Alzati e cammina! …solo un gioco da ragazzi…
(di Nicola Berretta)
È di questi giorni una notizia che ha suscitato notevole clamore mediatico, oltre che giustificato stupore, per i risultati ottenuti da un team dell’Università di Losanna, e appena pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine. Tre pazienti, costretti da anni a muoversi su una sedia a rotelle in conseguenza di traumi subiti alla colonna dorsale, hanno recuperato la facoltà di alzarsi e camminare, grazie all’impianto di sofisticati sistemi di stimolazione posti a livello della colonna vertebrale e governati elettronicamente.
Questo gruppo di ricerca svizzero da anni lavora su sistemi di interfaccia uomo-macchina, capaci di imitare i segnali nervosi che nascono nel nostro cervello e che poi vengono trasmessi giù, lungo il midollo spinale – quel prolungamento del sistema nervoso che decorre all’interno della colonna vertebrale – per dare il via a quella sequenza coordinata di movimenti degli arti inferiori che ci consente di camminare. Un po’ come avere una giostra di cavalli che girano muovendosi su e giù, governata da un cavo di alimentazione che ne avvia il sistema. Il trauma spinale è paragonabile a un taglio di quel cavo: la giostra si ferma. Ma la giostra è ancora lì, pronta a muoversi in modo armonico e coordinato, se solo gli arrivasse di nuovo quel segnale d’avvio.
Per anni tanti laboratori hanno cercato il modo di riattivare la giostra tentando di riparare il cavo di alimentazione, cioè a dire concentrandosi sui meccanismi di rigenerazione delle fibre nervose recise dal trauma spinale, con qualche successo, ma anche incontrando tanti ostacoli che qui tralascio. Questi ricercatori svizzeri hanno invece pensato a un modo per riavviare la giostra indipendentemente dal cavo tranciato. Hanno infatti posizionato degli elettrodi a livello dei centri nervosi del midollo spinale responsabili della deambulazione, e hanno generato attraverso questi dei segnali elettrici che imitano quelli che in precedenza giungevano alla giostra attraverso il cavo. E funziona!
È davvero straordinario vedere e leggere le testimonianze di chi ha vissuto per anni sognando di poter camminare, magari dolendosi per quel malaugurato giorno in cui, per un incidente o per una stupida ragazzata, è accaduto l’irreparabile. Quel sogno diviene realtà. Un’emozione indescrivibile per questi pazienti paraplegici e una luce di speranza concreta per tanti altri.
Questa notizia penso che ci solleciti ancora di più a riflettere sulle implicazioni etiche di questi progressi tecnologici, che rendono oramai sempre più alla nostra portata la capacità dell’uomo di interagire con le funzioni del nostro sistema nervoso centrale. Tuttavia, vorrei farne uno spunto per riflettere su due altre tematiche altrettanto attuali.
La prima è legata a una verità che purtroppo i mass-media sottacciono, per timore di urtare la sensibilità della nostra “società da supermarket”. Uso questo termine ironico per contrapporla a quella di qualche decina d’anni fa, quando da bambino accompagnavo mia mamma a fare la spesa. Se dovevamo comprare la carne, si andava dal macellaio, dove occorreva fare attenzione a non sporcare le suole delle scarpe in quelle mattonelle bianche, sporche per i goccioloni di sangue che cadevano dalle teste penzoloni dei quarti appesi di vitello. Oggi invece si va al supermarket. La carne è bella pulita e incellofanata, e non abbiamo la nostra sensibilità urtata dal “costo” che c’è dietro quella bistecca o quel petto di pollo.
Questi ricercatori di Losanna non si sono svegliati una mattina con una bella idea in testa. Non hanno chiamato da un giorno all’altro un ingegnere elettronico per costruire sofisticatissimi microchip. Non hanno fatto solo delle simulazioni sul computer, ascoltando musiche di Bach o le Quattro stagioni di Vivaldi, assorti nel mare delle loro teorie. Questi studi sono stati preceduti da anni di ricerche svolte su animali. Su ratti e, soprattutto, su macachi. E non sto parlando di scimmie raccolte pietosamente dalla foresta pluviale del Borneo perché cadute inavvertitamente dagli alberi, avendo tristemente subito un trauma spinale. Sto parlando di animali resi sperimentalmente paraplegici apportando una sezione del loro midollo spinale. Senza il “costo” pagato da quegli animali, intenzionalmente privati del movimento degli arti, noi non potremmo oggi stupirci nel vedere quelle immagini di chi si alza finalmente dalla sedia a rotelle per realizzare quel sogno a lungo agognato di poter di nuovo camminare.
Tutto ciò è eticamente accettabile? Io credo di sì, ma per dirlo occorre mettere bene a fuoco le basi etiche su cui ciascuno fonda le proprie convinzioni circa il valore della vita umana in rapporto al valore della vita degli altri esseri viventi. Non possiamo infatti permetterci il lusso di accettare per buono qualcosa solo sulla base del beneficio che ne possiamo trarre. Se così fosse, potremmo giungere all’estremo di giustificare le peggiori efferatezze a costo della vita umana, laddove ne possiamo individualmente trarre utilità. Su questo tema, mi viene in mente un film del 1996 con Gene Hackman e Hugh Grant, Soluzioni estreme, in cui è proprio la sofferenza delle persone paraplegiche a divenire la base per giustificare l’utilizzo di barboni senzatetto come cavie umane per praticare lesioni del midollo spinale e testare terapie riabilitative.
La seconda tematica è quella del rapporto tra fede in Dio e progresso scientifico. Non mi riferisco al tema classico della supposta antitesi tra fede religiosa e pensiero scientifico, ma a come trovare un giusto equilibrio, come credenti, tra la nostra fede nell’intervento di Dio, anche straordinario, miracoloso e razionalmente inconcepibile, e la possibilità di avvalerci dei risultati del progresso scientifico.
Il Vangelo ci parla di Gesù che guarì la suocera di Pietro da una febbre (Mt 8:14-15). Forse oggi un antibiotico sarebbe più che sufficiente a guarirla. Il Vangelo ci parla di zoppi che riprendono a camminare e ciechi che recuperano la vista. Alla luce di questi progressi delle neuroscienze e delle nanotecnologie non è così fuori luogo immaginare un futuro non lontanissimo in cui i ciechi recupereranno la vista con un microchip nell’occhio e tanti infermi riprenderanno a camminare grazie all’ulteriore sviluppo delle tecnologie qui menzionate. Stiamo togliendo spazio alla possibilità di un intervento diretto di Dio nella vita umana attraverso il progresso della scienza? Stiamo forse rendendo Dio superfluo?
Questa domanda non è così peregrina. Questo periodo di pandemia da Covid19, tra le tante cose, ha messo allo scoperto la realtà di questa contrapposizione, laddove non pochi sono stati quei cristiani che non si sono voluti sottoporre a vaccinazione, alle volte giustificando questa scelta con la convinzione che vaccinarsi metterebbe in luce una mancanza di fiducia nel Signore, col fare affidamento sulla scienza, sull’uomo, piuttosto che su Dio.
Meno male che ci pensa proprio Gesù, in occasione di uno di questi miracoli, a toglierci le castagne dal fuoco. In un noto episodio del Vangelo, in cui un gruppo di amici portano con varie peripezie uno zoppo davanti a lui affinché lo guarisca (Lc 5:17-26), Gesù inizialmente non bada a quel bisogno fisico e dimostra piuttosto la sua autorità divina rimettendo i peccati di quell’uomo. A fronte delle obiezioni scandalizzate di alcuni presenti, Gesù domanda: «Che cosa è più facile, dire: “I tuoi peccati ti sono perdonati”, oppure dire: “Àlzati e cammina”?». Bella domanda. Una domanda che, alla luce di questi progressi tecnologici, ci sfida ancora oggi.
Non so se nel porre questa domanda Gesù già anticipasse un’epoca in cui far camminare uno zoppo non sarebbe più stata quell’evento straordinario che era a quel tempo. Di certo Gesù sfidava gli uomini di quell’epoca, e continua a sfidare anche l’uomo odierno a riflettere su quale sia il nostro vero bisogno, un bisogno che nessun progresso scientifico e tecnologico riuscirà mai a risolvere, un miracolo che solo Gesù può compiere: il perdono dei nostri peccati e la riconciliazione con Dio. Il miracolo del perdono è talmente grande e straordinario da rendere quell’Alzati e cammina una bazzecola, un banale gioco da ragazzi. Quando dunque pensiamo che utilizzare il progresso scientifico per il nostro benessere fisico equivalga a mettere Dio da parte, per certi versi rendiamo Dio davvero piccolo piccolo. Pensiamo di onorarlo, ma in realtà lo svalutiamo, mettendolo Dio sullo stesso piano di quei pur grandi scienziati di Losanna. Grandi e stupefacenti per noi, ma granelli di polvere davanti a Dio.
(Nicola Berretta, DiRS-GBU, Ricercatore Laboratorio di Neurologia Sperimentale
Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma)
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