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Di Valentina Ferraris, Staff in Formazione 

Siamo in Palestina, all’incirca nell’anno 30 d.C., il venerdì prima della celebrazione della Pasqua. Nella città di Gerusalemme, Gesù, un semplice ebreo di Nazaret, che dichiara di essere il Salvatore tanto atteso dal popolo ebraico, viene condannato a morte e crocifisso. Improvvisamente a mezzogiorno scendono le tenebre su tutto il paese e si avverte un forte terremoto, che squarcia la cortina del tempio. Dopo ore di agonia Gesù è morto. Il suo corpo viene sepolto nella tomba di famiglia di Giuseppe di Arimatea, un uomo giusto che attendeva il Regno di Dio, e che decide di onorare Gesù con una decorosa sepoltura. La vita di un grande uomo, che ha sempre pensato ai più deboli ed è venuto sulla terra per far conoscere Dio Padre, è stata spezzata. Tutte le speranze che i suoi seguaci hanno riposto in Lui sono in un attimo svanite: chi li salverà ora che il Messia è morto? 

Sconforto e nuove certezze

Due giorni dopo, in questo clima di stupore, confusione e rassegnazione, due dei discepoli di Gesù si recano in cammino a Emmaus, una cittadina nei pressi di Gerusalemme. Il Vangelo di Luca (Luca 24: 13-32) ci racconta che i due stanno discutendo, quando a un certo punto si avvicina loro uno sconosciuto, che li accompagna nel tragitto. Vuole sapere di che cosa stiano parlando i due uomini, i quali gli rispondono con queste parole:

«Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni? (…) Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose»

Luca 24: 18-21
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Di Davide Maglie, Presidente GBU

Nelle ultime settimane sono stato colpito da notizie di cronaca che mi hanno turbato profondamente, e che hanno a che fare con il contesto in cui opera il GBU. Il 1° febbraio raggiungeva la stampa e i media nazionali la notizia del suicidio di una studentessa dell’Università Iulm di Milano. Una giovane donna di cui non conosciamo il nome, trovata morta nei bagni dell’ateneo. Poco più di un mese dopo, il 3 marzo, è arrivata la drammatica notizia del suicidio di una studentessa della Federico II di Napoli. Si chiamava Diana.

La studentessa di Milano ha lasciato una lettera di congedo dai suoi famigliari, in cui ha cercato di spiegare le ragioni del suo gesto. Sono riconducibili al senso di fallimento generale, al suo non sentirsi all’altezza delle aspettative e dei sacrifici della sua famiglia, per farla studiare. La studentessa di Napoli aveva invece costruito una falsa narrazione sul suo percorso di studi, e potrebbe non aver retto al senso di vergogna o di colpa. Aveva annunciato di essere a ridosso della laurea, quando non era così. Non sono purtroppo casi isolati. Negli ultimi tre anni, dieci studenti universitari si sono tolti la vita. E questi sono soltanto i casi noti. 

Una sfida per il GBU

Non dobbiamo sottovalutare la situazione e prendere in seria considerazione lo stato della salute mentale degli studenti cui il ministerio GBU si relaziona. Il 15 febbraio, a seguito dello choc per il suicidio di Milano, Emma Ruzzon, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Padova, durante il suo intervento all’inaugurazione dell’anno accademico affermava: “Quand’è che studiare è diventato una gara? Da quando formarsi è diventato secondario rispetto al performare? Tutto quello che sappiamo è che una vita bella, una vita dignitosa, non ci spetta di diritto, ma è qualcosa che ci dobbiamo meritare”. Parole che devono farci riflettere. 

Dobbiamo attivarci come ministerio e quindi attrezzarci e sensibilizzare i nostri collaboratori, soprattutto la nostra prima linea, a porre la giusta attenzione nel riconoscere i segni di disagio, di malessere esistenziale, i segnali non verbali o espressi in modo indiretto. Ma voglio aggiungere qualcosa di personale, che potrebbe spiegare le ragioni del mio turbamento emotivo davanti alle notizie che vi riporto.

La mia esperienza personale

Sono stato uno studente universitario che ha vissuto interruzioni traumatiche nel proprio percorso di vita: la persona con cui condividevo la preparazione dei miei esami, il mio alter ego accademico, era un’amica, si chiamava Cristina, e perse la vita in un incidente stradale la notte di Capodanno del 1992. Ci eravamo salutati qualche settimana prima, a metà dicembre, con l’impegno di riprendere la preparazione degli esami del piano di studi comune, al rientro dalle vacanze natalizie. Tutti gli esami preparati insieme erano andati bene ed eravamo incoraggiati dai risultati conseguiti. Questa notizia produsse in me uno scombussolamento emotivo, acuito da altri traumi sopraggiunti, e mi rese incapace di concentrarmi sullo studio. 

In quel periodo mi “tenne a galla” l’impegno attivo in un ministerio di chiesa, che occupava le mie giornate. Dentro di me, però, scavavano il senso di colpa e quello di inadeguatezza: frequentavo le lezioni, ma non riuscivo in alcun modo a concentrarmi nella lettura dei testi di studio. In diverse occasioni uscii di casa per andare a svolgere gli esami, ma non raggiungevo le aule dove avrei dovuto sostenerli. Non riuscivo ad accettare la morte di quella ragazza sensibile, intelligente e generosa. Ero arrabbiato con Dio ed ero entrato in una sorta di buco nero; e se anche all’esterno sorridevo e dicevo “va tutto bene, il Signore è buono e provvederà ai miei bisogni” dentro di me ero emotivamente dilaniato.

Alla fine, l’amore della famiglia biologica e di quella spirituale mi aiutarono a riorientare la mia vita in una direzione più sana e soddisfacente. Superai la fase acuta della crisi e arrivai a completare il ciclo di studi. Ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Mi ricordo bene, anche se non ne ho mai parlato volentieri e mai in pubblico, la frustrazione, anzi la depressione, la rabbia, il senso di autocommiserazione che mi avevano bloccato e non mi facevano progredire nel percorso di studi. 

Intorno a noi, portatori di sfide nascoste

Cari Staff e studenti che partecipate alle attività del GBU, voglio incoraggiarvi a guardare quanti si relazionano a voi come potenziali portatori di sfide nascoste. Se da voi si sentiranno giudicati non apriranno veramente il loro cuore. Se voi presenterete solo modelli normativi, di alta spiritualità, vi potranno sorridere e dire “amen”, ma non li raggiungerete dove stanno, nel cuore dei loro conflitti. Siate capaci di accogliere e spronare, senza giudicare. Fate emergere il loro senso di fallimento, le loro insicurezze, le loro sfide condividendo le vostre. Non dovete raccontare ogni dettaglio, è sufficiente che siate onesti e aperti, sinceramente interessati alle loro vite. 

Ritengo possano aiutarci le parole dell’Ecclesiaste:

“Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo:  un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato,  un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare,  un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci;  un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via, un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare; un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Che profitto trae dalla sua fatica colui che lavora? Io ho visto le occupazioni che Dio dà agli uomini perché vi si affatichino. Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta
.”

Ecclesiaste (3:1-11)

Queste parole hanno un’enorme forza magnetica, un flusso poetico che continua a scuoterci, a non lasciarci indifferenti. 

Dentro l’esistenza umana trova spazio sia ciò che è desiderabile che quanto eviteremmo volentieri, dentro un ciclo cronologico che assume la forma di oscillazione di un orologio, anzi di un pendolo.  Qoelet/Ecclesiaste non è un idealista che auspica, ottimisticamente, un periodo di pace e festa in grado di cancellare la dimensione meno desiderabile dell’esistenza. Come ricorda il biblista William P. Brown: “Ogni attività ha la sua stagione e le stagioni hanno un loro posto nel ritmo dell’eterna rotazione, non è appropriato danzare in tempo di lutto, il pianto non si addice ai festeggiamenti, il silenzio quando sono in gioco i diritti degli oppressi. Persino l’odio ha il suo tempo, come ricordano i salmi di imprecazione.” La vera sfida del saggio è quindi “riconosci quale sia il tempo che stai vivendo”.  Discernere il tempo opportuno e quello non opportuno per dire alcune cose, per compiere alcune azioni. 

Un appello

Caro lettore, quando “condividi Gesù” sii aperto alle vite delle persone a cui ti stai rivolgendo. Saranno necessarie saggezza e discrezione, in alcune fasi e momenti; ma serviranno anche coraggio e intraprendenza, quando dovrete porre “le domande che contano”, le più difficili, per raggiungere gli studenti dove si trovano e aiutarli veramente, nel tratto di cammino che farete insieme. Ci sarà un tempo per camminare uniti e poi dovrete lasciare andare. Questa separazione alla fine del ciclo di studi è anche naturale e fisiologica. 

Certo, speriamo di ritrovarli più avanti quegli studenti, diventati uomini e donne maturi e consapevoli, capaci di raccogliere il testimone e passare ad altre generazioni quel senso di stupore e consapevolezza della vita. Dentro una saggezza divinamente ispirata e cristologicamente orientata e, chissà, collaboratori a vario titolo del GBU. Ma “c’è un tempo per ogni cosa”, riconosci il tempo che stai vivendo e resta in ascolto dei progetti di Dio per la tua vita.

“Infatti io so i pensieri che medito per voi”, dice il SIGNORE: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza.” (Geremia 29,11).

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Di Lorens Marklund, Compassion Italia e collaboratore GBU

Alla fine del gennaio scorso abbiamo avuto l’occasione con il gruppo di Cross-Current Mi-To di incontrarci personalmente per il quarto modulo di questo percorso. Ci ha accolti per la seconda volta la location dell’ostello Parco Monte Barro. Forse la peculiarità di questo progetto è proprio quella di riunire chi è ora inserito nel mondo del lavoro, considerando i vari impegni.  Anche questa volta abbiamo potuto godere di questo tempo insieme, per discutere di temi pratici alla luce della Parola di Dio.

IL TEMA

L’argomento che abbiamo trattato in questo incontro è stata la “Generosità”. Ci siamo chiesti come il Signore voglia che noi esercitiamo la generosità nelle nostre vite, e come poter fare ogni cosa alla Sua Gloria, anche nella gestione del denaro nella nostra vita privata e nelle nostre chiese, e su come poter essere di aiuto e sostegno in qualche servizio. 

Abbiamo iniziato il nostro incontro proprio interrogandoci e sfidandoci l’un l’altro a ragionare su quali siano i pro e i contro del denaro, e di come la relazione dell’uomo con esso e con un mondo sempre più economizzato si sia evoluta dalle origini a oggi. 

Partendo dalla lettura di numerosi passi biblici, abbiamo realizzato come la generosità non sia una dote di alcuni, una qualità particolare, ma un frutto e un elemento essenziale per ogni cristiano nel cammino con Dio, sintomo di obbedienza e immagine dell’esempio di Cristo.

IL TEMPO INSIEME

Anche questa volta non sono mancati momenti di condivisione, di gioco, di passeggiate in mezzo alla natura per godere dello splendido panorama del luogo; e soprattutto tavolate ricche (…di caramelle gommose 😊) attorno alle quali ridere e raccontarci delle nostre vite.

Passando del tempo nelle riflessioni personali, in piccoli gruppi e poi nei momenti insieme, abbiamo potuto ricordare come ogni cosa sia dono di Dio nelle nostre vite e come sia nostro compito amministrarla al meglio.

Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi (2 Corinzi 9: 11)

Team traduttori a Revive
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di Valentina Bernardi, GBU Bologna 

Alla conferenza studentesca IFES Revive ho avuto modo di partecipare non solo in veste di studentessa, ma anche come volontaria, impegnandomi nella traduzione delle varie plenarie dall’inglese all’italiano, in un team di sette interpreti. 

Ero già stata coinvolta come traduttrice nella conferenza Revive, e sono stata incoraggiata a svolgere di nuovo questo ruolo dal mio percorso di studi. Infatti, nel 2021 ho conseguito la laurea triennale in Mediazione linguistica e culturale, e si può dire che ho lavorato in quello che è stato ed è tutt’ora, con la magistrale, il mio campo di studi. Inoltre, sapendo che anche nelle piccole cose si trova l’opportunità di servire Dio, sono stata mossa dal desiderio di rendermi utile per chi avesse avuto qualche difficoltà a comprendere i temi della conferenza in lingua originale.

IL LAVORO DI INTERPRETE

Alla conferenza Revive gli interpreti si trovano nelle cabine, con un microfono e delle cuffie. Rispetto al 2019 le tecnologie erano più evolute. Abbiamo utilizzato i nostri PC per connetterci a un’app, mentre nel 2019 avevamo semplicemente un microfono connesso alle cuffie di coloro che ascoltavano la traduzione. 

È stata stimolante per me anche l’esperienza di essere in un team di traduttori. Ci tenevo a mettermi in gioco con questo lavoro di squadra, in quanto, essendoci due sessioni ogni giorno, era necessario scambiare i propri turni con gli altri traduttori. Non sapevo però come sarebbe stato, dal momento che avevo avuto qualche difficoltà come interprete nel 2019, forse anche perché ero più inesperta. 

Malgrado qualche mio piccolo timore, è andata bene! Il lavoro si svolgeva principalmente dietro le quinte e coinvolgeva non solo noi traduttori italiani, ma anche altri di altre lingue. Avevamo anche le dispense sui vari argomenti dei vari sermoni dei diversi speaker, che sono stati utili per sapere quale passo biblico sarebbe stato affrontato e anche a capire qualcosa del contesto. Ad ogni turno eravamo in due, e così quando sentivamo il bisogno di prenderci una pausa, passavamo il microfono al nostro ‘collega’.  

UN BELLISSIMO INCORAGGIAMENTO

Il lavoro del traduttore è apparentemente facile, ma è una sfida. Quando si tratta di traduzione simultanea, infatti, bisogna tradurre mentre lo speaker parla, e a volte si potrebbe rischiare di perdere dei passaggi importanti. Grazie a Dio sono abbastanza esperta in questo campo, e inoltre, gli speaker che io mi sono trovata a tradurre, erano abbastanza chiari nelle loro spiegazioni e non ho riscontrato grosse difficoltà. 

In particolare John Lennox è stato molto chiaro e coinciso, e mi ha piacevolmente colpito che alla fine del suo sermone sia venuto da noi traduttori delle svariate lingue a ricordarci quanto questo compito fosse importante. 

Posso dire che anche quella è stata una bella soddisfazione, perché mi ha ricordato di essere utile a qualcuno. Nella mia vita ho avuto questa crisi d’identità nel pensare di non fare abbastanza per aiutare gli altri e di non avere particolari doni come altri miei fratelli in fede. Invece, Dio mi ha ricordato che ognuno di noi ha doni diversi da sfruttare nel momento giusto. In quel momento mi è venuto in mente questo versetto: 

“Poiché Dio non è ingiusto da dimenticare l’opera vostra e l’amore che avete mostrato verso il suo nome coi servizi che avete reso e che rendete tuttora ai santi” (Ebrei 6:10) 

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di Domiziana Fornasini, coordinatrice GBU Bologna

A dire la verità, non è stato il peso per un risveglio in Italia o in Europa a farmi decidere di andare a Revive. È stato semplicemente il mio bisogno di staccare un po’ dalla quotidianità e ricevere quella “scossa” tipica degli eventi come questo. Inoltre, ero interessata in particolare ad alcuni speakers che volevo ascoltare. 

Con il passare delle settimane, ho capito quanto fosse importante per me ritornare a quello stato di adorazione puro, vero; quell’adorare Dio per chi lui è, e non per quello che ha fatto per me, né per quello che mi dà, o per le sue promesse. Tornare su questa strada era l’obiettivo che mi ero data prima di partire.

Il programma e gli small groups

Il programma era diviso pressoché in culti e seminari, questi ultimi a scelta. Il tema generale della conferenza riguardava il risveglio, prima personale, poi delle nostre università e infine dell’Europa; sia i seminari che le prediche giravano attorno questi temi, mantenendo sempre il nostro focus su Cristo e su come il suo mandato si applichi alle nostre vite. Tuttavia, non mancava il tempo libero né la possibilità di appartarsi in una stanza di preghiera in qualsiasi momento, dettaglio che ho trovato estremamente importante. 

C’erano anche degli small groups per parlare un po’ più a fondo del tema trattato dal predicatore. Grazie a questi gruppi ho potuto conoscere nuove persone dall’Europa e da altre parti del mondo, e anche chi era venuto da solo ha potuto trovarsi in un contesto amichevole e accogliente, anche per chi ha qualche difficoltà a conoscere nuove persone (e per me di solito è difficile). 

Far parte di un gruppo è stato in effetti essenziale per rendere l’esperienza di Revive piena. Un risveglio non è qualcosa che si fa da soli, né una chiesa può essere composta da una sola persona. Inoltre, far parte di un gruppetto è stato importante anche per il post conferenza, ovvero il momento peggiore: il ritorno a casa. Quando rientri nella tua quotidianità, e non sei più circondata da cristiani come te; quando pregare e adorare non è di default nel programma, ma devi essere tu a trovare quei momenti; quando diventa complicato rimanere in quello stato di connessione continua con Dio, in cui non si smette mai di parlargli o di ascoltarlo e non si ha nessuno con cui condividere esperienze così profonde. Sono questi i momenti in cui puoi ricontattare le persone del tuo gruppo, per tornare ad avere comunione e incoraggiarci a vicenda. 

Non me l’aspettavo 

La cosa che mi ha colpita di più è stata la quantità di persone. Ero stata ad altri eventi prima, anche internazionali, ma non avevo mai visto così tanti ragazzi da tutti quei background culturali, linguistici e denominazionali diversi adorare Dio insieme. Questo è stato un tuffo nella realtà, una realtà in cui migliaia di ragazzi e ragazze vogliono santificarsi, vogliono vivere per Cristo e vedere un mondo arreso a lui. Perché questa è la nostra realtà: non siamo pochi, non siamo soli. Ovunque andiamo, come cristiani, possiamo trovare fratelli e sorelle, possiamo trovare una famiglia, persone con cui, anche se non le abbiamo mai viste prima, abbiamo qualcosa di fondamentale in comune. E questo unisce, unisce tanto da farci dimenticare la nazionalità, la cultura, la lingua, la denominazione; si diventa un grande corpo e una grande Chiesa fatta da cittadini del cielo. 

Obiettivo raggiunto 

Alla fine della conferenza, direi quasi ovviamente, Dio ha superato le mie aspettative! Oltre ad incamminarmi nuovamente verso quell’adorazione pura, Dio mi ha spinta a pregare molto di più e a cominciare a pensare di organizzare delle preghiere continue 24/7, per una sua promessa per cui avevo quasi smesso di combattere. 

Vivere a iniezioni 

Indubbiamente è stata un’esperienza incredibile, tuttavia non vorrei far passare l’idea che vivere solo per aspettare eventi del genere sia una possibilità, come se fosse un’iniezione di Spirito Santo che ci dà la carica una volta all’anno, perché non lo è. Dobbiamo imparare a vivere Dio nel nostro quotidiano, anche quando siamo soli, non solo nel momento in cui siamo circondati da persone che ci spronano. Tuttavia, rimangono tutti i lati positivi del prendersi qualche giorno per partecipare ad eventi come questo e “ricominciare” con Dio. 

Quindi, perché Revive? 

Partecipare a Revive non significa solo passare un capodanno diverso. È molto di più. Significa conoscere nuove persone appassionate per Dio e pronte a mettere sottosopra l’Italia, l’Europa e il mondo. Significa scoprire cose di se stessi e di Dio che non si conoscevano; ma significa anche doversi mettere in discussione, confrontarsi con realtà diverse ed essere pronti a cambiare opinione, a uscire dalla propria zona di comfort, perché Dio non è il Dio del comfort, ma del risveglio.

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di Andrea Becciolini, Staff GBU Firenze

Sei a lezione, nell’aula che è sempre troppo affollata. Stavolta però sei riuscito a prendere un buon posto per ascoltare ciò che il prof dice e vedere ciò che scrive alla lavagna. Hai la penna in mano e il blocco degli appunti davanti, ma… bastano pochi minuti per renderti conto di quanto poco ci stai capendo. 

Ti è mai capitato? Io non riesco a contare le volte che mi è successo durante il mio percorso universitario. 

Ascoltare, ma non capire…

Partecipare come attore a The Mark Drama mi ha fatto rivivere una sensazione simile. Infatti, mettendo in scena l’intero vangelo di Marco sono stato colpito da come Gesù insegnava, parlava e istruiva in modo molto chiaro e diretto riguardo a chi lui fosse e a ciò che era venuto a fare. Eppure, i discepoli capivano veramente poco!

Fin dai primi capitoli del vangelo di Marco, infatti, si percepiscono i tanti punti interrogativi nella loro mente. “Chi è costui?” si domandano l’un l’altro subito dopo che Gesù calma la tempesta. Pochi capitoli dopo, però, Pietro finalmente esclama “tu sei il Cristo!” in risposta alla domanda di Gesù. 

Il Padre chiarisce ogni dubbio 

Eppure, ciò che segue mostra che i discepoli non avevano veramente ascoltato, compreso, ciò che Gesù era venuto a fare. Infatti, dopo che Gesù spiega che sarebbe dovuto morire e resuscitare, Pietro lo prende da parte e lo rimprovera. Anche in questa occasione però, Gesù dimostra una pazienza e un amore impressionati! Pur allontanando Pietro, riconoscendo lo zampino di Satana nelle sue parole, non si tira indietro dallo spiegare cosa significa seguire il Cristo, cioè rinunciare a se stessi, prendere la propria croce e seguirlo. Inoltre, poco dopo, chiama proprio Pietro per salire sul monte insieme a Giacomo e Giovanni. Lì i tre assistono a qualcosa di glorioso: Gesù è trasfigurato e accanto a lui ci sono Mosé ed Elia, due fra i più grandi profeti dell’Antico Testamento. I discepoli sono presi da spavento, non sanno cosa pensare, dire o fare, ma ecco una voce dal cielo: “questo è il mio diletto figlio, ascoltatelo”. Il Padre spazza via ogni dubbio sull’identità di Gesù e sulla necessità di ascoltarlo! Lui è il diletto figlio di Dio che va ascoltato.

Il diletto Figlio di Dio: ascoltiamolo! 

Il diletto Figlio, in cui il Padre si compiace dall’eternità e per l’eternità. Il diletto Figlio, che ha sempre vissuto in obbedienza al Padre. Il diletto Figlio, che adempie le profezie dell’Antico Testamento venendo al mondo come servo, per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti. Gesù è il diletto Figlio di Dio, caratterizzato da perfetta umiltà e assoluta autorità. 

Per questo è degno di essere ascoltato! Comprendere le sue parole e ubbidire è vita per noi. Infatti, anche se umanamente parlando era follia che il Cristo doveva soffrire e morire, questo era proprio il piano del Padre per salvarci. Anche se umanamente parlando è follia rinunciare a se stessi e considerarsi morti al proprio ego, questa è la chiamata del Figlio.

Ascoltiamolo dunque! Ascoltiamolo questo Natale. Così facilmente ci concentriamo sui regali, i viaggi, le decorazioni, i momenti in famiglia; tutte cose belle e buone che però non devono distoglierci dall’ascoltare il Figlio. Prendiamo così tempo nella Bibbia, non per vivisezionarla né per meramente comprenderla intellettualmente; non leggendola in modo passivo né per spuntare un’attività sulla nostra lista di cose da fare. No! 

Approcciamoci invece in modo intenzionale, attivo, gioioso alla Parola di Dio chiedendo al Padre di aprirci le orecchie per poter ascoltare il suo diletto Figlio.

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Di Johan Soderkvist, Segretario Generale GBU Italia

È passata qualche settimana da quando sono rientrato a Firenze dopo un incredibile e avventuroso viaggio a Leopoli, in Ucraina, per portare aiuti e incoraggiamento al movimento studentesco CCX

Quello in Ucraina è da anni il movimento “forte” della regione, con gruppi e staff sparsi per il paese, incluse le regioni adesso occupate dalla Russia. CCX è stato un sostegno anche per le nazioni vicine, i cui movimenti studenteschi non avevano la stessa libertà; tra questi Bielorussia e Russia. Come sappiamo, dal 24 febbraio le cose sono cambiate.

Molti studenti e staff sono fuggiti dalle zone di guerra per trasferirsi nella parte occidentale del paese, altri in Europa. Come rifugiati, gli studenti cercano di frequentare l’università online, ma anche di incontrarsi per studiare e pregare insieme. Gli staff cercano di sostenere e incoraggiare questi gruppi nei modi che possono.

TEMPO DI QUALITÀ CON PERSONE DI QUALITÀ

Insieme a uno staff di IFES con cui collaboro nel programma di Governance Development* di IFES, ho avuto dunque l’opportunità di partecipare a una visita alla città di Leopoli (Lviv) che dista circa 80 km dal confine con la Polonia.

Abbiamo incontrato due staff di Leopoli, e altri due che erano arrivati in città dopo l’inizio della guerra, scappando dalle province orientali; poi Misha, il Segretario Generale, che fino al 2014 viveva in Crimea, e quest’anno per la seconda volta è dovuto scappare dalla guerra; e Andriy, il presidente del CCX, che vive a Kiev.

Passare una giornata con loro è stata un’esperienza che mi ha lasciato il segno. Abbiamo gustato la compagnia e la gioia di stare insieme, ma anche il dolore e le insicurezze di chi sa che da quel cielo blu sopra la città può, in qualsiasi momento, cadere un missile. Pregare con loro e ascoltare i loro racconti mi ha toccato profondamente.

IL CENTRO STUDENTESCO: UN PORTO SICURO

Gli Staff ci hanno fatto visitare il centro studentesco della città, un ambiente molto accogliente, con ampi spazi per studiare e stare insieme; è diventato un luogo di incontro per studenti cristiani e i loro amici che hanno bisogno di un posto caldo dove studiare o seguire i corsi online della loro università. Qui si fanno serate divertenti, ma anche studi biblici evangelistici e momenti di preghiera. È anche un hub di aiuti per chi ha bisogno di una coperta, di un po’ di carica per il laptop o il cellulare. E non manca di certo qualcosa di caldo da bere o mangiare, ad esempio la tipica zuppa boršč, originaria proprio dell’Ucraina.

Il viaggio è stato un incoraggiamento. Siamo partiti da Katowice alle 5 del mattino, viaggiando sotto una lieve nevicata fino al confine. Da quel punto in poi, la nevicata è diventata abbondante fino al rientro a Katowice a mezzanotte. Al confine, sia all’andata che al ritorno, la velocità e la semplicità con cui siamo passati sono state un vero miracolo. In particolare all’andata, quando avevamo il minivan pieno di aiuti di ogni genere: generatori elettrici, batterie usb, coperte, articoli per l’igiene personale, ecc. Tutte le scartoffie che avevamo preparato per dimostrare da dove venivano i doni e dove dovevamo portarli, tutti gli elenchi del materiale, tutte le preoccupazioni, si sono rivelate superflue: al confine hanno guardato i passaporti, hanno fatto annusare al cane e poi ci hanno detto di passare. Una grande lezione di Dio per me, che spesso mi preoccupo troppo.

IL VALORE DI QUESTA ESPERIENZA

Mi porto a casa tanti ricordi, in particolare la consapevolezza che Dio è presente intorno e nella vita di chi soffre e vive difficoltà; ho ascoltato racconti di come Dio opera in maniera soprannaturale e ne ho avuto un assaggio al confine. Questo mi insegna a confidare in Lui anche nelle preoccupazioni della mia vita.

Come movimento GBU credo che possiamo fare tesoro di esperienze vissute da altri movimenti del mondo IFES e in particolare quelli che vivono difficoltà. Siamo incoraggiati e sfidati a non fare silenzio con la buona notizia di Gesù. In Ucraina gli studenti evangelici soffrono e non sanno che futuro ci sarà per loro (e quando), ma sono attivi nel presente a portare speranza e a Condividere Gesù da studente a studente!

(Chi volesse seguire notizie da CCX può contattarmi a sg@gbu.it e ricevere un link a un canale telegram creato da IFES per questo scopo)

* un programma che ha come compito di formare i comitati direttivi dei movimenti nazionali per svolgere bene il proprio ruolo di guida

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Di Hannah Donato, Responsabile Formazione e Cura Coordinatori Studenti

Efesini 4:11-16 

È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, 12 per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo, 13 fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo; 14 affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore; 15 ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo. 16 Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore.

Crescere

Che cosa significa crescere e diventare maturi? Sia spiritualmente che fisicamente, ci sono molti aspetti del significato di crescita e maturità. Come cristiani dobbiamo crescere fino a raggiungere “l’altezza della statura perfetta di Cristo”, wow! Come parte del Suo corpo, ogni membro deve cercare di lavorare e contribuire a questa visione di vedere tutti diventare pienamente maturi in Gesù, usando i doni che Dio ci ha dato all’interno della Chiesa per edificare gli altri.

Qualcosa di simile succede anche in famiglia. Io e Giovanni abbiamo 3 figli e la nostra primogenita Isabella ha quasi 11 anni, e ha appena iniziato la scuola media. È in un momento della sua vita in cui ha iniziato a fare molte cose “da sola”. Ha iniziato a prendere l’autobus da sola, a volte deve preparare il pranzo e fare anche i compiti da sola. Come genitori, io e Giovanni cerchiamo di incoraggiarla a prendere l’iniziativa, a pensare in anticipo e a fare le cose senza dipendere solo da noi.

Nella mia vita lavorativa con il GBU vedo molti parallelismi tra l’essere genitore e l’essere uno staff GBU: in entrambi i casi desideriamo che le persone crescano e diventino un po’ indipendenti. È un po’ come essere una madre, una zia o una sorella maggiore; il rapporto che si instaura tra lo staff e i coordinatori è, infatti, molto stretto, ricco di momenti di insegnamento, sostegno, preghiere, chiacchierate, formazione, caffè e molto altro. All’università e attraverso i gruppi GBU spesso gli studenti cristiani fanno le prime esperienze nell’evangelizzazione, nella conduzione di studi biblici, nel rispondere alle domande delle persone, nel servire; è un grande momento e un’opportunità di crescita e maturità e, in quanto staff, affiancarli è un privilegio. 

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Di Giovanni Donato, Staff GBU Siena

Un nuovo anno accademico è iniziato e, come ogni anno, il GBU ha organizzato la Formazione dei coordinatori, il convegno al quale partecipano tutti quelli che saranno studenti coordinatori del GBU. A me, quest’anno, è stato chiesto di occuparmi della predicazione biblica dal libro di 2 Timoteo, cosa che ho accolto con grande onore e piacere. 

Probabilmente 2 Timoteo è uno dei testi più adatti per un ritiro del genere, il quale obiettivo è quello di esortare, formare, sfidare i coordinatori GBU. Dico questo perché è proprio quello che Paolo desidera fare con Timoteo scrivendo questa lettera, e ogni esortazione, ogni rimprovero, ogni sfida che Paolo lancia al giovane leader Timoteo è facilmente applicabile ai giovani leader studenteschi che si apprestano ad iniziare un nuovo anno accademico con entusiasmo, ma non senza delle preoccupazioni.

Nei quattro giorni insieme siamo riusciti a considerare e meditare sull’intera lettera, ma qui di seguito vorrei soltanto limitarmi a sottolineare due insegnamenti principali da 2 Timoteo: 

La chiamata alla leadership cristiana è una chiamata alla sofferenza

Più volte, nei quattro capitoli che compongono 2 Timoteo, Paolo menziona la parola sofferenza; incoraggia il giovane conduttore ad essere pronto a soffrire per il vangelo (1:8) e a sopportare con pazienza le sofferenze che incontrerà nel ministero (2:3, 4:5). Gli ricorda che anche lui sta soffrendo senza vergogna per il vangelo (1:12, 2:9), che anche lui sta sopportando pazientemente la sofferenza per amore degli eletti (2:10), che tutto il suo ministero è stato segnato dalla sofferenza (3:11); lo informa del fatto che è stato abbandonato da tutti quelli che fino a quel momento gli erano stati vicini (1:15, 4:9-10, 4:16) e di come era stato attaccato in modo violento da qualcuno che fino a poco prima riteneva un suo amico (4:14-15). Dice chiaramente a Timoteo che tutti quelli che sceglieranno di fare sul serio con Dio (“vivere piamente”) dovranno necessariamente confrontarsi con la persecuzione (3:12). Wow, messa così la chiamata alla leadership non sembrerebbe molto invitante… Tuttavia, Paolo in questa lettera non dice soltanto che la chiamata alla conduzione è soltanto una chiamata alla sofferenza (grazie a Dio!), ma è anche una chiamata gloriosa!

La chiamata alla leadership cristiana è una chiamata gloriosa.

Nella sua lettera, Paolo sottolinea più volte l’importanza, l’onore e anche la bellezza del servire Dio. Ricorda a Timoteo che la santa chiamata a servire il Re dei re non si riceve a motivo della buona condotta, ma esclusivamente per la gloriosa grazia di Dio (1:9) che è stata manifestata al mondo con l’apparizione del Salvatore nostro Gesù Cristo (1:10). Gli spiega che per una chiamata così gloriosa vale la pena soffrire (1:12) e che Dio è colui che ci sorreggerà mediante la sua potenza (1:8) e ci custodirà con cura fino al giorno in cui potremo deporre le armi (1:12). Esorta il giovane Timoteo a investire tempo ed energie in persone che un giorno avrebbero preso il suo posto affinché la fiamma dell’evangelo potesse continuare a rimanere accesa ed essere trasmessa lungo il dispiegarsi della storia (2:2); lo esorta a vegliare, a prendersi cura e proteggere il corpo di Cristo (2:14, 3:1-9), vegliando su di esso con amore, umiltà, pazienza e coerenza (2:15-16, 2:22-25). Lo invita a predicare fedelmente e con passione (4:2) la Parola ispirata di Dio (3:16), ad utilizzare i doni che Dio gli ha dato (1:6) e ad adempiere fedelmente il servizio che il Signore gli aveva affidato (4:5) perché alla fine di questa grande avventura lo avrebbe aspettato l’ingresso nel regno celeste di Dio (4:18a) e la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, assegnerà a tutti coloro che hanno atteso con gioia il ritorno di Gesù (4:8).

Mediante lo studio di questa lettera abbiamo potuto fare ciò che Paolo desiderava fare con Timoteo attraverso la stesura di questa lettera: esortare dei giovani leader cristiani a servire fedelmente il Signore, a non essere sorpresi o turbati quando nel loro cammino incontreranno la sofferenza e ricordare sempre che la santa chiamata a servire il re Gesù è una chiamata gloriosa che ci è stata rivolta per la grazia di Dio e per cui vale la pena anche soffrire e morire, in attesa del giorno in cui lo incontreremo in gloria. 

Buon anno e buon servizio a tutti i coordinatori GBU e a tutti coloro che, nel corpo di Cristo, ricoprono un ruolo di guida e responsabilità! 

Tempo di lettura: 2 minuti
Di Elena Montaldo, coordinatrice GBU Torino

La parola “formazione”, per me che studio Scienze della Formazione Primaria, ha un valore particolare. 

Il suo significato non si riassume nella trasmissione sistematica di conoscenze. Indica, piuttosto, la volontà di rendere competenti, ovvero in grado di rielaborare ed applicare quelle stesse conoscenze in contesti di realtà. Ciò è possibile solo se esiste una rete sociale che fornisca, a chi viene formato, stimoli ai quali rispondere. 

La Formazione Coordinatori

La Formazione Coordinatori di quest’anno, per me, ha significato tutto questo, ma non solo. Non si è trattato soltanto di un contesto nel quale studenti da tutta Italia si sono riuniti per tre giorni a Firenze. Non solo abbiamo ascoltato insegnamenti, studiato insieme il testo biblico e partecipato a seminari di vario tipo. Qui non ho avuto solo la possibilità di condurre uno SBI e un incontro di preghiera o di pianificare eventi e incontri per il nuovo anno gbuino, o iniziare a presentare il GBU agli studenti universitari della città. 

Per la prima volta in qualità di coordinatrice, dopo anni di partecipazione al GBU, mi sono sentita parte insostituibile di un progetto che ha come motore l’Amore e come obiettivo la Vita delle persone. 

Il tema

Nella sua seconda lettera a Timoteo, Paolo parla come un padre che, poco prima di morire, si rivolge a suo figlio. Proprio lui che era stato autore di stragi, violenze e persecuzioni nei confronti dei cristiani, dopo aver conosciuto Gesù, si trova a scrivere da una prigione, abbandonato da tutti e condannato a morte a causa della sua fede in Lui. 

Una decisione assurda agli occhi di molti, ma non ai suoi che vedevano gioia scaturire dalla sua sofferenza. Con la sua vita, fino al suo ultimo respiro, Paolo aveva infatti portato tantissime persone a ricevere la salvezza che deriva dalla fede in Colui che per primo aveva dato la Sua vita ed era risorto per donargli Vita in eterno. 

Leggere e studiare le sue parole insieme ad altri ragazzi e ragazze che, come me, hanno ricevuto quella stessa notizia ed hanno scelto di credere e vivere questa stessa realtà, per me è stato come essere destinataria, insieme a Timoteo, di quella stessa lettera

Ricominciamo

In quei giorni noi coordinatori ci siamo confrontati con un esempio di fede che ha messo a nudo e poi tolto paure, insicurezze e preoccupazioni che chiunque, nel vivere fino in fondo un ideale che va controcorrente, si trova prima o poi a dover affrontare. Insieme abbiamo compreso il significato profondo del ministero che crediamo sia stato affidato a ciascuno di noi studenti cristiani all’interno del GBU. 

Mi sono resa conto di quanto coraggio e quanta forza possa richiedere mantenere piena coerenza verso una scelta di vita come questa. Allo stesso tempo ho capito ancora più in profondità quanto valga la pena viverla pienamente, perché sempre più persone conoscano l’Amore e la grazia che il Dio della Bibbia ha dimostrato, attraverso il sacrificio di Suo Figlio Gesù, per poter avere un rapporto personale con ciascuno di loro.

Ora siamo pronti per ricominciare, ciascuno nel luogo d’Italia nel quale vive. Questa volta però con la consapevolezza che ogni cosa che faremo nel nostro piccolo avrà come traguardo comune una gioia che scaturisce anche nella sofferenza.