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di Luca Basta

L’Accademia svedese delle scienze ha assegnato il Nobel per la fisica 2020 per metà a Roger Penrose “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una solida previsione della teoria generale della relatività” e per l’altra metà, congiuntamente, a Reinhard Genzel e Andrea Ghez  “per la scoperta di un oggetto compatto supermassivo al centro della nostra galassia“.

Per capire quale sia stato il contributo di Penrose, dobbiamo prima comprendere il punto in cui si trovava la ricerca sui buchi neri all’inizio degli anni ’60.

Einstein, agli inizi del 1900, pubblicò la sua sorprendente teoria della relatività. Questa, sintetizzando in modo estremo, spiega come la gravità nasca dalla distorsione dello spazio tempo, una varietà quadri-dimensionale che combina le tre dimensioni spaziali con la dimensione temporale. Possiamo immaginarci lo spazio tempo come un lenzuolo sospeso e gli oggetti cosmologici (stelle e pianeti) come dei pesi su questo lenzuolo: ogni oggetto stiracchia il lenzuolo verso il basso, deformandolo. Esplorando le equazioni di Einstein, nel 1916 Schwarzschild teorizzò che in presenza di un oggetto abbastanza massivo, questo riesca a fare un buco nel lenzuolo dello spazio tempo (sarebbe più corretto dire che stirerebbe il lenzuolo talmente in basso da sembrare che ci sia effettivamente un buco..)! In queste regioni la gravità è talmente intensa da deformare lo spazio-tempo in modo tale che nulla, neppure la luce, può scapparne: da qui il nome (John Archibald Wheeler, in un’intervista del 1968: “se l’oggetto si trovasse a passare davanti allo sfondo pieno di stelle della nostra galassia, l’osservatore sulla Terra non potrebbe vedere l’astro, ma vedrebbe nella sua posizione un BUCO NERO rispetto allo sfondo luminoso”). Le equazioni di Einstein furono rivoluzionarie e la comunità scientifica cominciò a studiarle a fondo. Ma la convinzione generale, e quella dello stesso Einstein, era che questi buchi neri fossero degli escamotage teorici e non delle entità reali. La formazione di un buco nero era stata descritta solamente introducendo parametri ideali, per lo più irrealistici (simmetrie perfette, ad esempio..). Come se per sapere esattamente quante mucche possano entrare in una stalla le dovessimo approssimare dando loro una perfetta forma sferica e metterle sotto vuoto..! Qualcosa che in realtà si fa spesso, per avvicinarci ad una migliore comprensione di un sistema, ma che ovviamente non ci assicura che la descrizione prevista sia poi effettivamente corrispondente alla realtà…

In quegli anni, Roger Penrose si stava laureando e dottorando in matematica a Cambridge. Il suo ambito di ricerca era la topologia, quella branca della matematica che descrive le proprietà degli oggetti geometrici e come possono essere deformati, compressi o stiracchiati. Negli anni ’50, insieme a suo padre (uno psichiatra), concepì e rese famoso il “triangolo di Penrose”, che molto probabilmente avete visto come esempio di illusione ottica (nonostante fosse già stato ideato dall’artista svedese Oskar Reutersvärd circa vent’anni prima). Penrose lo definì “l’impossibilità nella sua forma più pura”, e lo troviamo spesso nelle opere dell’artista Escher. Si interessò alla astrofisica grazie al suo amico Dennis Sciama, un cosmologo anche lui a Cambridge al tempo. Cominciò a pensare alla “geometria interna di un buco nero, a come i raggi luminosi si comportano, a come si concentrano, e cose del genere..” (come lui stesso racconta). E così sviluppò un’idea innovativa, che poi definì “superfici intrappolate”, per descrivere il “collasso gravitazionale di un oggetto estremamente massivo che raggiunge il punto di non ritorno e che non dipende da alcuna simmetria o parametri simili”. Nel 1965, Roger Penrose fu il primo a dimostrare matematicamente che i buchi neri fossero una conseguenza naturale della teoria della relatività e non soltanto fantascienza. Nello specifico, Penrose dimostrò che se un oggetto come una stella morente collassa, ad un certo punto non c’è nulla che possa impedire alla gravità di diventare talmente intensa da generare una singolarità: un punto a densità di massa infinita in cui le leggi della fisica che conosciamo smettono di esistere.
Il suo lavoro diede una nuova spinta allo studio teorico e sperimentale sui buchi neri.

Veniamo ora ad Andrea Ghez e Reinhard Genzel. Qualche anno prima, nel 1931, Karl Jansky, uno dei padri della radio astronomia, aveva scoperto un segnale radio proveniente dal centro della Via Lattea (la galassia a cui appartiene il nostro sistema solare), nella direzione della costellazione del Sagittario. Successivamente si scoprì che la sorgente di questo segnale radio era in realtà la sovrapposizione di più componenti e nel 1974 ne venne identificata una particolarmente intensa e compatta: Sagittarius A*. E’ purtroppo impossibile osservare nello spettro del visibile il centro della nostra galassia, ovvero con i classici telescopi che possiamo facilmente comprare per studiare la luna, o le lune intorno a Giove. Questo perché la polvere e il gas interstellare che sono nel mezzo, assorbono e disperdono la radiazione elettromagnetica (e quindi anche la luce visibile). Un fenomeno detto estinzione. Al tempo stesso, la turbolenza della nostra atmosfera deforma in maniera casuale il cammino della radiazione elettromagnetica, distorcendolo.

Per limitare il più possibile questi problemi, nel 1995 fu costruito il telescopio Keck. A 4200 m di altitudine, sul vulcano dormiente Mauna Kea, alle Hawaii dove l’atmosfera è più sottile e l’inquinamento è minore. Il suo specchio iperbolico è composto da 36 segmenti, per un totale di 10 metri di diametro e un peso di 270 tonnellate. Per ridurre gli effetti della turbolenza atmosferica, un potente computer muove singolarmente ogni segmento dello specchio (ogni mezzo secondo), creando così un’ottica adattiva dalla precisione inimmaginabile (un milionesimo di mm). Osservando Sagittarius A* nell’infrarosso inoltre, invece che nel visibile, il fenomeno dell’estinzione si riduce notevolmente, permettendo così di seguire circa 30 stelle nelle loro rotazioni intorno al centro della galassia. Analizzando i dati raccolti nei primi venti anni di osservazioni, Andrea Ghez e il suo gruppo di ricerca hanno dimostrato che l’oggetto al centro delle orbite (ovviamente ellittiche) delle 30 stelle che furono seguite ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del sole (massa solare) ed è limitato in una regione spaziale di 45 unità astronomiche (45 volte la distanza tra il Sole e la Terra, circa 7 miliardi di chilometri). Parallelamente Reinhard Genzel, con i suoi collaboratori, contribuiva in modo decisivo allo sviluppo dell’imaging astronomico ad alta definizione, in particolare nell’infrarosso. Con i suoi progressi e grazie al Very Large Telescope in Cile, riuscì a misurare il periodo di rotazione di una stella in particolare, nel centro della nostra galassia, che corrispondeva all’incredibile velocità di 5000 km/s su un’orbita grande come il nostro sistema solare, intorno ad un oggetto supermassivo (in confronto la Terra ha una velocità orbitale media di 30 km/s, mentre Nettuno orbita a 5 km/s).
L’unico oggetto che può avere queste caratteristiche è un buco nero.

Come abbiamo appena visto, negli ultimi anni la scienza ci ha condotti in un viaggio colmo non soltanto di sorprese, ma anche di mistero. La cosmologia su scala infinitamente grande, insieme alla fisica delle particelle su scala infinitamente piccola, ci hanno gradualmente dischiuso la struttura spettacolare e meravigliosa dell’universo nel quale viviamo. La domanda allora sorge spontanea: cosa siamo noi esseri umani in tutto ciò? Siamo semplicemente dei minuscoli esseri transitori nati per caso, oppure l’universo stesso ci fornisce qualche indizio per poter ritenere che noi esseri umani abbiamo qualche importanza?

Parlando di scienza non possiamo non riconoscere come il fondamento del metodo scientifico stesso affondi nell’intellegibilità razionale dell’universo. A questo proposito Einstein commentò: “La cosa più incomprensibile dell’universo è che esso sia comprensibile. […] A priori ci si aspetterebbe un mondo caotico, che in nessun modo possa essere compreso dall’intelletto […]; il genere di ordine creato dalla teoria della gravitazione di Newton, per esempio, è del tutto differente. Il successo delle teorie scientifiche presuppone un elevato grado di ordinamento del mondo oggettivo, e questo non può essere previsto a priori”.

Perché siamo capaci di descrivere l’universo in termini matematici? E’ estremamente sorprendente come i concetti matematici più astratti, che sembrano essere delle pure invenzioni della mente umana, possano rivelarsi di fondamentale importanza per alcune branche della scienza, con una vasta gamma di applicazioni pratiche. Lo stesso Roger Penrose afferma: “Deve esserci qualche ragione profonda per l’accordo tra matematica e fisica.  È difficile per me credere che simili teorie eccezionali possano essere nate puramente mediante una qualche selezione naturale casuale”.

L’unica valida risposta, io credo, è che l’intellegibilità dell’universo sia fondata sulla natura della razionalità intima di Dio: tanto il mondo reale quanto la matematica sono riconducibili alla Mente di Dio che creò sia l’universo che la mente umana. Pertanto non è sorprendente che le teorie matematiche elaborate da menti umane create ad immagine della Mente di Dio trovino delle applicazioni in un universo il cui architetto fu quella stessa Mente creativa.

Ma, facendo un passo indietro, cosa possiamo dire sull’esistenza stessa dell’universo?

Arno Penzias, premio Nobel per la fisica nel 1978 per la scoperta della radiazione cosmica di fondo, afferma: “L’astronomia ci conduce verso un evento unico, un universo creato dal nulla, con quell’equilibrio assai delicato necessario per offrire esattamente le giuste condizioni richieste per consentire la vita, e con un progetto sottostante (si potrebbe dire soprannaturale)”. Il quadro straordinario che emerge dalla cosmologia (come dal resto della fisica) moderna è quello di un universo le cui forze fondamentali risultano essere, in maniera sbalorditiva, equilibrate o “finemente regolate” affinché l’universo possa consentire la vita (si parla di “fine-tuning”).

Prendiamo la densità di massa dell’universo ad esempio. Se fosse solo leggermente maggiore di quello che è, il deuterio (un isotopo dell’atomo di idrogeno, con un neutrone in più) sarebbe troppo abbondante, le stelle brucerebbero troppo rapidamente e non avremmo vita nell’universo. Se fosse solo leggermente minore, non ci sarebbe abbastanza elio nell’universo, e questo porterebbe ad una carenza degli elementi più pesanti (C, O, Fe, …). Paragoniamo l’universo ad una flotta di 1 000 miliardi di navi portaerei, ognuna lunga 330 m e pesante 100 000 tonnellate. Se questa flotta fosse calibrata con la stessa precisione della densità di massa dell’universo, sottraendo un miliardesimo della massa di un singolo elettrone, causeremmo l’affondamento dell’intera flotta!

Consideriamo la costante cosmologica, che regola come una forza repulsiva contrasti la gravità portando all’espansione dell’universo. Una variazione nell’ordine di 10120 (1 seguito da 120 zeri) e l’universo non potrebbe sostenere la vita. Pensate che la probabilità di centrare una monetina dall’altra parte dell’universo, distante 20 miliardi di anni luce da noi, è circa 1060 (1 seguito da 60 zeri). Ora aggiungete altri 60 zeri…una probabilità decisamente piccola.

Infine, consideriamo l’intero universo come lo conosciamo (con tutte le stelle, i pianeti, le galassie, i buchi neri..) e condensiamolo in un minuscolo puntino (della dimensione della lunghezza di Planck, la più piccola distanza possibile: 10-34m). Così compresso deve essere necessariamente più ordinato, e quindi meno caotico e con una entropia molto minore dell’universo attuale. Penrose stesso ha calcolato la probabilità che un universo in tale stato di bassissima entropia possa apparire dal nulla, per caso: 1010^123. “Anche se potessimo scrivere uno zero su ogni singola particella dell’universo (elettroni, protoni, neutroni, ecc..) non avremmo zeri a sufficienza. La precisione necessaria per indirizzare l’universo è […] straordinaria”.

Allan Sandage, uno dei padri della moderna astronomia, scopritore dei quasar e vincitore del premio Crafoord (l’equivalente del Nobel per l’astronomia), afferma: “Trovo assai improbabile che un simile ordine sia emerso dal caos. Deve esserci un principio organizzatore. Dio per me è un mistero, ma è la spiegazione del miracolo dell’esistenza: perché vi è qualcosa anziché il nulla”.

Anche Stephen Hawking, probabilmente il più famoso cosmologo e ateo convinto, riconosce “degno di nota che i valori delle costanti della fisica sembrino essere state finemente regolate per rendere possibile lo sviluppo della vita”.

Infine, Charles Townes, premio Nobel per la fisica nel 1964 (per la scoperta del maser, il precursore del laser) scrive: “A mio parere, la questione dell’origine sembra rimanere senza risposta se la esaminiamo dal punto di vista scientifico. […] Io credo nel concetto di Dio e nella sua esistenza”.

Personalmente credo che tutti questi siano indizi inequivocabili dell’esistenza di un Creatore, un Architetto dietro l’universo e la vita che conosciamo e investighiamo. Einstein afferma: “Questo [l’esistenza di un disegno, di un progetto] è il “miracolo” che viene continuamente rafforzato a mano a mano che le nostre conoscenze si espandono”.

Qual è questo progetto? Perché un Architetto avrebbe voluto creare un universo su misura per noi, tale sia da sostenere la nostra esistenza, che da permetterci di studiarlo e comprenderlo? Vi invitiamo a leggere la Bibbia e seguirci o contattarci per andare più a fondo ed esplorare la risposta a questa domanda.

 

Fonti:

  • Ragioni per Dio – Tim Keller
  • Dio e la Scienza – John C. Lennox
  • nature.com
  • astrobites.com
  • ox.ac.uk
  • bbc.com

 

Luca Basta è laureato in Fisica della Materia presso l’Università di Pisa. Ora sta completando il suo Perfezionamento (Dottorato di ricerca) in Nanoscienze presso la Scuola Normale Superiore; è anche uno dei coordinatori GBU di Pisa.

L’articolo Indizi inequivocabili proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/indizi-inequivocabili/

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di Francesco Schiano

Per milioni di persone nate in Argentina, a Napoli, e in mille altri posti, il funesto 2020 sarà ricordato soprattutto come l’anno della morte del più grande calciatore di tutti i tempi.

Io sono nato proprio a Napoli, 17 mesi dopo l’arrivo di Maradona in città, e non conservo ricordi ben definiti dei 7 anni nei quali vestì i colori della mia squadra del cuore…

Una sola immagine, sbiadita, nella quale credo di avere sovrapposto il trionfo in Coppa Uefa (‘89) e la vittoria del secondo scudetto (‘90). D’altra parte mio padre era un tifoso del Napoli, ma uno di quelli che non si impegnano troppo.

Eppure anche io sono cresciuto con il mito di Diego Armando Maradona.

L’ho incontrato spesso in realtà: nel nome di tanti miei coetanei; nelle partitelle tra amici, ogni volta che qualcuno teneva troppo la palla tra i piedi e veniva puntualmente accusato di “voler fare Maradona”; nel mio album di figurine sulla storia del Napoli; nelle immagini, nei murales, nelle statuine e perfino nei tempietti che tappezzano la città da 30 anni.

E poi quante interviste, documentari, film, quanti video con le sue prodezze…

Nel 2005 ero tra la folla che lo accolse al suo ritorno a Napoli, dopo 14 anni di assenza. Andai allo stadio per l’addio al calcio di Ciro Ferrara, un momento regalato a Maradona e ai suoi tifosi dal suo vecchio compagno di squadra. Ricordo il biglietto comprato da un bagarino a pochi minuti dall’inizio dell’evento, ricordo lo stadio strapieno e i cori tutti per Diego.

 

E’ incredibile pensare all’affetto che in questi giorni è stato dimostrato nei confronti di questo grandissimo campione, e allo stesso tempo notare quanto sia stato trasversale.

Amici, nemici, rivali, ex compagni di squadra, giornalisti, tifosi, sportivi, politici, personalità della cultura e dello spettacolo. Si ha l’impressione che tutti abbiano voluto dire qualcosa.

Uno dei temi più ripresi nelle tante cose scritte sulla vita di Maradona, e sull’ammirazione che ha saputo suscitare, è sicuramente quello del riscatto.

 

Maradona ha riscattato se stesso da un’infanzia povera e disagiata, arrivando sul tetto del mondo.

Maradona ha riscattato se stesso tutte le volte che è caduto e si è rialzato.

Maradona ha riscattato una città umiliata e denigrata. Con 2 scudetti ha risolto la Questione Meridionale.

Maradona ha riscattato la sua Argentina. Con un solo gol, il più bello mai messo a segno, ha ribaltato l’esito della guerra delle Falkland.

 

La protesta di alcuni, a dire il vero pochi, contro la mitizzazione di Diego ha solo moltiplicato le dimostrazioni di affetto e stimolato la diffusione di mille aneddoti sulla generosità, la sincerità e l’onestà dell’eroe del riscatto.

Eppure sembra essere stato proprio l’insostenibile peso delle speranze proprie ed altrui, il peso del riscatto, ad aver schiacciato Maradona.

 

La vita di Maradona, osservata adesso, senza aver ancora raggiunto il distacco necessario a consentire un giudizio obiettivo, distacco irraggiungibile per un tifoso, ma con la possibilità di scorgere tutta la bellezza e la varietà dei colori, delle emozioni e dei sentimenti, espressi e suscitati, rappresenta in una maniera unica la vicenda umana, molto più che l’essenza divina da molti invocata.

Umano, troppo umano, verrebbe da dire citando la famosa opera di Nietzsche.

Nessun uomo, per quanto straordinario, può sostenere il carico che era stato messo sulle spalle di Diego. Nessuno può riscattare senza pagare un prezzo, questo è vero per definizione, e nessuno avrebbe mai potuto pagare il prezzo del riscatto, proprio o altrui, se non Dio.

Gesù Cristo è l’unico Redentore nel quale gli uomini, Maradona incluso, abbiano mai potuto sperare.

Allora godiamoci i nostri ricordi legati al grande Diego, ma ricordiamoci che anche chi è arrivato in cima al mondo è rimasto sotto al cielo. E che Colui che né è al di sopra è l’unico che può liberarci dalle ingiustizie, dalle sconfitte e dalla morte, che quest’anno ci ha portato via, insieme ad altri 55 milioni di esseri umani, Diego Armando Maradona.

Francesco Schiano è attualmente staff GBU a Napoli

L’articolo Diego Armando Maradona – Umano, troppo umano proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/diego-armando-maradona-umano-troppo-umano/

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Mi piace l’autunno!

Mi piace perché, passata l’estate, è il periodo in cui si riparte a pieno ritmo con il lavoro. E lavorare con gli studenti universitari del GBU è bello!

Mi piace perché finalmente non c’è più quel caldo asfissiante, ma in Sicilia le giornate sono ancora belle, e si può godere di un piacevole sole.

Mi piace perché mi piacciono i suoi colori. Le foglie da verdi e rigogliose, si preparano a lasciare gli alberi facendosi gialle, arancioni, rosse…

Gialle… Arancioni… Rosse…

Pensandoci bene, quest’anno questi colori mi piacciono meno, molto meno. In questo autunno particolare, infatti, non sono solo le foglie ad essersi tinte dei colori dell’autunno.

Ma se è vero che per le foglie è la naturale colorazione che le prepara a seccarsi e a morire al suolo, speriamo che per le regioni d’Italia il processo sia inverso, e che tornino presto a essere verdi e rigogliose, come eravamo abituati a vederle nelle cartine geografiche o nei programmi meteo in TV.

Nel frattempo, i vari gruppi GBU hanno ripreso le loro attività in tutta Italia.

Gli studenti stanno vivendo sfide simili in tutte le regioni, e se è vero che alcuni gruppi riescono ancora a incontrarsi in presenza (alcuni gruppi nelle regioni gialle), per altri gli incontri si sono spostati tutti online (quasi tutti i gruppi delle regioni arancioni e rosse).

La difficoltà di relazionarsi con amici e colleghi certamente non facilita il lavoro del GBU, e certamente influisce negativamente sullo stato d’animo degli studenti. In tanti, inoltre, sono un po’ preoccupati perché al momento c’è molta incertezza sul loro percorso universitario. Alcuni vivono sfide ancora più gravi, come il rischio di non poter tornare a casa dalla famiglia, o ancora peggio, dover affrontare il fatto di avere una persona cara colpita dal covid.

Questo è l’autunno degli studenti GBU.

È un autunno dove sembra prevalere il grigio, oltre che il giallo, l’arancione e il rosso…

Eppure, basta leggere queste notizie dai vari gruppi GBU per scoprire che c’è molto di più dell’incertezza e della paura nei cuori di questi ragazzi. Ci sono creatività, fede, amore e passione per il vangelo!

Ti chiedo quindi di leggere con attenzione questo notiziario e di sostenere in preghiera gli studenti del GBU.

Leggerai di studenti che lottano, pregano e usano tutto il loro potenziale per “Condividere Gesù da studente a studente”, certi che la buona notizia della nascita, della morte e della resurrezione di Cristo sia potente da cambiare le vite dei loro amici e colleghi. Anche a distanza. Anche mentre si sentono incerti e spaesati. Anche se sono da soli dietro allo schermo di un pc o di uno smartphone.

Perché Gesù è la vera luce!

Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.
(Giovanni 8:12)

E la luce, si dice, è l’insieme di tutti i colori: Il giallo, l’arancione, il rosso…

Domenico Campo
(staff GBU)

Leggi le ultime notizie dai gruppi di tutta Italia
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I salmoni sono dei pesci un po’ particolari.

Nascono nei fiumi, trascorrono la loro vita adulta nei mari e a un certo punto, quando arriva il momento di riprodursi, ritornano al fiume da cui sono arrivati. Riescono a riconoscere il fiume tramite cui sono giunti al mare grazie all’olfatto e alla cosiddetta memoria molecolare del profumo di casa. Così, guidati dal loro istinto olfattivo, iniziano a vagare per il mare o l’oceano cercando la foce del loro fiume. Una volta riconosciuta la via di casa, cominciano a nuotare contro corrente fino al punto esatto in cui sono stati deposti sotto forma di uova.

I salmoni, quindi, nuotano nella direzione opposta rispetto al flusso dell’acqua: ciò richiede una notevole energia, chiarezza di obiettivi e testardaggine rispetto alle ovvie avversità che un percorso simile richiede. Nel nostro essere cristiani siamo spesso come salmoni.

Ci sono tanti pesci nel mare, ma solo alcuni risalgono la corrente. Dio non ha fatto tutti i pesci uguali, così come non tutti gli esseri umani diventano cristiani. Quando siamo immersi nel mare della cultura dominante abbiamo molte possibilità di scelta e alternative. Quando un cristiano si trova immerso nella cultura dominante e nella tradizione, è facile che inizi a omologarsi agli altri: a nessuno piace essere al centro dell’attenzione perché nuota contro corrente.

Eppure, Gesù era il contro corrente per definizione.

Era un salmone anche lui. Fino a 30 anni è stato nel mare come gli altri. Poi è iniziato il suo ministero e ha cominciato a risalire la corrente, convincendo anche altri a fare come lui. Ha detto parole contro corrente riguardo Dio, il Suo carattere e il Suo Regno. Ha passato il suo tempo con persone che all’epoca erano discriminate e disprezzate. È stato un leader contro corrente rispetto alle aspettative dei suoi compatrioti giudei. È stato tutto ciò che nessuno si aspettava e ancora oggi, Gesù e le sue parole, suscitano scalpore. Il Vangelo suscita scalpore. La sua morte per noi sulla croce è contro culturale rispetto all’io che salva sé stesso di cui sentiamo tanto parlare dai pulpiti moderni.

I giovani laureati cristiani sono come pesci nell’oceano.

Dopo aver navigato in acque tranquille e controllate, per la maggior parte del tempo sotto gli occhi degli adulti prima (in famiglia) e degli amici poi (dalla fine delle superiori fino all’università), si trovano immersi in uno spazio vasto e sconosciuto, dai confini labili: il mondo del lavoro. Si trovano ad abbandonare le città e le chiese di appartenenza, le famiglie e tutto ciò che conoscevano per intraprendere nuovi percorsi di vita e di crescita, nuove difficoltà e nuove sfide.

Con queste premesse, non stupisce che anche secondo gli studiosi la transizione dalla condizione di studenti a quella di lavoratori è una delle più difficili e dolorose. Senza la giusta energia, chiarezza di obiettivi e testardaggine, è facile perdere la via di casa. E la nostra casa non è qui, ma nel Regno di colui che ci ha creati, è la Casa del Signore, dove desideriamo abitare ogni giorno della nostra vita.

Cross-current è un progetto pensato proprio per giovani laureati cristiani che vogliono vivere pienamente la loro fede anche sul lavoro.

Nato come la prosecuzione dei GBU (Gruppi Biblici Universitari), Cross-current permette a giovani cristiani, entrati da poco nel mondo del lavoro, di riflettere sugli scopi di Dio per il lavoro e per noi personalmente, basandosi su un solido approccio teologico unito alla preghiera e al mentoring peer-to-peer.

Il nostro primo weekend insieme a Bobbio Pellice è stato l’inizio di una bellissima avventura della durata di tre anni. Eravamo un gruppetto di circa dieci persone, sia in presenza sia su Zoom. Nel corso di questi 3 anni ci incontreremo altre 5 volte.

Ogni weekend insieme verte su un tema in particolare legato al lavoro e alla fede in Cristo. In particolare, a ottobre abbiamo visto come sia possibile redimere il lavoro vedendolo come servizio a Dio e agli altri, a partire dallo studio di Genesi 1 e 2. Abbiamo anche visto come Dio stesso si mette al lavoro e abbiamo tratto dalla Parola alcuni insegnamenti su come un cristiano dovrebbe comportarsi al lavoro.

Abbiamo potuto anche approfondire a coppie o in piccoli gruppi la condivisione delle nostre difficoltà e sfide, pregando gli uni per gli altri. Ovviamente non sono mancati momenti divertenti, sia nel tempo libero facendo una passeggiatina fino al bar più vicino per la scorta giornaliera di caffeina sia giocando e mangiando cioccolata il sabato sera.

Cross-current ci ha permesso di non sentirci gli unici salmoni del mare, aiutandoci a creare relazioni profonde con ragazzi e ragazze che vivono le nostre stesse sfide, in modo da avere la giusta energia e il giusto incoraggiamento per risalire la corrente. Il weekend a Bobbio è stata un’occasione di rimettere in chiaro chi è Dio e come Lui realmente è, basandosi in primis sulla Sua natura e sulla Sua Parola, fornendo così una prospettiva biblica e positiva del lavoro. Ci ha ricordato quali sono i nostri obiettivi principali come cristiani: amare Dio con tutto il nostro cuore e tutta la nostra anima, con tutta la nostra mente e con tutte le nostre forze (Deuteronomio 6:5) e amare gli altri come noi stessi (Levitico 19:18).

Il primo weekend di Cross-current Italia ci ha anche fornito strumenti pratici da mettere in atto tutti i giorni per vedere la potenza di Dio e la Sua gloria realizzarsi anche nei nostri posti di lavoro. Insomma, ci ha dato la giusta determinazione e testardaggine per riuscire ad arrivare alla fine della corsa.

Infine, ma sicuramente non ultimo per importanza, Cross-current ha fornito a tutti noi degli spunti per amare veramente i nostri colleghi, i nostri responsabili e il nostro lavoro, proclamando la salvezza per grazia nel sangue di Gesù tramite una testimonianza realistica e coerente portata avanti giorno dopo giorno.

Cross-current Italia, quindi, pur essendo appena cominciato, si è già dimostrato come la risposta a una preghiera che non avrei mai saputo esternare a Dio… perché la verità è che dopo la laurea non sapevo nemmeno io di cosa avrei avuto bisogno!

Tutto ciò che sapevo era che volevo seguire Cristo anche lavorando e Cross-current aveva un profumo di Casa, proprio come la foce dei fiumi per i salmoni. È stato un grande incoraggiamento per me e sono certa che anche i miei compagni cross-currentisti la pensino allo stesso modo!

Alessandra Rositani
(laureata GBU Torino)

 

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Anche quest’anno, nonostante la pandemia, non abbiamo voluto rinunciare al prezioso weekend di Formazione GBU nel quale giovani studenti disposti a servire Dio nel contesto universitario si riuniscono per ricaricarsi spiritualmente e iniziare insieme il nuovo anno. È un’occasione di crescita spirituale e formazione sia per “nuove leve” sia per studenti “più rodati”.

Vediamo infatti qui di seguito riportate le testimonianze di due studenti: Federico Beccati, alle prime esperienze nel mondo GBU nonché nuovo coordinatore a Torino, e Alice Novaria, coordinatrice già testata e affezionata ormai da anni a questa missione.

Federico scrive:

Grazie a Dio ho avuto la possibilità di partecipare quest’anno, per la prima volta, alla Formazione GBU. È stato bello e incoraggiante vedere coetanei universitari di altre città italiane pronti e disponibili a servire Dio anche nel contesto dei nostri atenei. Grazie ai coordinatori più esperti ho avuto la possibilità di ottenere consigli pratici e spirituali per iniziare questa esperienza secondo la volontà di Dio.

Inizialmente ero titubante su come io, con la mia inesperienza, potessi essere d’aiuto nella visione del GBU, cioè quella di “condividere Gesù da studente a studente”.

Invece Dio ha risposto ai miei dubbi sin dal primo giorno con lo studio del libro di Aggeo, un testo meraviglioso che tratta la devastazione in cui viveva il popolo di Israele dopo il ritorno a Gerusalemme dall’esilio, ma in cui Dio dà una speranza: “Io sono con voi, dice l’Eterno” (Aggeo 1:13) e Aggeo profetizza la gloria del Signore con la venuta di Gesù Cristo. Grazie allo studio di questo libro ho compreso appieno come ogni cosa deve essere affidata nelle mani di Dio e come noi coordinatori siamo chiamati, nel nostro compito, ad avere come unico obiettivo quello di glorificarLo e far conoscere agli altri il Suo Vangelo.

Come ho ripetuto spesso nei giorni successivi alla Formazione, non ho mai ricevuto così tanti input di crescita spirituale come in quel fine settimana. Grazie ai seminari sull’evangelizzazione, tra cui cito quello riguardo a “Condividere il Vangelo leggendo la Bibbia con un amico”, ho trovato la spinta per combattere la timidezza e accettare quel compito di evangelizzazione lasciato da Gesù dopo la Sua risurrezione.

Inoltre abbiamo visto come noi coordinatori siamo chiamati a essere dei leader, non secondo il mondo, bensì secondo Gesù Cristo. Essere un leader è quindi essere un servo che si sacrifica per gli altri, che ha una vita radicata nella Parola e che è di incoraggiamento e di crescita per gli altri membri del gruppo.

Anche se le restrizioni imposte dal Covid hanno ridotto le nostre interazioni, è stato bello incoraggiarci a vicenda per questo nuovo inizio delle attività, pieno di incertezze. Grazie ai momenti di preghiera, ci siamo sostenuti e continueremo a sostenerci a vicenda in quest’anno accademico; infatti, durante questo weekend abbiamo condiviso gli uni con gli altri preoccupazioni, incoraggiamenti e soggetti di preghiera che hanno rafforzato il legame che si era formato tra tutti i membri.

Concludo ringraziando lo Staff del GBU che ha reso possibile la Formazione e li ringrazio personalmente perché questa opportunità che mi è stata data sta mostrando cosa Dio ha in progetto per la mia vita e conferma il versetto che dice:

“Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti insegna per il tuo bene, che ti guida per la via che devi seguire.”
(Isaia 48:17)

Alice scrive:

Quest’anno Dio ha risposto grandemente al mio desiderio di concludere un lungo percorso universitario con ciò che più per me è importante: condividere il messaggio del vangelo.

Il GBU è sempre stato un ottimo mezzo per far questo e Dio quest’anno ha riaperto per noi una strada a Urbino, città universitaria priva di qualsiasi testimonianza evangelica.

Infatti, dopo un paio di anni dove il GBU si è fermato per mancanza di “forza studenti”, siamo tornati e ciò mi riempie di gioia. Ho avuto così l’opportunità di partecipare, dopo anni, alla Formazione GBU. Questo weekend è stato un tuffo nel passato, ha suscitato in me molti ricordi e lo ammetto, anche un po’ di nostalgia. Sono stata sorpresa nel vedere un consistente “cambio generazionale” e alcuni amici di vecchia data.

Abbiamo studiato Aggeo, un libro che non ho mai approfondito personalmente. Penso che Dio ci abbia voluto equipaggiare così quest’anno, ricordandoci che LUI È E SARÀ CON NOI SEMPRE. Lo sarà anche quando saremo scoraggiati, anche quando tutti gli sforzi fatti sembreranno inutili o privi di senso perché l’opera è sua, non nostra.

Altro grande insegnamento che porto a casa e che mi ha colpito tanto è l’esempio di Aggeo e del suo “servizio nascosto”. Nonostante il libro che abbiamo studiato porti il suo nome, Aggeo sembra quasi essere una comparsa e non il vero protagonista della storia, come invece si potrebbe supporre. Aggeo riportò fedelmente il messaggio di Dio, non aggiunse e non tolse nulla alle Sue parole, fu solo uno strumento nelle Sue mani. L’insegnamento che ne deriva per me è quello di umiltà e fedeltà a Dio.

Questa è una riflessione scaturita da un semplice intervento durante una discussione biblica avvenuta durante il weekend. Lo voglio specificare perché credo che la Formazione GBU sia un tempo ricco di stimoli e che ogni momento possa essere potenzialmente determinante per la propria crescita spirituale. In tutte le Formazioni a cui ho partecipato ho riscontrato sempre grande voglia di condivisione e di scambio. Anche nei pochi momenti “liberi”, tra un seminario e l’altro o a fine serata è stato bello vedere come Gesù fosse il centro dei nostri  discorsi, la nostra priorità.

Sempre a questo riguardo, quello che pensavo sarebbe stato un limite di questa Formazione – stare sempre con la stessa persona in camera e a cena causa Covid – si è rivelato per me di grande benedizione: nella maggiore intimità delle conversazioni ci siamo incoraggiati a vicenda e abbiamo avuto l’occasione di stringere rapporti più forti. Dio ha guidato tutto anche in questo.

Mi è stato inoltre di grande utilità il seminario “Come preparare un intervento evangelistico” nel quale abbiamo avuto anche occasione di fare esercitazioni pratiche. E che dire della serata di preghiera, degli studi induttivi a gruppetti, dei focus di riflessione sul ruolo del coordinatore, dei “pranzi con”…

Penso che ora, così equipaggiati, non ci rimanga altro che rispondere con coraggio alla chiamata del nostro Signore:

“Mettetevi al lavoro! perché io sono con voi” (Aggeo 2:4)

 

Federico Beccati
(Coordinatore GBU Torino)

Alice Novaria
(Coordinatrice GBU Urbino)

Tempo di lettura: 2 minuti

È la terza volta che partecipo alla Festa GBU.

È sempre un’opportunità speciale di crescita spirituale e personale, oltre che un’occasione per ritrovare amici da tutta Italia.

Quando sono state aperte le iscrizioni qualche mese fa, non ho esitato a iscrivermi, e non ero il solo! Vari ragazzi del nostro gruppo di Torino si erano iscritti, anche perché ci saremmo dovuti occupare del famoso BAR! Eravamo eccitati all’idea e stavamo incoraggiando anche i nuovi membri del gruppo a venire con noi.

Purtroppo, però, a un certo punto è arrivata la mail che non avrei voluto ricevere…

Niente Festa per colpa del Coronavirus, tutto rimandato al 2021. È stato un dispiacere, ma la mail diceva anche che ci saremmo incontrati comunque online. Non avevo grandissime aspettative, ma è stato incoraggiante constatare che avremmo avuto modo di fare qualcosa nonostante le difficoltà del periodo.

Pochi giorni prima dell’inizio della festa, ho visto il programma e mi son dovuto ricredere perché non mi aspettavo fosse così ricco. Era quasi come il programma di un giorno alla vera Festa, ospite speciale compreso! Wow! Così ho avviato l’iscrizione e mi son ritrovato a scegliere quali seminari seguire: anche quest’anno c’erano varie opzioni piuttosto interessanti.

Poi è arrivato il 25 aprile, il gran giorno.

Ho partecipato a tutti gli eventi e ne sono stato davvero colpito: non mi aspettavo di vedere così tanti studenti collegati insieme! Il messaggio iniziale e i seminari mi hanno fatto riflettere sul mio futuro, mi hanno aiutato a rimettere a fuoco le priorità, mi hanno incoraggiato a progredire nella ricerca della volontà di Dio per la mia vita e mi hanno spinto a coltivare la vita di preghiera in modo da poter sperimentare la presenza e potenza di Dio in ogni situazione. Come ogni anno, mi ha arricchito il fatto di potermi confrontare con altri studenti che combattono battaglie simili alle mie, l’ho apprezzato molto.

È stato un privilegio anche poter assistere all’intervista a Lindsay Brown, una mente davvero brillante.

Ma i momenti che mi hanno colpito di più sono stati l’incontro di preghiera e il discorso conclusivo di Johan. Durante le preghiere si percepiva l’unità nello Spirito di tutti i partecipanti (circa 80) nonostante la distanza!

Invece Johan mi ha fatto commuovere quando parlato del periodo in cui nacque il GBU in Italia 70 anni fa e ci ha fatto vedere alcune foto storiche, oppure quando ha fatto vedere la foto della scorsa Festa GBU. Le prime mi hanno fatto sentire parte di un’opera e di un servizio per il Signore che va avanti da molto tempo; sono profondamente onorato di poter collaborare con il GBU e sono contento di vedere come Dio continui a benedire i nostri gruppi e a usarli come strumento per portare degli studenti a Lui. La seconda invece ha suscitato in me tanta nostalgia di quei bellissimi momenti!

Dopo la chiusura della videochiamata ho scoperto che non ero stato il solo di Torino a essersi commosso e che eravamo tutti entusiasti e desiderosi di poter avere altri incontri del genere in futuro.

Per me la Festa GBU online è stata una boccata d’aria fresca in questo periodo di reclusione in casa. Spero tanto di poter partecipare dal vivo alla Festa del prossimo anno!

 

Luca Montaldo
(coordinatore GBU Torino)

Emilio Grosso
Tempo di lettura: 2 minuti

Emilio Grosso è tornato alla casa del Padre. Come credenti sappiamo che chi si addormenta nel Signore ha chiuso gli occhi alla sofferenza e li ha aperti ad una dimensione eterna, riconciliata nell’amore di Dio. Ma la rottura del legame personale e umano produce sofferenza e questo lutto è reso particolarmente doloroso dalle limitazioni sociali e dalle norme in vigore che riducono la possibilità alla famiglia ristretta ed allargata di essere fisicamente vicine nel momento del commiato.

Emilio Grosso con la moglie Elaine

Emilio Grosso con la moglie Elaine

L’intero movimento GBU perde un testimone della seconda generazione, cioè uno di quegli studenti universitari che completò i suoi studi negli anni ‘60 e che mantenne nel corso della vita un forte legame affettivo e spirituale con esso, rivestendo ruoli di responsabilità di primo piano, sia incoraggiando la testimonianza degli studenti evangelici nelle università, sia come sostenitore del movimento nazionale che come socio fondatore, nel 1988, dell’Associazione “Amici della Sala di lettura GBU” di Roma, ma anche svolgendo un servizio tanto discreto quanto prezioso per le Edizioni GBU, sino alla fine dei suoi giorni.

E sino alla fine ha incoraggiato le nuove leve, lasciando ogni qualvolta gliene si offrisse l’opportunità, una testimonianza di quel suo iniziale coinvolgimento negli anni giovanili. La sua passione per il Vangelo, la sua generosità, il suo amore per lo studio e l’approfondimento del testo biblico, rimarranno una preziosa eredità e ci lasceranno la responsabilità di essere all’altezza del suo esempio. Ci stringiamo in queste ore ad Elaine, Claudia e Andrea: a chi ha perso un marito e padre devoto, a tutti i congiunti che avevano in Emilio un punto di riferimento come fratello, come zio, come nonno, di tutti loro possa il Signore consolare i cuori.

Ci stringiamo alla famiglia Grosso e a quanti stanno ricordando Emilio con amicizia, affetto fraterno e commozione. Emilio ha ora attraversato la realtà descritta dai versi dell’inno conosciuto in italiano col titolo “Resta con me Signore il di’ declina”:

Hold Thou Thy cross before my closing eyes;
Shine through the gloom and point me to the skies.

Heaven’s morning breaks, and earth’s vain shadows flee;
In life, in death, O Lord, abide with me.

Invochiamo in queste ore il conforto e la presenza di Colui che “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore…” (Apocalisse 21,4)

 

Davide Maglie (Presidente GBU),
Johan Soderkvist (Segretario Generale GBU),
Maria Giulia Verga (Presidente Ass. Amici Sala di Lettura GBU)
e Giacomo Carlo Di Gaetano (Direttore Edizioni GBU)

Invitiamo chi volesse, di visitare la pagina http://www.inmemoriamemiliogrosso.it/ e lasciare traccia del proprio ricordo.

Tempo di lettura: 6 minuti

di Luca Basta

Gran parte della popolazione mondiale è alle strette per il rapido diffondersi della malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2 (o semplicemente COVID-19). In mezzo alle difficoltà e alla sofferenza che il contagio sta causando, questa domanda sorge naturale.

Dio ha creato i virus, come parte di una creazione buona e perfetta

I virus sono fondamentali per l’abbondanza e la diffusione della vita che vediamo sulla terra. Infatti, sappiamo bene che la vita di ogni complesso organismo multicellulare, dipende dalla convivenza con un’altra forma di vita molto semplice: i batteri. E questi devono essere costantemente presenti in una certo numero equilibrato e una diversità ottimale. Una funzione estremamente benefica dei virus è quella di mantenere la popolazione batterica sotto controllo. Senza l’azione di frammentazione e uccisione dei batteri da parte dei virus, che
avviene costantemente al giusto rate e nelle giuste condizioni, il nostro pianeta sarebbe un informe ammasso di batteri, che consumerebbero tutte le risorse essenziali per la vita (prima di morire essi stessi).

Virus e batteri sono anche parte del ciclo dell’acqua, che molti ricordiamo dalle scuole elementari. L’avanzato livello di globalizzazione
dell’umanità sarebbe impossibile senza che il ciclo dell’acqua provvedesse abbondanti e costanti precipitazioni. Ma pioggia, nebbia, neve, grandine e nevischio, ogni tipo di precipitazione, richiede un microscopico “seed”, un centro di nucleazione, per formarsi. E nella maggior parte delle situazioni, i nuclei più importanti sono proprio virus e frammenti di batteri distrutti dai virus. Il vento porta questi nuclei in atmosfera, dove intorno ad essi si formano dei piccoli cristalli di ghiaccio. L’acqua liquida poi si aggrega nel cristallo, e questi cristalli diventano pioggia, neve, o altro. Anche granelli di polvere o fuliggine possono fungere da nuclei, ma virus e batteri ne permettono la formazione già ad una temperatura più alta. Dovendo contare solo sul particolato (senza virus) non avremmo sufficienti precipitazioni per
sostenere la nostra agricoltura e perciò la nostra civilizzazione.

Infine, virus e batteri sono fonte di carbonio, che è la sostanza alla base di ogni struttura organica, e quindi della vita sulla terra. Precipitando (come visto prima) virus e batteri si raccolgono sulla superficie degli oceani, per poi lentamente scendere nelle profondità marine. Mentre affondano, sono una fondamentale fonte di nutrienti sia per la vita nelle profondità oceaniche che  per la vita dei fondali acquatici (alghe, molluschi, artropodi, ecc..). Infine il movimento delle placche tettoniche sottomarine porta la maggior parte di questa sostanza carboniosa nella crosta e nel mantello terrestre, per tornare in atmosfera tramite violente eruzioni vulcaniche. Questo ciclo permette quindi sia la attuale diversità animale che il bilanciamento di anidride carbonica e metano in atmosfera, indispensabile per la vita.

Possiamo veramente lodare Dio per la bellezza della Sua creazione (SALMO 104:13 – “Egli [Dio] annaffia i monti dall’alto delle sue stanze; la terra è saziata con il frutto delle tue opere”) e comprendere perché Dio stesso la veda buona (GENESI 1:31 – “Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”).

Virus e batteri letali sono una conseguenza della caduta dell’uomo, del peccato

Se solo avessimo sempre seguito le indicazioni di igiene e salute elencate nell’Antico Testamento, molto probabilmente non avremmo mai dovuto combattere contro virus come l’HIV, la SARS-1, il MERS, ed infine la SARS-CoV-2 (responsabile della COVID-19). Questi infatti sono tutti virus presenti solo negli animali, che hanno poi “saltato” dalla loro specie di origine all’uomo.
Questi salti sono molto più probabili in presenza di una densità di popolazione esagerata e/o la presenza di animali selvatici a stretto contatto con addensamenti di popolazione. Più siamo addensati, più aumenta lo stress sia dell’uomo che degli animali, e più aumentano le possibilità che un virus potenzialmente benigno possa mutare in un virus letale per l’uomo. Per prevenire una pandemia di questo genere dovremmo drasticamente cambiare il modo in cui gestiamo e commerciamo i nostri animali domestici, per minimizzare il loro stress, il loro
sovraffollamento e il contatto con addensamenti umani. Allo stesso tempo minimizzare lo stress e massimizzare la salute, il benessere fisico e l’igiene dell’uomo, specialmente tra i poveri, è estremamente importante. Dio ci ha originariamente posti nel giardino dell’Eden come curatori della Sua perfetta creazione, per averne cura e farla prosperare (GENESI 1-2), non per abusarne e sfruttarla all’estremo come stiamo facendo da secoli.

Un esempio di come l’uomo non abbia prestato attenzione al suo ruolo di curatore della natura lo ritroviamo nelle zanzare. Si stima che le zanzare nell’antichità occupassero solo il 10% della superficie terrestre, pulendola dai detriti organici (escrementi degli animali di piccola taglia) e provvedendo nutrimento per molte specie acquatiche di acqua dolce. Poi, l’addomesticamento e il conseguente sovraffollamento degli animali, insieme alla massiccia deforestazione, alla capillare irrigazione e al recente riscaldamento globale, hanno portato alla proliferazione delle zanzare, e delle relative malattie trasmissibili. Ora le zanzare occupano il 99% della superficie terrestre.

Inoltre, a causa del peccato dell’uomo, l’intera Creazione è stata maledetta (GENESI 3:17-19 – “il suolo sarà maledetto per causa tua; ne
mangerai il frutto con affanno tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto
”) e la morte e la rovina, la degradazione degli esseri viventi ha avuto inizio (ROMANI 5:12 “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”)[a]. Calvino scrive: “Prima della caduta il mondo era la migliore immagine possibile del delizioso divino favore paterno di Dio verso l’uomo. Ora, in ogni elemento, percepiamo la maledizione conseguente al peccato. […] Perciò, possiamo dedurre, che la corruzione deriva dal peccato.” E le osservazioni scientifiche a riguardo sono perfettamente consistenti con il concetto che molte infezioni sono il prodotto di cellule sane che si sono rotte e degradate.

Queste imperfezioni biologiche non sono un’evidenza contro l’esistenza di un Creatore, quanto piuttosto supportano l’affermazione biblica che il peccato dell’uomo abbia causato l’inizio della degradazione della Creazione.

Alcuni esempi sono i batteri Vibrio e Bacillus anthracis. I batteri Vibrio, alcuni dei quali responsabili del colera, producono molecole che interagiscono specificatamente con l’epitelio (la pelle) di pesci e calamari permettendo la bioluminescenza di cui hanno bisogno per cacciare e nutrirsi. Le proteine dei batteri Vibrio diventano fattori virulenti solo in ambienti per loro inappropriati come il corpo umano. L’antrace è un’infezione acuta causata dal batterio Bacillus anthracis. Tutti i ceppi virulenti del B. anthracis presentano due plasmidi[b]: uno, il pXO1, è
portatore del gene necessario alla produzione della tossina causa dell’antrace, l’altro, il pXO2, contiene i geni necessari per incapsulare il batterio e permettergli di entrare nell’organismo umano. Senza questi plasmidi il B. anthracis sarebbe inoffensivo e indistinguibile dagli altri ceppi non virulenti. La sequenza del plasmide pXO1 è stata pubblicata nel 1999 e si è rivelata essere circa 400 nucleotidi più corta della media dei geni di un cromosoma. Questo ed altri dettagli scoperti nel genoma sono consistenti con un danneggiamento a causa di una puntuale mutazione degradante, che ha reso un innocuo batterio un killer inarrestabile.

Anche la Natura sarà redenta in Cristo

Anche nel buio di questa triste realtà, però, brilla una speranza che non può essere sopraffatta neppure dal peccato né dalla morte. La Bibbia afferma che in Cristo, esattamente come noi, anche la Natura sarà redenta. Il suo carattere perfetto e buono sarà ripristinato. E resterà stabile in eterno, nelle mani del suo Creatore.

«Infatti, i nuovi cieli e la nuova terra che io
sto per creare
rimarranno stabili davanti a me», dice il SIGNORE
ISAIA 66:22


Note

[a] Alcune interpretazioni vedono la morte degli animali e delle piante fondamentale per il giusto equilibrio della Creazione, già prima della caduta, e questi passi si riferirebbero alla morte spirituale dell’uomo. Anche in questo caso, a mio parere, rimane consistente affermare che la degradazione dovuta alla corruzione dell’informazione genetica sia il risultato della corruzione conseguente al peccato, e non già parte di una buona e perfetta Creazione originale (Si veda in proposito H. Blocher, La creazione, l’inizio della Genesi, Edizioni GBU, 1984.

[b] I plasmidi sono piccoli filamenti circolari di DNA capaci di replicarsi in modo indipendente dal cromosoma principale del batterio. Essi sono estremamente utili: alcuni ceppi di Pseudomonas presentano plasmidi che producono geni necessari per il metabolismo del toluene e altre sostanze chimiche tossiche, favorendo in tal modo la bonifica di ambienti inquinati. Le specie di Rhizobia presentano plasmidi che permettono ai batteri di vivere in simbiosi con legumi come piselli e fagioli, provvedendo una tale abbondanza d azoto alle piante ospiti, che queste lo depositano nel suolo, a disposizione di altre specie vegetali, favorendone la crescita.

Riferimenti

K. Deyoung – The Coronavirus Is a Result of the Fall. https://www.thegospelcoalition.org/blogs/kevin-deyoung/the-coronavirus-is-a-result-of-the-fall/
H. Ross – Viruses and God’s Good Designs. https://reasons.org/explore/blogs/todays-new-reason-to-believe/read/todays-new-reason-to-believe/2020/03/30/viruses-and-god-s-good-designs?fbclid=IwAR2G5Tifuz0pm3NnVKpQ2kcm32xvysUoNi6Nj_Ck7JKz2SeqWuWNp8HhtlQ
F. Rana – Viruses and God’s Providence Revisited. https://reasons.org/explore/blogs/todays-new-reason-to-believe/read/tnrtb/2009/11/26/viruses-and-god’s-providence-revisited
B. Thomas – Where Did Flesh-eating Bacteria Come From? https://www.icr.org/article/where-did-flesh-eating-bacteria-come-from/
T.C. Wood – The Terror of Anthrax in a Degrading Creation. https://www.icr.org/article/312/
T.C. Winegard – The Mosquito: A Human History of Our Deadliest Predator. https://www.vox.com/the-highlight/2019/8/13/20754834/mosquitoes-blood-type-zika-dengue
C.S. Lewis – La mano nuda di Dio. Uno studio preliminare sui miracoli, Edizioni GBU, 1987.

Luca Basta è laureato in Fisica della Materia presso l’Università di Pisa. Ora sta completando il suo Perfezionamento (Dottorato di ricerca) in Nanoscienze presso la Scuola Normale Superiore; è anche uno dei coordinatori GBU di Pisa.

L’articolo Dio ha creato virus e batteri che possono rivelarsi letali per l’uomo? proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/dio-ha-creato-virus-e-batteri-che-possono-rivelarsi-letali-per-luomo/

Passi per l'approccio induttivo alla lettura della bibbia
Tempo di lettura: < 1 minuto

TV accese tutto il giorno, un episodio dopo l’altro su netflix, whatsapp instagram, e perfino il buon vecchio facebook… tutto nella speranza che questo virus passi presto.

Si, qualche lezione online e magari un paio di ore di studio al giorno. Ma, in che altro modo usare il tempo visto che restiamo a casa? Potrebbe essere l’occasione buona per fare quello che hai lasciato un po’ da parte per mancanza di tempo.

E fra hobby e workout casalinghi, potrebbe esserci anche il tempo di indagare, di investigare il bestseller di tutti i tempi.

La buona notizia è che ciò è possibile, e… adesso hai il tempo per farlo!

Se non hai una bibbia cartacea, scarica una delle tante applicazioni gratuite ai link qui sotto e inizia a leggerla.

Come per ogni altro libro vogliamo capire cosa dice, cosa significa e cosa cambia, ovvero le implicazioni.

Abbiamo preparato un mini-corso di quattro puntate per spiegarti come leggere la bibbia con un approccio induttivo. Spiegheremo i passi dell’approccio induttivo che usiamo nel GBU e troverai dei video di 4-5 minuti in cui mostriamo ogni singolo passo applicandolo al vangelo secondo Giovanni.

Fissa un momento specifico della giornata, metti un promemoria e per 15 minuti al giorno, leggi e usa il metodo induttivo su un capitolo del vangelo di Giovanni insieme a noi o ancora meglio insieme a un amico.

Indaghiamo insieme il libro dei libri per conoscere meglio Gesù, l’unico che dona speranza certa.

Visita la pagina e segui il mini-corso online
Lutero e l'epidemia
Tempo di lettura: 3 minuti

Lutero e l'epidemia: La fede ai tempi del coronavirus

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C.S. Lewis nelle sue conferenze sulla sofferenza (The problem of pain – 1940; tr. it. Il problema della sofferenza – 1988) affermò che la sofferenza potrebbe essere considerata come una sorta di megafono con cui Dio cerca di parlare e a un mondo sordo ai suoi richiami.

Il regista Richard Attenborough, trasponendo cinematograficamente in Shadowlands (Viaggio in Inghilterra, 1983) un altro scritto dell’apologeta inglese Diario di un dolore (tr. it. 1990) in cui questi raccoglieva il suo calvario interiore per la morte della moglie Joy, metteva giustamente in contrapposizione la fulgida certezza della metafora riportata sopra con lo sconforto provato dallo scrittore dopo che quel megafono gli aveva strillato nelle orecchie, privandolo della moglie.

In quella vicenda la sofferenza era espressione di quello che i filosofi chiamano male naturale, il male come si manifesta nelle pieghe di una natura matrigna. È difficile (anche se non impossibile), in quei casi, pensare a un Dio che ti voglia parlare usando quel tipo di megafono.

La stessa condizione vivono sicuramente tutti coloro che nella pandemia che stiamo soffrendo stanno sperimentando il lutto e le separazioni (al 28 marzo, almeno in Italia, i morti sono ben 9134)!

Tuttavia la pandemia presenta un altro aspetto, non meno inquietante, del male naturale: esso è rappresentato dai miliardi di persone che, per evitare il contagio, sono costrette a vivere il distanziamento sociale; in pratica a recludersi e a immaginare il male che vaga nei dintorni della propria casa, cercando di intrufolarvisi ogni volta che si tocca una maniglia …

È pensando a questa massa enorme di donne e di uomini che è stato assemblato il libro che presentiamo dal titolo Lutero e la pandemia. La pandemia scopre la nostra fragilità di uomini minacciati da un elemento naturale che non si presenta, almeno non direttamente, con i contorni della tragedia diretta, improvvisa o deturpante come può essere un terremoto o un cancro. La scoperta della nostra fragilità avviene nel lento scorrere del tempo in quarantena, mentre i mezzi di comunicazione ci mettono al corrente dei numeri e delle notizie che rendono conto dell’ampliarsi del contagio e del restringersi dei nostri spazi vitali. In queste circostanze è possibile pensare alla sofferenza, a questo tipo di sofferenza, come a un messaggio che rintrona nelle nostre orecchie come se fosse trasmesso da un megafono, o da un altoparlante.

Dio sta parlando? Per i credenti è facile intravedere i tratti di questo discorso; lo è un po’ meno per chi credente non è. Il nostro testo vuole provare a raccogliere in uno le certezze del credente e i dubbi del non credente, rintracciando tutti i registri con i quali è possibile mettersi all’ascolto del megafono di Dio.

Queto instant book esce nel mentre l’OMS calcola che al mondo siano più di 300.000 i contagi mentre i morti arrivano a 15.000. Alcuni elementi caratterizzano il testo. Il primo è rappresentato dalla composizione: è evidente che il lbro è composto da due parti. Nella prima il fulcro è rappresentato dalla traduzione della lettera di Lutero sul comportamento dei cristiani nell’epidemia che imperversava nella seconda metà degli anni ’20 in Germania e che aveva coinvolto anche Wittenberg (Se sia lecito fuggire da una pestilenza mortale). Il testo di Lutero è preceduto da un’introduzione che ricostruisce il contesto storico e da un commento al testo medesimo da parte di uno studente di teologia ciinese della zona di Wuhan.
Nella seconda parte, segnata dal sottotitolo “la fede ai tempi del coronavirus”, sono raccolti i contributi in parte pubblicati sul nostro blog del DiRS–GBU.

Il secondo elemento che caratterizza questo libro è il fattore temporale: tutti i contributi, soprattutto quelli della seconda parte, riportano la data in cui sono stati pubblicati. Scorrendoli si ottiene una sorta di time lapse dell’esperienza della pandemia che, mentre pubblichiamo, è ben lungi dal permetterci di vedere all’orizzonte la luce in fondo al tunnel.

Nel darlo alle stampe nutriamo la fiducia che, pur nell’alternanza di certezze e interrogativi, il testo possa contribuire a farci cogliere il messaggio che Qualcuno vuole forse comunicarci.

(Giacomo Carlo Di Gaetano)

L’articolo Dio sussurra nei nostri piaceri, parla nelle nostre coscienze ma grida nelle nostre sofferenze proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/dio-sussurra-nei-nostri-piaceri-parla-nelle-nostre-coscienze-ma-grida-nelle-nostre-sofferenze/