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Di Zach Taylor, Staff in Formazione a Roma

Questo articolo deriva da un evento evangelico organizzato dal GBU Roma, dove abbiamo esplorato le seguenti domande attraverso l’analisi di gruppo di opere d’arte, dibattito e una breve presentazione:

  • Cos’è l’arte?
  • Perché creiamo arte?
  • Cosa può dirci l’arte sull’umanità?

Per questo articolo, mi concentrerò principalmente sulla terza domanda come modo per esplorare la storia evangelica della creazione, della caduta e della redenzione attraverso l’arte. È scritto per essere accessibile sia ai cristiani che ai non cristiani. Se desideri leggere un’analisi più completa delle opere d’arte presentate, non esitare a contattarmi tramite il sito web del GBU.

Arte, bellezza e creatività

L’arte pone alcune domande profonde sull’umanità e può catturare la bellezza che vediamo nel mondo, dai bellissimi tramonti di un dipinto di Monet alle magnifiche montagne di Albert Bierstadt. Quando vedo queste opere d’arte, mi ricordano lo stupore e la meraviglia che provo quando vedo queste incredibili parti del nostro mondo. Poiché le pennellate sono state dipinte dagli artisti con passione e pensiero, la bellezza apparentemente infinita che vediamo nel mondo mi fa pensare che il mondo debba avere un certo disegno dietro di sé. La storia della Bibbia ci dice che il mondo non è stato creato per caso ma con uno scopo, soprattutto per essere vissuto e goduto dagli esseri umani nella loro relazione con Dio che li ha creati.

Genesi 1 afferma che gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio. Può sembrare una frase strana, ma significa essenzialmente che Dio ci ha creati amorevolmente per essere diversi dal resto della creazione, perché in qualche modo riflettiamo il Suo carattere. Ciò include l’incredibile creatività che vediamo riversata in così tante opere d’arte. Come un genitore o un nonno che insegna a un bambino a disegnare, cantare o cucinare, Dio si compiace che noi prendiamo parte alla Sua creazione e che godiamo dell’uso delle straordinarie capacità che ci ha dato.

Tuttavia, non so voi, ma io non mi sento fatto a immagine di Dio la maggior parte del tempo. So che non amo e non mi prendo cura degli altri perfettamente, che ferisco i sentimenti delle persone e a volte mi sento confuso e isolato. E spesso mi ritrovo frustrato dal fatto di non avere il tempo o la capacità di essere creativo come vorrei e sono schiacciato dalle mie ambizioni irrealizzate. Questa frustrazione è ben espressa dal poeta Joshua Luke Smith:

A volte mi sono chiesto, e forse anche tu puoi averlo fatto, cosa ho esattamente da offrire al mondo? Quando scolpirò la mia statua di David come Michelangelo o dipingerò la nascita di Venere come Sandro Botticelli? Voglio fare qualcosa di grande ed essere qualcosa di grande, ma la maggior parte della mia vita la passo a districarmi dalle ragnatele della vergogna e della sfortuna in cui sono intrappolato.

Mi chiedo se ti sei mai relazionato con qualcuna delle emozioni che hai visto rappresentate in un’opera d’arte. Che si tratti della solitudine ritratta nel New York Movie di Edward Hopper o dell’ingiustizia in The Power of Music di William Mount. Quando guardiamo le opere d’arte create da persone diverse in tempi e luoghi diversi, sembra esserci un dolore e un’angoscia comuni per il fatto che il mondo non è come dovrebbe essere.

Cercare risposte nella rottura

La Bibbia ci dà una ragione per questo. Il dolore e la confusione che spesso proviamo sono il prodotto del fatto che abbiamo tutti rifiutato Dio e abbiamo invece scelto di renderci noi stessi dei delle nostre vite. Vogliamo decidere il nostro destino, fare le cose che ci porteranno più felicità, pensando di sapere cosa è meglio per noi. Ma dove ci porta questo? Fuori dalla relazione con Dio, siamo soli in un grande mondo dove ci sono molte pressioni che ci affliggono ogni giorno. E spinti dalla pressione di fare qualcosa di significativo con la nostra vita, spesso ci sentiamo schiacciati dall’indecisione o dall’ansia.

In molte opere d’arte, sembra che ci sia poca speranza per le situazioni e le persone raffigurate. Quindi, cosa facciamo con quelle opere d’arte che non sembrano offrire alcuna risposta? Ad esempio, un critico dell’opera d’arte Shibboleth del 2007 alla Tate Modern di Londra ha scritto:

l’opera d’arte mi rimbombava in testa tutto il giorno e mi perseguita ancora. Quando mi chiedo perché, mi rendo conto che è perché sembra una ferita, una ferita che non può guarire. Non offre alcuna speranza, lasciandoti vuoto come l’abisso che si apre sotto i tuoi piedi.

Doris Salcedo, Shibboleth I, 2007

Forse questa non è la tua impressione dell’opera d’arte (poiché tutti interpretiamo le cose in modo diverso), ma è chiaro che quando guardiamo l’arte attraverso la storia, c’è molta bellezza e anche molta rottura. Quindi questo ci porta a chiederci: come affrontiamo la tensione tra rottura e bellezza che vediamo nell’arte e nel mondo che ci circonda? Lo abbracciamo semplicemente come la crepa nel pavimento in Shibboleth o c’è una risposta? C’è speranza nella rottura?

Tutto è fatto nuovo

La risposta che dà la Bibbia è che quando l’umanità ha rifiutato l’amore di Dio, la morte è entrata nel mondo come conseguenza della scelta di andare per la nostra strada. Tuttavia, Dio ci ama troppo per lasciarci affrontare la punizione della morte che tutti meritiamo, senza un modo per tornare a Lui. Per questo ha mandato Gesù a morire al nostro posto, affinché non dovessimo pagare noi. E la parte più sorprendente è che Gesù non è rimasto morto ma è risorto dalla tomba, sconfiggendo la morte e aprendo una via per noi, per ricevere la vita eterna in Lui, quando scegliamo di seguire Gesù e di tornare a relazionarci con Dio.

Non solo la risurrezione di Gesù offre speranza di fronte alla morte, ma cambia tutto del nostro presente, mentre guardiamo al futuro. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, dice: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore, perché le cose di prima sono passate.” Ancora di più, nella frase successiva Dio dice semplicemente ma meravigliosamente “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Tutta la rottura che vediamo raffigurata nell’arte, nelle nostre vite e nel mondo che ci circonda sarà trasformata. Le nostre relazioni spezzate con Dio, con gli altri e con il mondo saranno ripristinate. Come il Kintsugi, la pratica giapponese di riparare la ceramica rotta per creare una nuova opera d’arte, quando scegliamo di seguire Gesù, Egli può trasformare i nostri pezzi rotti in qualcosa di nuovo. La crepa irrisolta nel pavimento è risolta.

Può essere doloroso riconoscere le parti rotte della nostra vita; la nostra sofferenza o la nostra vergogna. Tuttavia, quando le portiamo alla luce di un Dio amorevole che aspetta di perdonarci e darci nuova vita, Egli può fare qualcosa di bello dalla nostra rottura. E quando segui Gesù, puoi vivere con libertà e con uno scopo, alla luce del mondo a venire. Essere i figli creativi di Dio che siamo stati creati per essere, significa che possiamo fare cose straordinarie, senza la pressione di fare o essere qualcosa di grande o di risolvere i problemi del mondo da soli. Possiamo piangere il mondo com’è ora mentre indichiamo la speranza dell’eternità.

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Di Francesco Schiano Lomoriello, Staff GBU Napoli.

L’espressione “ricerca del Gesù storico” fa riferimento allo sforzo di ricostruire un ritratto di Gesù di Nazareth che scavalchi quello offerto dai vangeli, per giungere più vicino possibile alla verità storica.

L’assunto di partenza è che gli autori dei Vangeli non siano stati motivati dal desiderio di riportare la verità oggettiva, ma da intenti teologici e dottrinali. Pertanto, li si accusa di avere inserito nei loro racconti fatti non accaduti realmente, o almeno non nelle modalità descritte, per sostenere le posizioni delle comunità cristiane di cui erano espressione.

Tre fasi della ricerca

Oggi si riconoscono tre fasi della ricerca:

– La prima si è sviluppata tra il XVIII e la prima parte del XX secolo. Il Razionalismo di derivazione illuiminista spinse studiosi come Hermann Reimarus a suggerire la differenza tra il “Cristo della Fede” e il “Gesù della Storia”. Vennero scritte biografie di Gesù che erano soprattutto il tentativo di razionalizzare e naturalizzare i vangeli, epurandoli di tutti gli elementi sovrannaturali. Rudolf Bultmann è stato l’ultimo protagonista di questa fase e colui che vi ha posto fine. Egli suggeriva che il Gesù della Storia fosse inaccessibile alla ricerca. Tale conclusione era stata motivata dalla constatazione che ogni biografia di Gesù pubblicata nei precedenti 2 secoli aveva offerto un ritratto diverso dalle altre, alimentato non tanto dagli auspicati criteri di oggettività, quanto dall’orientamento e dai pregiudizi di chi l’aveva proposto.

– Proprio un discepolo di Bultmann, Ernst Kasemann, è stato l’iniziatore della seconda ondata di studi sul Gesù storico. Convinto, a differenza del suo maestro, della possibilità di colmare il gap tra il Cristo della Fede e il Gesù della Storia attraverso lo studio critico dei testi del Nuovo Testamento. Era la metà del XX secolo e questa stagione durò poco perché importanti scoperte archeologiche imposero un nuovo approccio alla ricerca.

– Studi basati su scoperte come la biblioteca di Nag Hammadi e i rotoli di Qumran permisero agli storici di giungere a una conoscenza più profonda della società e della cultura del Medio Oriente antico. Tale conoscenza è il fondamento dell’approccio della terza fase della ricerca sul Gesù storico. A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, sempre più studiosi si sono interessanti alla possibilità di distillare la verità storica dai testi del Nuovo Testamento. Questo non solo attraverso un lavoro filologico e letterario, ma attraverso l’analisi dei resoconti biblici alla luce delle conoscenze acquisite sulla società nella quale Gesù visse e i vangeli furono scritti. Una caratteristica importante di questa terza fase è la presenza tra i suoi animatori di studiosi atei e agnostici, che in alcuni casi sono cristiani deconvertiti.

Come affrontare la questione

Confrontarsi con le opere di studiosi, passati e presenti, che mettono fortemente in discussione l’affidabilità dei racconti evangelici può rappresentare una sfida di non poco conto per i credenti. Tuttavia abbiamo gli strumenti per affrontare tale sfida e trasformarla in un’opportunità evangelistica.

1. I testimoni oculari e il vero Gesù

L’assunto di partenza a cui abbiamo fatto riferimento, cioè la convinzione che i Vangeli canonici non rappresentino resoconti storici ma ricostruzioni teologiche della figura di Gesù, non è assolutamente dimostrato. Le prove interne sembrano suggerire tutt’altro. Se si pensa alla presenza di tanti particolari non necessari alla narrazione (il numero di pesci pescato alla seconda pesca miracolosa, il giovane coperto da un lenzuolo presente all’aresto di Gesù, il fatto che Giovanni arrivò al sepolcro prima di Pietro, ecc.), alle storie che mettono in cattiva luce i discepoli, o alla dichirazione d’intenti che Luca offre all’inizio del suo Vangelo (…è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine…), si può sostenere ragionevolmente che gli evangelisti abbiano riportato testimonianze oculari con lo scopo di presentarci il vero Gesù.

Proprio la categoria della testimonianza è quella che suggerisce lo studioso Richard Bauckham nel suo Gesù e i testimoni oculari1 per comprendere correttamente il genere letterario Vangeli. Estremamente soggettivo, ma non per questo non attendibile.

D’altra parte, la data di pubblicazione degli scritti del Nuovo Testamento, collocabile al più tardi tra il 60 e il 95 d.C., rende piuttosto difficile sostenere che essi contengano miti e leggende, visto che i testimoni oculari dei fatti narrati erano ancora in circolazione in quegli anni.

2. Incontrare il Cristo con la ricerca del Gesù storico

Oggi la maggior parte degli studenti è convinta che la Bibbia non sia un testo affidabile; parlare di Gesù a partire da ciò che affermano i Vangeli spesso vuol dire scontrarsi con questo pregiudizio. In un contesto simile, la ricerca del Gesù storico rappresenta un punto di incontro tra il credente e lo scettico. In altre parole, ci si può avvicinare ai testi del Nuovo Testamento da scettici e analizzarli con gli strumenti della storiografia moderna. Si può cercare di capire chi sia stato Gesù di Nazareth, senza dover prima accettare la dottrina dell’ispirazione della Bibbia, e incontrare il Cristo.

Non mancano le testimonianze di persone comuni e studiosi2 che, analizzando i Vangeli da non credenti, sono finite per riconoscere Gesù come loro Dio e Signore, proprio come accadde al primo scettico, il discepolo Tommaso.

  1. Bauckham R., Gesù e i testimoni oculari, Ed. GBU, Chieti 2010 ↩︎
  2. Si vedano, ad esempio, i seguenti libri di autori che hanno raccontato la loro esperienza: Chi ha rimosso la pietra?, F. Morison, Più che un falegname, J. MacDowell, Il caso Gesù, L. Strobel ↩︎
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Di Cristiano Meregaglia, Staff GBU Milano.

L’articolo è la sintesi del seminario che lo stesso Cristiano ha proposto ai coordinatori durante la Formazione GBU (ndr)

Imagine there’s no heaven / It’s easy if you try / No hell below us / Above us only sky / Imagine all the people / Living for today… / Imagine there’s no countries / It isn’t hard to do / Nothing to kill or die for / And no religion too / Imagine all the people / Living life in peace…

Lennon, John. Imagine

Così cantava John Lennon nel 1971, auspicando un tempo in cui le persone potessero vivere, finalmente, solo per l’oggi, senza essere oppresse dal pensiero di un paradiso o un inferno che si schiudessero loro davanti al momento del trapasso. Un mondo in cui non ci fossero nazioni e religioni, contrapposte le une alle altre, ad impedire una pace altrimenti possibile.

Certo, seppur a distanza di più di 50 anni, queste parole e questi auspici sono ancora presenti, e forti, nella società in cui viviamo. Parole che sembrano suggerire che la fede è non solo razionalmente insostenibile, ma anche moralmente dannosa. Pertanto, la società risulterebbe molto più funzionale se, da essa, si sradicasse ogni radice religiosa.

Il “nuovo” ateismo

Tutto ciò è stato sostenuto, in modo esplicito, dai principali esponenti del cosiddetto movimento del New Atheism. Questi hanno dedicato lunghe pagine a descrivere, senza mezzi termini, i grandi mali che la religione ha prodotto nella storia. Dalle crociate alla Jihad, dalle guerre di religione ai regimi teocratici contemporanei, questi intellettuali hanno messo bene in evidenza come la soluzione per un mondo migliore sembri essere proprio quella prospettata dal cantante dei Beatles.

È interessante notare, però, che, sebbene questi autori vengano appellati come nuovi atei, le tesi che sostengono sono tutt’altro che nuove. Esse sono infatte desunte, a tutti gli effetti, dalle riflessioni di pensatori del passato. Tra questi pensatori del passato è impossibile ignorare Bertrand Russell. Con la raccolta di saggi confluiti nel testo Perché non sono cristiano, Russell rappresenta, a tutti gli effetti, un riferimento normativo per buona parte della letteratura prodotta in seno al nuovo ateismo. 

La religione: una malattia da estirpare

In uno di quei saggi, intitolato “La religione ha contribuito alla civiltà?”, infatti, Russell espone proprio quelle tesi che, decadi dopo, Dawkins, Hitchens, Harris, Odifreddi, Augias e altri intellettuali contemporanei continuano a proporre per sostenere il danno prodotto dalla religione. Nella fattispecie, Russell sostiene che la religione sia «una specie di malattia, frutto della paura e fonte di indicibile sofferenza per l’umanità». Questo sostanzialmente per due motivi che hanno a che fare con la sfera intellettuale e con quella morale. Infatti, da un lato la religione impedisce il libero pensiero e la libera indagine razionale; dall’altro imponendo una morale, ritenuta assoluta e ancorata a concetti arcaici, produce i conflitti alla base dell’infelicità umana. Così, infatti, si esprime a conclusione del suddetto saggio:

«Con il progresso del sapere e della tecnica, la felicità universale può essere raggiunta; ma il principale ostacolo alla loro utilizzazione per tale scopo è l’insegnamento della religione. La religione impedisce ai nostri figli di ricevere un’educazione razionale; la religione ci impedisce di rimuovere le cause fondamentali delle guerre; la religione ci impedisce di insegnare l’etica della collaborazione scientifica in luogo delle vecchie, aberranti, dottrine di colpa e castigo. Forse l’umanità è alla soglia di un periodo aureo; ma per poterla oltrepassare sarà prima necessario trucidare il drago di guardia alla porta: questo drago è la religione».

Russel, B. “Perché non sono cristiano”, Longanesi & C., Milano, 1960, p.24

Ora, per quanto mordenti siano tali critiche, è utile sottolineare che è lecito, e forse doveroso, essere d’accordo con alcune delle istanze presenti nel saggio. È indubbio, infatti che diverse persone, reclamanti il nome di cristiani (o di altre religioni), nel corso della storia, abbiano compiuto azioni effettivamente riprovevoli, spesso abusando della posizione sociale fornita loro dalla religione; ed è altrettanto condivisibile l’insistenza sulla necessità di rifiutare una fede acritica, che non sia consapevole di ciò che crede e del perché lo creda.

Stante ciò, però, è anche necessario indicare come tali critiche, in verità, si espongano a delle forti contro-obiezioni, le quali possono essere articolate secondo tre linee di risposta.

1. Ciò che Cristo predicava e l’impatto sulla società

Innanzitutto è facilmente dimostrabile come il cristianesimo vero, quello incarnato e predicato da Gesù Cristo stesso, sia radicalmente diverso dalle altre religioni e, in molti casi, dalla rappresentazione che di esso ne hanno fatto i cristiani. Il vero cristianesimo, infatti, lungi dall’essere fonte di violenza, ha alla propria radice la persuasione attraverso la contrizione interiore, piuttosto che la costrizione esteriore tramite l’uso della forza. Non è un caso, perciò, che, quando Gesù, a poche ore dalla sua condanna a morte, si trovò nel Getsemani e Pietro provò a difenderlo con le armi dai suoi nemici, non solo ordinò al suo discepolo di riporre la spada nel fodero, ma guarì anche il servo del sommo sacerdote che era stato ferito proprio da quella spada (Mt 26:51-52; Lc 22:51)

È facile mostrare, inoltre, che il vero cristianesimo non solo non è causa di male per la società, ma che, piuttosto, la società intera ha beneficiato dell’influsso del cristianesimo, il quale ha generato ospedali, croce rossa, orfanatrofi, università… al punto che un giornalista ateo ha potuto scrivere, su The Times, che, in Africa, il contributo che l’evangelismo ha dato per il progresso della società è stato di gran lunga superiore a quello fornito da qualunque altra organizzazione, governativa o meno che fosse (M.Parris, The Times, 27.12.2008).

2. Una società che vuole liberarsi di Dio

In secondo luogo, si può, altrettanto facilmente, mostrare come una società in cui Dio sia rimosso si apra alla possibilità di qualunque violazione e sopruso da parte dei più potenti, proprio perché si rimuove il presupposto secondo cui si debba rendere conto delle proprie azioni davanti ad un Dio giusto. Di tali situazioni il XX secolo abbonda di esempi, dalla Russia di Stalin, alla Cina di Mao, alla Cambogia di Pol Pot. Il premio Nobel per la letteratura Solzhenitsyn, a riguardo, affermava che «se si chiedesse oggi di formulare nella maniera più conscia possibile la causa principale della rovinosa Rivoluzione che ha inghiottito 60 milioni di persone del nostro popolo, non potrei essere più accurato nel dire: gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è accaduto tutto ciò» (A. Solzhenitsyn, Templeton Prize Address, 1983).

3. Fallacia argomentativa

Si può, infine, evidenziare come proprio i principi in base ai quali oggi si critica la religione sono principi cristiani, principi che non ci sarebbero se non ci fosse stata la rivoluzione culturale prodotta da Gesù e dal conseguente cristianesimo. La libertà, l’uguaglianza, il progresso, la scienza, la pace che sembrano essere messi in dubbio, nella società, dalla religione, sono, in verità, nient’altro che il prodotto del cristianesimo, e noi ne siamo così immersi che sono come l’aria che respiriamo (cfr. G. Scrivener, The air we breath, Introduzione).

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di Sharon Fichera, coordinatrice GBU Bologna

Ciao a tutti! Mi chiamo Sharon, ho 20 anni e sono siciliana. Sono anche bolognese di adozione, da quando mi sono trasferita nella capitale dei tortellini per studiare Lettere Classiche. Amo Gesù e amo parlare di Lui, e proprio per questo, quando ho conosciuto il GBU me ne sono innamorata e mi sono unita al gruppo di studenti a Bologna.

Quest’anno ho partecipato alla Formazione per coordinatori, che si è tenuta a Rimini a inizio ottobre. Brevemente, la Formazione prepara giovani leader per essere un supporto al GBU a livello locale. Inutile dire che Dio ha lavorato in me più di quanto mi potessi aspettare, e per questo voglio raccontarvi la mia esperienza.

Il programma si è sviluppato seguendo tre filoni: 

Bibbia e Preghiera

Abbiamo approfondito la conoscenza delle Scritture e il nostro rapporto con Dio tramite studi biblici induttivi (SBI), preghiera, lode e prediche. In questo track abbiamo studiato i capitoli 8-10 di Marco. Ciò che mi ha colpito è stato vedere il continuo gioco di potere intrinseco nell’animo umano. Gesù cercava di insegnare ai discepoli che dovevano sacrificare sé stessi ogni giorno, amare e servire gli altri con disinteresse, smetterla di cercare di guadagnarsi la vita eterna con i propri sforzi e accettare l’amore di Dio. Loro invece si comportavano con arroganza, non capivano gli insegnamenti di Gesù e credevano di essere superiori agli altri, oltre che a fare a gara tra loro stessi su chi fosse il maggiore. Gesù cercava di insegnare loro cosa fosse la vera grandezza, ma loro (e spesso anche noi) avevano un cuore duro. 

Coordinatori

Questo track era pensato per farci apprendere chi un coordinatore deve essere e cosa deve fare per dare il giusto apporto al GBU locale e alla missione nell’università. È stato bello concentrarci anche sulle nostre potenzialità e quelle dei nostri gruppi GBU. Ciò che mi ha colpito di più è stato imparare cosa voglia dire essere coordinatori maturi. La definizione che abbiamo dato di maturità spirituale è “Crescita costante, coerente e consapevole in Cristo”. Per camminare in questa crescita è necessario morire a sé stessi, accettare la sofferenza, abbracciare il sacrificio e la croce, consapevoli che tutto ciò lo si attraversa per una gioia e una gloria più grandi, ovvero la proclamazione del vangelo e l’avanzamento del Regno di Dio.

Evangelizzazione

Con questo track ci siamo concentrati su condividere Gesù da studente a studente, sia individualmente che come gruppo locale. Mi è piaciuto molto un seminario dal titolo “La fede è dannosa (?)”, in cui abbiamo letto alcune delle critiche mosse al cristianesimo nel corso della Storia e della Filosofia. Ho trovato utile e stimolante ricevere degli strumenti per controbattere a queste critiche. Inoltre, è stato molto interessante notare come molte persone non siano indignate o in collera a causa di Dio, ma a causa di ciò che la Chiesa ha fatto in nome di Dio. Questo mi ha sfidato ad essere un buon esempio per chi mi circonda e a onorare Cristo in ogni cosa che faccio.

Ma la Formazione, a livello pratico, a cosa è servita?

Personalmente, la formazione mi ha incoraggiata e sfidata ad avere consapevolezza del mio ruolo come coordinatrice, a servire gli altri, a sacrificare me stessa per Cristo, a vivere una vita di preghiera, a cercare il volto di Dio, e a diffondere il vangelo senza vergogna. Sono sicura che tutti noi presenti lì abbiamo ricevuto una grande spinta a lavorare nei nostri GBU, per i nostri GBU e con i nostri GBU, per condividere Gesù da studente a studente.

A questo punto rimane una sola domanda, implicita, a cui rispondere: “Qual è la vera grandezza?”

Per scoprirlo basta guardare a Gesù, il più grande Re che abbia calpestato la Terra, il servo che lavò i piedi ai suoi discepoli.

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di Simon Cowell, Staff GBU Puglia

Uno dei miei passi biblici preferiti è Filippesi 1. La lettera ai filippesi è giustamente conosciuta come “la lettera della gioia”, per il grande feeling che c’è fra l’apostolo Paolo e questa piccola chiesa situata nell’antica città romana di Filippi. Appena fatti i saluti iniziali, Paolo scrive così:

 
Io ringrazio il mio Dio di tutto il ricordo che ho di voi; e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia a motivo della vostra partecipazione al vangelo, dal primo giorno fino ad ora. E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.

Filippesi 1:3-6

Avete notato il motivo primario per questo profondo ringraziamento da parte dell’apostolo?  È la loro partecipazione al vangelo – questa buona opera cominciata in loro da Dio, per rendere i filippesi non solo ricevitori del vangelo, ma partecipanti attivi in esso. A volte consideriamo poco quanto meravigliosa sia questa frase. Paolo, un gigante della chiesa primitiva, il primo grande missionario della storia, uomo scelto da Dio per portare il vangelo ai gentili – lui considerava la collaborazione di questa chiesa, piccola ed insignificante, come una cosa preziosissima, motivo di vera gioia. Come mai?

La collaborazione nel vangelo

Paolo sapeva che l’opera del vangelo è troppo ampia, troppo vasta e troppo importante da essere lasciata solo ai “professionisti”, o agli “esperti” (anche a quelli capaci e bravi come gli apostoli!) Proclamare Gesù e la vita eterna in Lui è la missione primaria della chiesa, di tutta la chiesa, inclusa questa piccola comunità a Filippi. È questo un principio biblico fondamentale: ogni ministero cristiano è una collaborazione. Nel caso di Paolo e i filippesi, era Paolo ad attraversare il mediterraneo (più di una volta!) predicando Cristo e fondando chiese, ed erano i filippesi a contribuire in due modi importantissimi: il sostegno in preghiera, e il sostegno finanziario.

L’importanza della preghiera

Parlando del suo imprigionamento e dei suoi “rivali” nel vangelo, Paolo scrive ai filippesi: “so infatti che ciò tornerà a mia salvezza, mediante le vostre suppliche e l’assistenza dello Spirito di Gesù Cristo”. Anche se non erano presenti con lui fisicamente, nelle sue difficoltà esprimeva Paolo l’importanza delle loro preghiere – l’unica cosa menzionata oltre l’aiuto dello Spirito Santo!

Collaborare nel vangelo vuol dire pregare – intercedere con il Signore degli Eserciti, affinché faccia ciò che può fare solo Lui: trasformare i cuori e le menti per accettare Cristo Gesù e la vita eterna in lui solo.

L’importanza del donare

Sempre ai filippesi, Paolo parla più di una volta delle gioia che lui ha nella loro collaborazione finanziaria nel vangelo:

ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me… nessuna chiesa mi fece parte di nulla per quanto concerne il dare e l’avere, se non voi soli

(4:10, 15)

Paolo ribadisce anche che questa collaborazione finanziaria non è una questione relativa al suo bisogno, e certamente non alla sua avarizia. Sottolinea invece i benefici per i filippesi, a motivo della loro generosità:


Non lo dico perché io ricerchi i doni; ricerco piuttosto il frutto che abbondi a vostro conto… Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno, secondo la sua gloriosa ricchezza, in Cristo Gesù

(4:17, 19)

Tutto ciò per dire che donare a quelli che proclamano il vangelo non è né un sacrificio, né un investimento, ma un mezzo con cui Dio può benedirci. Nel donare cresciamo nei frutti spirituali; nel donare riceviamo dalla ricchezza divina. Non c’è da meravigliarsi che l’apostolo fosse pieno di gioia vedendo questi suoi cari fratelli mostrare pienamente l’opera dello Spirito Santo in loro!

Il GBU, il vangelo e te

La collaborazione nel vangelo, dunque, è uno dei motivi principali per il ringraziamento e per la gioia dell’apostolo Paolo. La missione del GBU è che la proclamazione del vangelo di Gesù Cristo continui anche oggi in ogni ateneo italiano – che possiamo in qualsiasi modo condividere Gesù da studente a studente. Ma come Paolo non poteva e non voleva svolgere questo progetto da solo, così è per noi del GBU.

Cerchiamo collaboratori! Cerchiamo persone che siano disposte a lottare in preghiera insieme a noi, che siano desiderosi anche loro di vedere Gesù proclamato e glorificato nelle facoltà italiane, e che vogliano sostenere questa opera con i loro beni materiali. Se tu non sei già un nostro collaboratore, o un nostro socio, o un nostro sostenitore, oggi è il giorno di entrare in questa bellissima collaborazione – per la salvezza delle anime individuali, per la crescita della chiesa italiana (e non solo!), e per la nostra edificazione reciproca. Per saperne di più, clicca il link sotto!

https://gbu.it/investi/come-donare/

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Emanuele Berti ci racconta la sua esperienza con la “Settimana di Eventi” che il gruppo GBU Firenze ha organizzato dall’11 al 14 marzo.

PREPARAZIONE 

La preparazione della settimana, per me, è stata un processo tanto stimolante quanto formativo. Ha avuto inizio alcuni mesi fa e si è rivelata una sfida continua. La scelta del tema e il suo sviluppo sono stati particolarmente complessi. Ogni volta mi trovavo a dubitare del risultato, e incontravo difficoltà nel capire quale fosse un approccio adatto per coinvolgere gli studenti. Inizialmente, ho esplorato concetti come la vittoria e la sconfitta, e il significato della vita, focalizzandomi sulla realtà degli studenti universitari. 

Successivamente, sotto la guida del Signore, ho orientato il tema verso l’insoddisfazione. In collaborazione con gli altri coordinatori e lo staff, abbiamo cercato modi per affrontare questo argomento con gli studenti. Abbiamo optato però un approccio diretto con gli studenti attraverso delle domande, che utilizziamo spesso con il Gbu per avviare la discussione. Abbiamo inoltre utilizzato un cartellone, che sintetizzava il concetto di insoddisfazione attraverso due frasi chiave: 

  1. “Gli esseri umani sono spesso insoddisfatti non perché desiderano troppo, ma piuttosto perché desiderano troppo poco.” Di C.S. Lewis
  2.  “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete.” Giovanni 4:14

Mi sono reso conto in questa preparazione di quanto rivisitare e rielaborare costantemente le idee sia un processo impegnativo e faticoso, ma ne ho compreso l’essenzialità e quanto sia necessario; non solo per preparare una settimana evangelistica! 

L’OPERA È NELLE SUE MANI 

Abbiamo pianificato i giorni di evangelizzazione con la preghiera personale durante le mattine, e dedicando i pomeriggi all’evangelizzazione e all’interazione con gli studenti. Il primo giorno, ci siamo riuniti per un’analisi e studio del vangelo, esplorando il suo significato e come trasmetterlo agli studenti. L’entusiasmo e la gioia che ho provato durante il primo giorno di preparazione erano così intensi che il giorno successivo mi sono ritrovato a letto con febbre, nausea e mal di gola! Ho trascorso due giorni a letto. 

Inizialmente, ero dispiaciuto di non poter partecipare, ma poi ho provato grande gioia nel sapere che gli altri erano all’università, condividendo la Parola di Gesù con gli studenti. Ho realizzato che la Parola e il vangelo sono liberi, non sono imprigionati, e continuano a diffondersi, nonostante le nostre limitazioni

SIAMO FORTI SOLO NEL SIGNORE 

L’ultimo giorno, dopo molta preghiera, sono riuscito a trovare la forza di alzarmi dal letto e raggiungere l’università, unendomi agli altri. Nonostante fossi ancora ammalato, senza voce, con un po’ di febbre e stanchezza, ho sperimentato come il Signore operi proprio nella nostra debolezza. Il calore del sole e le conversazioni incoraggianti hanno risollevato il mio spirito. Per attirare persone, avevamo deciso di utilizzare una porticina e un pallone. All’inizio, non hanno suscitato molto interesse, ma una volta capito come sfruttarli, il Signore ha agito in modo straordinario. Abbiamo proposto un gioco in cui, in cambio di un premio (una caramella), le persone dovevano rispondere ad una domanda. Oltre al cartellone principale, ne abbiamo esposto un altro con lo schema dei due modi di vivere, rappresentato da sei immagini che illustrano il vangelo. È stato sorprendente notare che quasi tutte le persone, almeno una decina, hanno compreso da sole il significato del vangelo dopo che gli avevo chiesto di provare a capire cosa significassero le immagini. È stato un vero miracolo, e alcune persone hanno anche accettato di venire al Mark Drama

SODDISFATTI 

Questi giorni mi hanno fatto comprendere ancora di più che solo il Signore Gesù può veramente soddisfare. Possiamo trovare molte religioni, idee e fonti di divertimento, ma solo Gesù può riconciliarci con Dio. Lui è l’unico giusto, l’unico uomo senza peccato, l’unico in grado di riscattarci e donarci una soddisfazione eterna, una soddisfazione che non conosce fine. Lui è l’acqua che disseta… per sempre! Attraverso la sua misericordia, Dio accoglie ogni studente, che sia stato un bestemmiatore per tutta la vita, un arrogante o un ateo. Se si ravvedono e credono in Gesù, possono essere riconciliati e Dio li aspetta a braccia aperte, gioendo per la pecora smarrita che è stata ritrovata, per colui che era morto ed è tornato alla vita.

Emanuele Berti, studente GBU Firenze

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di Simona Squitieri, GBU Parma

Nel principio Dio creò. Se dovessi riassumere questo fine settimana di Formazione GBU, ecco, sarebbe così.  

Ma andiamo con ordine. Una sessantina di persone dal Trentino alla Sicilia, dopo aver superato viaggi più o meno lunghi, treni, bus, macchine, sono arrivate in Umbria, in una casetta con vista Lago Trasimeno, per partecipare alla Formazione Coordinatori GBU 2023. 

Nel principio 

Come l’acronimo GBU suggerisce (Gruppi Biblici Universitari), anche quest’anno abbiamo guardato alla Bibbia, per affrontare le sfide che quest’anno dovremmo affrontare. Sfide organizzative, sfide pratiche e teoriche, intellettuali e sociali, alle quali ci siamo preparati osservando, interpretando e applicando i primi tre capitoli della Parola di Dio. Partendo, quindi, proprio “dal principio”! 

Momenti di lode al Signore e preghiera ci hanno ristorati e accompagnati durante l’intenso  programma giornaliero, fatto di seminari, lettura e studio della Parola. Gli Staff si sono impegnati per fornirci gli strumenti per servire al meglio gli studenti dei nostri gruppi locali, ma soprattutto gli studenti ancora non raggiunti all’interno delle nostre università. Attraverso gli studi biblici, poi, abbiamo notato come nel principio Dio avesse pensato a tutto, senza trascurare nessun dettaglio, pianificando e disponendo ogni cosa in modo perfetto, compresi noi, discendenti di Adamo e prìncipi dal princìpio.  

Dio creò 

Queste due parole mettono in evidenza il rapporto che proprio noi siamo chiamati ad avere con Dio, prima ancora di prendere qualsiasi impegno con Lui e con gli altri: il rapporto di Creatore e creatura. È essenziale riconoscere Dio il Signore come creatore dell’universo e delle nostre vite; e che prima che tutto fosse, Lui era già.  

Ma le parole “Dio creò” mettono in luce anche la creatività di Dio. Tutto ciò che noi studiamo, dalla fisica all’arte, dalla letteratura alla medicina, ha la stessa origine creativa qui, in queste due piccole parole.  

Dopo aver creato, nel principio ogni cosa, la luce, le acque, gli astri luminosi, gli animali e le piante,  dopo la creazione dell’uomo a sua immagine, Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era  molto buono. 

Un piano perfetto per noi

Quindi, sono riuscita a comprendere che posto ho io in tutto questo? In tutto questo “buono”? Coordinatori di tutta Italia, abbiamo capito che posto abbiamo, insieme agli studenti e ai nostri gruppi locali? 

Adamo ed Eva vivevano alla presenza di Dio e avevano uno scopo, rubato e rovinato dal peccato.  

Ma nel principio Dio creò un piano perfetto per noi oggi: salvarci attraverso il suo figliolo Gesù e chiederci di condividere con gli altri questo Grande Creatore, che vuole tornare a riconciliarsi con noi attraverso Gesù. Di condividerlo da studente a studente. 

Pronti, via!

Delegazione italiana alla World Assembly
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di Marco Piovesan, studente GBU

«… voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio» (1Pietro 2:10a)

Avreste mai immaginato che in un solo regno potessero convivere 168 culture diverse? Ebbene, nel regno di Dio funziona così. Sì, a volte ripensiamo al fatto che in Cristo siamo stati chiamati da ogni popolo e nazione, ma spesso non riusciamo veramente a concepire l’entità di questa realtà. Con la World Assembly di IFES, invece, possiamo toccare con mano il significato autentico di essere un solo popolo, membra dell’unico corpo di Cristo.

La World Assembly è un evento che si tiene ogni quattro anni. Ha lo scopo di riunire delegazioni da tutti i movimenti nazionali che hanno il testimoniare Cristo all’università come ministero (per esempio il GBU in Italia) per prendere decisioni per la fellowship globale. L’aspetto burocratico, però, è poco più di un pretesto per vivere una settimana di condivisione ed edificazione tra fratelli e sorelle che condividono la stessa missione.

Quest’anno, l’appuntamento era fissato per i primi di agosto a Jakarta, in Indonesia. Partecipare a questo evento come studente del GBU è stato qualcosa di cui Dio si è servito in modo incredibile. Un articolo non potrebbe mai contenere tutta la ricchezza spirituale che Dio ha saputo provvedere, tuttavia non posso non condividere alcuni insegnamenti fondamentali.

Non siamo soli nello zelo

Come studenti del GBU, penso che diverse volte ci siamo ritrovati davanti agli occhi l’immensa missione di condividere Gesù agli studenti delle nostre università, Tuttavia, siamo stati scoraggiati dal vedere qualcosa che va oltre la nostra portata. Alla luce di questo scoraggiamento, troviamo una sorta di equilibrio in cui adagiarci.

Conoscere altri studenti e vedere lo zelo per Dio di cui sono ripieni ha cambiato completamente il mio modo di vedere queste difficoltà. Sì, anche loro vedono questa missione come qualcosa di immenso, ma hanno Dio al centro del loro cuore al punto che pensano ogni secondo come un’opportunità per parlare del vangelo.

Questo naturalmente richiede spesso di impegnare le proprie serate con eventi, studi biblici, riunioni organizzative e incontri a tu per tu, ma il desiderio di vedere Cristo glorificato supera il desiderio personale di avere tempo per se stessi. Insomma, ho visto in questi studenti la piena consapevolezza che vale la pena di sacrificarsi per Dio e che il vero modo di ragionare è quello di ragionare con una prospettiva eterna.

«Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.» (1Corinzi 15:58)

Non siamo soli nel servizio

Una battaglia che come studente ho vissuto negli ultimi due anni è stata quella di voler organizzare qualche evento all’università, ma di trovare sempre troppo poche persone nel gruppo GBU per poterlo realizzare.

Alla World Assembly una sera ho condiviso questa battaglia con le persone con cui ero seduto a tavola e la risposta che ho ricevuto è stata subito: “Invitaci, possiamo venire come aiuto dall’estero per partecipare e organizzare una settimana di eventi.” Sono stato spiazzato dalla semplicità di questa frase, ma mi ha fatto comprendere che essere un unico popolo in Cristo non significa solo salutarsi e raccontarsi belle esperienze una volta ogni quattro anni: possiamo usare questo immenso privilegio per lavorare in stretta collaborazione, venirci incontro nei bisogni reciproci e affaticarci insieme per veder avanzare il regno di Dio.

A questo punto mi sento caricato della responsabilità di fare un uso opportuno del dono così prezioso di avere veri collaboratori in Cristo con la stessa prospettiva.

Non siamo soli nelle sofferenze

Senza dubbio in ogni angolo della Terra si stanno affrontando sfide diverse, e la World Assembly è stata inevitabilmente un’occasione per ascoltare storie di lotte e sofferenze specifiche delle diverse nazioni. Abbiamo discusso di problemi di giustizia sociale, di salute mentale e di stress dato dal contesto universitario.

Penso, però, che quello che più deve far riflettere è la persecuzione (non solo psicologica) a cui tanti cristiani sono sottoposti. Ritrovarmi a mangiare a tavola con credenti che letteralmente ogni giorno espongono la loro vita alla morte per amore di Cristo, ha fatto nascere in me molte domande. L’unico modo in cui loro possono vivere è quello di incarnare il vangelo nelle loro vite con il loro comportamento, al punto che questo possa far nascere nelle persone attorno il desiderio di porre domande sulla fede cristiana.

Mi chiedo se, nel contesto italiano in cui siamo ben lontani dal rischiare la vita, ho lo stesso desiderio di impersonare Cristo in ogni ambito della mia vita. Sono veramente disposto allo stesso sacrificio per Dio a cui questi fratelli sono esposti ogni giorno? Anche per me, come per loro, «il vivere è Cristo e il morire guadagno» (Filippesi 1:21)?

C’è, però, qualcosa di estremamente incredibile in questi esempi: Cristo è talmente prezioso che vale la pena di dare la nostra stessa vita pur di restare insieme a Lui.

Non siamo soli perché Dio è con noi

Certamente la World Assembly non solo è stata ricca di tutti questi insegnamenti di carattere generale, ma è stata anche un’occasione per riflettere dal punto di vista personale. A proposito di questo c’è un concetto che è stato ribadito tantissime volte e di cui non posso più fare a meno: prendere consapevolezza della presenza di Dio nella nostra vita.

Tantissime volte nella Bibbia compare la promessa di Dio “Io sarò con te”, ma spesso ci capita di non considerare questo nella quotidianità. Ho avuto modo di parlare con diverse persone che hanno servito in IFES per decenni. Un aspetto su cui ciascuno di loro insisteva dopo così tanti anni di ministero è che la relazione personale con Dio è la base di tutto quello che facciamo. Non possiamo pensare di servire Dio senza essere in comunione con Lui. Abbiamo bisogno di ricercare Lui e la Sua presenza: essere consapevoli che Lui è con noi può trasformare radicalmente il nostro modo di vivere per Lui.

«O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il SIGNORE, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?» (Michea 6:8)

La vita cristiana e anche il servizio cristiano sono un continuo camminare fianco a fianco con Dio.

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Di Andrea Aresca

La limitatezza del tempo e le priorità

Essere consapevoli della limitatezza del nostro tempo è il punto di partenza per gestirlo in modo efficace. Mosè, dopo aver riflettuto sulla fragilità e la brevità della vita umana, chiese a Dio: “Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio.” (Salmo 90:12). Comprendere che i nostri giorni sono contati (e non infiniti come quelli di Dio!) ci fornisce la saggezza necessaria per le scelte della vita.

Proprio perché il tempo è limitato, dobbiamo comprendere bene quali siano le priorità, le “palline da golf” (come nel video che abbiamo visto insieme) da inserire per prime nel nostro “barattolo”. Infatti, se iniziamo a riempire con le “piccole cose” la nostra vita, rischiamo di non avere più spazio per ciò che è veramente importante.

Sapere quello che è più importante non è sufficiente

A volte, definire quello che è prioritario in una determinata fase della nostra vita può non essere facile (vedremo alla fine una domanda che ci può aiutare in questo). La chiarezza su quali siano le nostre priorità, però, non è comunque sufficiente. Quante volte, infatti, facciamo fatica a trovare il tempo per quello che è più importante? E quante volte (parlo per esperienza…) anche quando avremmo il tempo, lo dedichiamo ad altro?

Questo è dovuto al fatto che le nostre azioni (e quindi anche come usiamo il nostro tempo!) sono determinate non solo dalle nostre intenzioni. Infatti tutti siamo continuamente influenzati nel nostro comportamento dagli stimoli del mondo esterno e dalla nostra condizione fisica, emotiva e spirituale. 

I fattori che influenzano l’uso del tempo.

Ci sono fattori che ci aiutano ad usare in modo efficace ed efficiente il nostro tempo, ed altri che ci ostacolano in questo. Abbiamo quindi bisogno di essere consapevoli di queste dinamiche personali e di adottare metodi e strumenti che ci aiutino a gestire il loro impatto (positivo o negativo) su di noi.

Alcuni di questi fattori sono, ad esempio:

  • l’attenzione (pensiamo anche solo all’impatto delle notifiche del nostro cellulare)
  • l’energia (è esperienza di tutti che siamo meno produttivi quando siamo più stanchi)
  • l’ambiente (il luogo e le persone con cui studiamo o lavoriamo possono essere fonte di distrazione).

Al di là delle nostre preferenze ed abitudini personali, è provato che la pianificazione del nostro tempo (ad esempio utilizzando uno strumento come la settimana ideale) ci aiuta a rimanere più focalizzati sulle attività importati ed anche a gestire efficacemente questi fattori.

La domanda più importante.

Come figli di Dio, siamo chiamati ad utilizzare al meglio il tempo che il Signore ci dona. Dobbiamo essere consapevoli, però, che non potremo mai fare tutto quello che “potremmo” fare, e che dovremo necessariamente scegliere cosa è davvero prioritario.

Per comprenderlo è molto utile pensare al futuro, al momento in cui la stagione della vita che stiamo vivendo (ad esempio, gli anni dell’università) avrà il suo termine e chiederci: “cosa rimarrà di questi anni?”.

Forse alcune cose che adesso ci preoccupano così tanto non le ricorderemo nemmeno. Forse alcune cose a cui adesso stiamo dedicando poco tempo avranno un impatto ben superiore di quello che pensiamo…

La cosa più importante.

E’ proprio al futuro e a quello che rimarrà a cui Gesù fece riferimento quando parlò con una donna sicuramente molto “produttiva”, ma che aveva trascurato quello che era veramente importante:

Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta.” (Lu 10:41).

Tra le tante cose da fare, passare del tempo con il Signore è sempre quella più importante, che ci potrà anche dare la saggezza e la forza per affrontare ogni altra.