì abbiamo ricevuto una grande spinta a lavorare nei nostri GBU, per i nostri GBU e con i nostri GBU, per condividere Gesù da studente a studente.

A questo punto rimane una sola domanda, implicita, a cui rispondere: “Qual è la vera grandezza?”

Per scoprirlo basta guardare a Gesù, il più grande Re che abbia calpestato la Terra, il servo che lavò i piedi ai suoi discepoli.