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E’ notizia di ieri che il vescovo anglicano Desmond Tutu ha lasciato questa terra. Tutu è stata una delle figure più rappresentative del cristianesimo alla fine del secolo scorso ed ha dato un contributo importante al processo di cancellazione delle regole dell’apartheid in Sud Africa, aiutando una delle più pacifiche “rivoluzioni” avvenute negli ultime decenni.

Bisogna però ricordare che, al contrario di Mandela, Tutu è stato ed è voluto essere in primo luogo un uomo di chiesa. Formatosi nell’infanzia in un ambiente metodista (quello che in Sudafrica ha sempre avuto una posizione di netta condanna nei confronti della segregazione razziale), l’incontro con il vescovo anglicano Tom Huddleston lo avvicinò a questa denominazione e gli permise (lui proveniente da una famiglia di umili origini) un’ottima formazione teologica al King’s College di Londra.

Tornato nel proprio Paese, Tutu nel suo primo periodo ministeriale, rimase piuttosto “indifferente” alla questioni più squisitamente politiche e cercò, in una situazione di chiara difficoltà, di predicare un Vangelo che fosse separato dai problemi che iniziavano ad attraversare il Paese e che avevano esautorato la popolazione di colore da qualsiasi possibilità di decidere il proprio futuro. La sua concezione del rapporto tra Stato e Chiesa era piuttosto laica ed a favore di una separazione delle due sfere. Questo, però, non impediva un impegno nel sociale e nella ricerca di alleviare dai problemi le fasce più svantaggiate della società. 

La svolta avvenne nel 1975, quando Tutu si trovò a ricoprire il ruolo di Decano della chiesa anglicana di Johannesburg, proprio quando scoppiarono le rivolte nel ghetto di Soweto che videro come risposta una durissima repressione da parte del governo bianco. Fu in quel momento che Tutu intensificherà la sua militanza teologico-politica che lo porterà ad una dura condanna del regime di apartheid ed al tentativo di cercare di “predicare” una società dove la razza non dovesse giocare alcun ruolo. Pur propendendo per una soluzione non violenta, non respinse anche la possibilità di azioni forti da parte di coloro che erano oppressi.

Divenuto vescovo di Città del Capo (il primo vescovo di colore anglicano in Sudafrica), Tutu continuò la sua militanza ed il suo essere schierato a favore della giustizia razziale e del ripristino di un regime giusto ed uguale per tutti. Le sue battaglie di questo periodo portarono l’Accademia di Oslo a conferirgli nel 1984 il Premio Nobel per la Pace. Si trattò di una chiara scelta politica dove gli Svedesi da una parte vollero mettere pressione sul regime dell’apartheid, dall’altra decisero di scegliere un esponente che lottava per la giustizia senza però posizioni di radicalizzazione e di violenza presenti in alcuni esponenti dell’African National Congress (di cui Tutu non ha fatto mai parte) e anche da parte di alcuni esponenti di chiese che erano più radicali nelle loro scelte, forse anche perché il loro ministerio non era all’interno di chiese multirazziali come lo è la Chiesa Anglicana in Sud Africa (mi riferisco qui ad esponenti teologicamente significativi ma anche discussi come il riformato Allan Boesak).

Nel 1994, con Nelson Mandela presidente (a cui lo legherà una profonda amicizia), Tutu sarà chiamato a coordinare e presiedere la Commissione per la Verità e la Riconciliazione che doveva cercare di dare un contributo alla nascita del nuovo Sudafrica, ricordando le ingiustizie commesse, ma cercando soprattutto la pacificazione tra le diverse componenti della società della nuova nazione. Il lavoro della Commissione è diventato un modello per le transizioni pacifiche da una situazione di regime autoritario e democratico, cercando di superare il modello di semplice condanna del passato (lo stesso Tutu affermava che il tentativo è stato quello di superare il modello Norimberga, in cui coloro che avevano perpetrato il male venivano semplicemente condannati) e volendo trovare la Verità per partire da questa per una riconciliazione tra le parti senza dimenticare il passato ma andando avanti. I lavori della commissione che sono ancora oggi un modello per il dibattito democratico odierno possono essere consultati al sito https://ift.tt/32BuaUg. Nonostante gli sforzi fatti e la pubblicazione di diversi volumi da parte della Commissione, il lavoro non è stato accettato da tutte le parti, anche se ha permesso una transizione pacifica al Paese che, pur vivendo ancora oggi diverse difficoltà, è diventata una democrazia piuttosto solida. Tutu ha continuato per il resto della sua vita, anche quando si è ritirato come negli ultimi anni, a combattere per le ingiustizie nei confronti dei più deboli.

Il vescovo sudafricano è noto soprattutto per le sue azioni che per le sue idee e per questo va ricordato e può essere oggi, senza retorica, affiancato (come già in molti hanno fatto) a uomini come Martin Luther King jr per quello che ha fatto. Questo, però, non impedisce di fare una rapida analisi del suo pensiero, contenuto soprattutto in opere che sono essenzialmente raccolte di discorsi e di predicazioni. In una interessante intervista rilasciata nel 1992 a Christianity Today (consultabile al link https://www.christianitytoday.com/ct/1992/october-5/prisoner-of-hope.html), Tutu mostra come il suo pensiero ha profonde radici bibliche e, in particolare, come spesso è accaduto per pensatori che hanno collegato le loro battaglie a percorsi di liberazione, fa riferimento ai libri profetici, abbondantemente citati nell’intervista. Non manca però un riferimento alla teologia paolina della riconciliazione e del perdono che è stata alla base dell’ultima parte del suo operato e che ha avuto come frutto il lavoro della commissione succitata, ancorata a sicuri valori cristiani. Il suo percorso è sempre stato “ecumenico” (ha anche lavorato per un certo periodo per il Consiglio Ecumenico delle Chiese) ed attento alle problematiche sociali e politiche, non dimenticando però il suo ruolo pastorale che è sempre rimasto al centro delle sue idee. 

Il lascito di Desmond Tutu è importante e deve far riflettere tutti noi come il cristianesimo si possa veramente mettersi al servizio della società in cui vive per renderla migliore e più giusta, senza per questo compromettere il messaggio di redenzione. Tutu, pertanto, rimane uno dei “profeti” del nostro tempo cui bisogna guardare quando ci si vuole realmente impegnare nella società, senza per questo compromettere la propria fede ed essere fedeli testimoni dell’annuncio di Cristo.

                                                                                                                                                      

Valerio Bernardi – DIRS GBU

L’articolo Lotta, pace e riconciliazione. In ricordo di Desmond Tutu. proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/lotta-pace-e-riconciliazione-in-ricordo-di-desmond-tutu/

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Sono ormai 15 anni che collaboro con il GBU. In questi anni la nostra missione non è cambiata, ma il mondo intorno a noi sì. Comprendere questi cambiamenti ci è sempre utile per condividere il vangelo in modo efficace. Nel nostro caso, per raggiungere gli studenti di oggi.

Oggi l’università italiana cambia, ma non come organismo in sé, separato dal contesto in cui cresce e si sviluppa. Cambia in relazione a ciò che succede nel nostro paese, o, più ancora, in relazione ai venti del cambiamento che soffiano in Europa.

Circa tre anni fa sono stato invitato a prendere parte a un importante evento che si sarebbe dovuto tenere in Polonia nel 2020. Si tratta di un congresso di portata continentale che avrebbe riunito circa 1000 leader evangelici da tutta Europa. Il Movimento di Losanna, promotore e organizzatore di questo evento, esiste da quasi 50 anni per favorire l’avanzamento della missione della Chiesa nel mondo.

Ma il 2020, che è stato l’anno degli eventi cancellati, ha costretto gli organizzatori a posticipare l’evento al 2021. Infatti, forse un po’ ingenuamente (facile dirlo col senno del poi!), speravano che si sarebbe potuti tornare presto a organizzare dei grandi eventi in presenza, lusso che il coronavirus, a oggi, non ci sta ancora permettendo. Lausanne Europe 20/21, quindi, si è trasformato in un grande evento online (un altro!) che ha avuto luogo dal 17 al 20 Novembre e che ha riunito online più di mille leader da tutto il nostro continente per riflettere, pregare, imparare e progettare per l’avanzamento della missione di Cristo in Europa e fino alle estremità della terra.

Dopo il congresso globale di Città del Capo nel 2010 e il raduno di giovani leader a Jakarta nel 2016 (entrambi promossi dal Movimento di Losanna), ho avuto anche il privilegio di partecipare a questo evento, e di farlo in presenza. In che senso? Come si può prendere parte a un evento online in presenza? Beh, la risposta sta nel fatto che mi è stato chiesto dagli organizzatori di essere uno dei presentatori delle diverse sessioni, e questo richiedeva il ritrovarsi in presenza insieme a un ristretto gruppo di addetti ai lavori nella città di Southampton, nel Regno Unito, dal quale l’evento sarebbe stato “streammato”.

Gli input sono stati tanti, come ci si può aspettare da un evento di questa portata. Sul “palco” si sono susseguiti relatori diversi, che hanno portato alla nostra attenzione quelle che sono le sfide e le opportunità maggiori che la Chiesa Europea sta affrontando in questo momento e che affronterà nei prossimi decenni. Qui vorrei evidenziare tre sfide che ho trovato particolarmente rilevanti per noi che svolgiamo il nostro ministero cristiano tra gli studenti universitari:

L’Europa è sempre più internazionale e la chiesa deve rispondere a questa tendenza

Le nostre città stanno cambiando volto, tante persone da ogni parte del mondo vengono in Europa per cercare lavoro e un futuro decente. Se cambia la società, di riflesso cambia anche l’università e ne consegue che anche i nostri gruppi GBU si colorano di internazionalità. Il nostro gruppo qui a Siena (per fare un esempio) è per il 60% circa composto da studenti stranieri. Questo comporta nuove sfide, quali il doversi confrontare con culture e modi di fare diversi, svolgere gli incontri in lingua inglese, ecc. Non è sempre facile fare tutto ciò, ma è una delle sfide che siamo chiamati ad affrontare nella nuova Europa. E proviamo a fare del nostro meglio!

Dare spazio alla nuova generazione di leader

Luke Greenwood, uno dei tanti relatori, ci ha sfidati a tenere in considerazione e lasciare spazio alle prossime generazioni. Questo è sempre stato un punto forte del lavoro tra studenti, che vede i propri gruppi guidati da giovanissimi alle prime armi con il concetto di leadership. Il GBU Italia segue i propri studenti coordinatori, investe in loro, dà loro fiducia, li forma e li incoraggia nello svolgere il loro ruolo. Che privilegio poter affiancare ragazzi giovanissimi e vederli muovere i primi passi nel ministero cristiano e nella conduzione!

Dare voce a categorie di persone la cui voce è stata a lungo soppressa

Una mattina siamo stati incoraggiati (e ammoniti) ad ascoltare coloro la cui voce è stata soppressa dai cristiani europei. Tra queste, la voce delle donne che per troppo tempo è stata sovrastata da quella degli uomini. Il GBU Italia è attento a dare spazio alle donne, coinvolgendole in prima linea nel ministero tra studenti al pari degli studenti uomini (al momento, più della metà degli studenti coordinatori in Italia sono donne!). Che bello vedere studentesse fiorire e crescere, mentre mettono al servizio del vangelo i doni che Dio ha dato loro!

Che Dio benedica l’Europa, la Chiesa europea e il ministero evangelistico tra studenti universitari in un’Europa in continuo cambiamento.

Giovanni Donato
(Staff GBU Siena)

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Tra poco leggerai le ultime notizie degli studenti dei GBU di tutta Italia. Probabilmente troverai motivi di lode già letti in altri notiziari, richieste di preghiera per cui hai pregato in passato per qualche gruppo, notizie di eventi da parte di un gruppo entusiasta che, però, per te, non sono proprio una novità. Spesso infatti si tratta di attività che sono già state fatte in altre città, da altri gruppi. Attività e richieste di preghiera che tu stesso hai fatto, se sei un ex gbuino, o che conosci perché proprio nell’ultimo notiziario che hai letto, un altro gruppo GBU aveva fatto o chiesto qualcosa di simile in qualche altra città.

Ma allora perché dovresti leggere questo notiziario? Che c’è di nuovo?

Se vai di fretta non leggerlo. Potresti non trovare niente di nuovo.
Ma se dedicherai qualche minuto di concentrazione alla lettura, se presterai attenzione, potrai riuscire a cogliere lo spirito con il quale gli studenti hanno scritto queste poche righe. Potrai trovare espressioni come “super carichi”, “finalmente”, “ripartiti” che con forza esprimono tutta la gioia degli studenti di tornare a incontrarsi dal vivo, a relazionarsi con altri studenti, a organizzare eventi creativi, studi biblici, incontri di preghiera. In sintesi a Condividere Gesù da studente a studente, come si è sempre fatto, anche durante la pandemia, ma con un nuovo entusiasmo.

E quest’entusiasmo ti travolgerà!

Allora capirai che sul GBU soffia ancora quell’entusiasmo sempre nuovo, tipico delle giovani, nuove generazioni di credenti, che si rinnova di anno in anno, ma in particolare in questo anno di ripartenza post covid (si spera).
Capirai che siamo sul pezzo, che siamo carichi, e ti sentirai coinvolto, desideroso di fare qualcosa, di pregare. Lo Spirito Santo ti guiderà, ti parlerà, e con la tua preghiera e il tuo sostegno potrai continuare (o cominciare) a essere parte di questa missione, la missione del GBU, quella di far conoscere il Signore Gesù nelle Università.

Domenico Campo
(Staff GBU Sicilia)

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Secondo una vecchia teoria, già implicita negli scritti di Heiddeger sulla tecnica, e resa popolare da un noto articolo dello storico Lynn White jr., la tradizione ebraico-cristiana sarebbe la causa della crisi ambientale che stiamo vivendo.
Se l’animismo e il paganesimo promuovevano una forma di rispetto per l’ambiente basato sulla credenza che dietro gli elementi naturali ci fossero esseri spirituali, la loro sconfitta avrebbe causato la desacralizzazione di quegli elementi e la loro trasformazione in fondi da sfruttare da parte dell’uomo, principe della creazione e suo dominatore. 
Senza bisogno di analizzare storicamente la validità di questa teoria, possiamo riconoscere come una lettura quantomeno superficiale della Bibbia possa aver spinto alcuni cristiani ad assumere una condotta spregiudicata nei confronti dell’ambiente.

D’altro canto un’attenta riflessione su ciò che la Bibbia dice sul nostro rapporto con la natura rappresenta il più solido fondamento per un impegno in favore della tutela e della salvaguardia del creato.

È vero che la creazione dell’uomo ad immagine di Dio e il suo rapporto con Lui lo pongono dall’inizio della narrazione biblica su di un piano diverso rispetto al resto del creato, ma è proprio l’inizio della Genesi a suggerirci che l’uomo ha sempre avuto un ruolo di responsabilità nei confronti dell’ambiente:

“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.”  

(Gen. 2:15)

A conferma dell’alto valore che gli elementi naturali hanno nella visione del mondo cristiana possiamo ricordare che tutta la creazione è stata sottoposta agli effetti del peccato ed è in attesa del ritorno di Cristo (Rom. 8:19-23), perché “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col. 1:16).
Le moderne preoccupazioni ambientaliste non dovrebbero essere estranee a nessun cristiano che prenda sul serio le verità appena menzionate, ma c’è di più: senza Dio l’umanità rischia di perdere ogni valida motivazione per proteggere l’ambiente che non conduca all’antiumanesimo.

Senza Dio appare difficile, se non impossibile, trovare l’equilibrio tra l’antropocentrismo, che ha dato appoggio allo sfruttamento scriteriato delle risorse naturali utili allo sviluppo economico, e l’antiumanesimo, che negando all’uomo il diritto di considerarsi più importante delle altre forme di vita, lo trasforma nel problema da contenere o eliminare.
Né materialismo ateo, né moderno panteismo riescono a provvedere una soluzione al dilemma. Entrambi falliscono nel fornire un qualsiasi fondamento per l’etica, oppure finiscono per equiparare la vita umana a quella degli altri animali, se non delle piante (o dei virus!).

  • Perché dovrei preoccuparmi della sopravvivenza di qualcun altro da me?
  • Perché sarebbe sbagliato eliminare anche una piccolissima minoranza di essere umani, se ciò portasse un indubbio benessere a tutte le altre forme di vita del pianeta?
  • Perché sarebbe giusto eliminare una forma di vita come i Coronavirus?      

Domande la cui risposta sembra ovvia e intuitiva diventano improvvisamente difficili, se si esclude Dio dal quadro.

La Bibbia non risolve le questioni di etica ambientale con una forma di antropocentrismo limitato dalla legge di Dio, ma ponendo al centro di ogni cosa Cristo Gesù.

Lo scopo della creazione è glorificare Cristo, e il piano di Dio non culmina nella salvezza dell’uomo ma nell’unità di tutte le cose sotto un solo capo, Cristo Gesù (Ef. 1:9-10). 

Il cristianesimo propone un umanesimo teocentrico che assegna un ruolo speciale all’uomo e un grande valore alla sua vita, la quale però non è il fine ultimo delle cose. Gli esseri umani sono chiamati a contribuire alla realizzazione del piano di Dio, e sono chiamati a farlo anche prendendosi cura dell’ambiente.

Francesco Schiano
(Staff GBU Napoli)

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I giorni della Formazione GBU li reputo speciali.

Sono stati ricchi e benedetti perché pieni di utilità in ogni attività svolta. Il confronto e l’interazione tra i coordinatori o tra Staff e coordinatori, è stata una parte fondamentale della Formazione; quanto è importante conoscere il pensiero dell’altro, imparare dall’altro!

La Formazione non è stata solo teorica, ma anche pratica! Ogni coordinatore ha avuto la possibilità di guidare un breve studio biblico con il metodo induttivo e di ricevere degli “input” utili per l’evangelizzazione all’interno delle università.

Preziosi sono stati anche i momenti dedicati alla preghiera internazionale, rivolta a tanti fratelli e sorelle di diverse università del mondo; i seminari nei quali ci siamo concentrati a riflettere su determinate ideologie che prendono piede all’interno delle università, e di cosa la Bibbia dice al riguardo; quali possano essere i metodi per trasmettere una buona testimonianza di sé, o su quali dovrebbero essere le accortezze da avere quando si vuole iniziare a leggere la Bibbia con un amico.

A tutto ciò ha fatto da sfondo il tema della Formazione, ovvero Il tempo è vicino.

Queste parole le ritroviamo all’interno dei primi tre capitoli del libro dell’Apocalisse, un libro che, tra le tante cose, fa riferimento all’amore: l’amore di Dio che traspare nelle sette lettere inviate alle sette chiese dell’Asia minore, che sono valide anche per noi oggi.

Come coordinatore del GBU Salerno, realtà neonata, ritorno a casa soddisfatto e arricchito.
Grazie all’esperienza vissuta nella grazia del Signore ho potuto ricevere incoraggiamento, come studente universitario, guardando all’opera di Dio all’interno di altri GBU.

In questi giorni ho potuto pensare ad alcuni punti riguardanti la mia vita personale sui quali, in altre circostanze, forse non avrei mai riflettuto.

Ragazzi, Dio parla ai nostri cuori e sa benissimo quali sono i nostri bisogni, le nostre difficoltà, le nostre incertezze. Non bisogna mai smettere di avere fede in Lui perché al momento opportuno Egli risponde, al momento opportuno Lui si mostra.

Invoglio la persona che legge questo articolo ad adoperarsi nel GBU, che ha lo scopo di condividere Gesù da studente a studente. La nostra fatica nel Suo nome non è mai vana!

Infine, un grazie speciale va a tutto lo Staff GBU che quotidianamente si adopera per l’avanzamento del Regno di Dio all’interno delle università; la vostra presenza, il vostro incoraggiamento, la vostra dedizione è un qualcosa che porterò sempre nel mio cuore!

Dio ci benedica.
A Lui solo la gloria!

 

Giuseppe Ambrosio
(coordinatore GBU Salerno)

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Riapriamo i contributi del Dirs, proponendo la traduzione con questo sermone di John Stott, pubblicato con il permesso della rivista Christianity Today, che qui ringraziamo. Il 2021 è l’anno per le celebrazioni di Stott, perché cade il centenario della nascita e il decennale della sua dipartita da questo mondo. Il predicatore inglese è stato uno delle persone più influenti del panorama evangelico del XX secolo. Ha dato alla missione cristiana uno spessore culturale notevole e, oltre ad essere stato l’ispiratore del Movimento di Losanna, ha ispirato diverse generazioni di pensatori evangelici. Abbiamo scelto di celebrare questo “gigante” della fede, dando la parola direttamente a lui, proponendo una sua predicazione, in cui si vede la sua profondità e tutta la sua grandezza come uomo di fede. Riteniamo anche che lo scritto sia di estrema attualità anche oggi e che la sua lettura del mondo contemporaneo fatta in diversi suoi libri (alcuni dei quali tradotti in italiano dalle Edizioni Gbu: il testo qui presentato riecheggia sicuramente Il messaggio del Sermone sul Monte,  https://ift.tt/3AiugMr ) sia una delle più efficaci. Tale lettura del mondo moderno si allinea perfettamente a quella di un movimento che vuole portare il Vangelo nel mondo accademico. Buona lettura. (Valerio Bernardi)

Quattro modi in cui i cristiani possono influenzare il mondo

Come possiamo essere sale della terra
di John Stott.

Alienazione è in origine una parola marxista e Karl Marx indicava con essa l’alienazione dei lavoratori dal prodotto del proprio lavoro. Quando ciò che ha prodotto è venduto dal padrone della fabbrica, è alienato dal frutto del proprio lavoro. Ma al giorno d’oggi la parola alienazione ha il più ampio significato di impotenza. Ogni volta che ci si sente impotenti da un punto di vista politico od economico, ci si sente alienati. Jimmy Reid, un ben noto consigliere marxista a Glasgow e leader dei lavoratori portuali del Clydeside, quando era rettore dell’università di Glasgow, ha detto, “L’alienazione è il grido degli uomini che si sentono vittime delle cieche forze economiche oltre il loro controllo. L’alienazione è la frustrazione delle persone comuni che sono escluse dai processi decisionali”. Abbiamo una qualche influenza? Abbiamo un qualche potere? Questo è il problema.

La parola influenza può talvolta essere usata per una sete di potere auto-rerefenziale, come nel famoso libro di Dale Carnegie Come trattare gli altri e farseli amici. Ma si può anche usare per indicare il modo disinteressato dei Cristiani che rifiutano di accettare lo status quo, che sono determinati a vedere che le cose cambino nella società e che desiderano di avere una qualche influenza per Gesù Cristo. Sono senza potere? La ricerca del cambiamento sociale è senza alcuna speranza ancor prima che iniziamo? O i Cristiani possono esercitare una qualche influenza per Gesù Cristo?

C’è molto pessimismo oggi che afferra e paralizza le persone. Alzano le braccia in una sorta di sacro sgomento. La società è marcia dentro. Ogni cosa è senza speranza; non c’è nessuna speranza se non nel ritorno di Gesù Cristo. Come Edward Norman, decano della Peter House a Cambridge, ha detto una volta in un’intervista alla radio, “La gente è spazzatura”.

Ma la gente non è spazzatura. La gente è composta da uomini e donne fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Sono in realtà caduti, ma l’immagine di Dio non è stata distrutta. Sono capaci di fare qualcosa di buono? La dottrina della totale depravazione, che significa che ogni parte del nostro essere umano è stato contaminato dalla Caduta, non significa che siamo incapaci di fare qualcosa di buono. Gesù stesso ha detto che sebbene siamo malvagi, siamo capaci di fare cose buone e dare buoni doni ai nostri figli. Ora, naturalmente crediamo nella Caduta. Crediamo che Cristo è venuto di nuovo per mettere le cose a posto. Se si sviluppa una mentalità cristiana, non ci si sofferma esclusivamente sulla caduta dell’uomo e del sul ritorno di Cristo. Si pensa anche alla creazione ed alla redenzione per mezzo di Gesù Cristo. E dobbiamo permettere alla Creazione di essere, come lo è stata, qualificata dalla Caduta e la Caduta dalla Redenzione e la Redenzione dal Compimento. E la mente cristiana pensa nei termini di questo scopo totale di Dio, che include la Creazione, la Caduta, la Redenzione ed il Compimento.

Se siamo pessimisti e pensiamo che non siamo capaci di fare alcunché nella società umana di oggi, mi azzerderei ad affermare che siamo estremamente sbilanciati da un punto di vista teologico, se non addirittura eretici e nocivi. E’ ridicolo dire che i Cristiani non possono influenzare la società. E’ sbagliato biblicamente e storicamente. Il cristianesimo ha avuto una enorme influenza nella società attreverso la sua lunga e movimentata storia. Si guardi a questa conclusione di Kenneth Latourette nella sua opera in sette volumi sulla storia dell’espansione del cristianesimo:

“Nessuna vita mai vissuta su questo pianeta è stata così influente nelle vicende degli uomini come la vita di Gesù Cristo. Da quella breve vita e dalla sua apparente frustrazione è scaturita una forza più potente per la trionfante vittoria della lunga battaglia dell’uomo di ogni altra che sia stata conosciuta dalla razza umana. Da ciò milioni sono stati sollevati dall’analfabetismo e l’ignoranza e sono stati collocati sulla strada di una crescente libertà intellettuale e controllo sull’ambiente fisico. Ha fatto più per alleviare i dolori fisici della malattia e della fame di ogni altro impulso conosciuto dall’uomo. Ha emancipato milioni dalla schiavitù dei beni mobili e altri milioni dall’assuefazione al vizio. Ha protetto decine di milioni dallo sfruttamento dei loro compagni. E’ stato la fonte più fruttuosa per diminuire gli orrori della guerra e nel porre le relazioni tra uomini e nazioni sulla base della giustizia e della pace.”

Cristo e la sua chiesa hanno avuto un’enorme influenza. E se solo fossimo strenuamente impegnati per Gesù Cristo nella pienezza del nostro impegno, allora dovremmo avere ancora più influenza di quanto ne abbiamo.

Pertanto, via dal pessimismo e via anche dal cieco ottimismo, come se pensassimo che l’utopia fosse dietro l’angolo. No, i cristiani sono persone dalla mente sobria, realisti biblici, che hanno una dottrina ben bilanciata della redenzione e del compimento. Non siamo impotenti. Ho paura che siamo piuttosto spesso pigri e miopi, non fiduciosi e disobbedienti al mandato di Gesù.

Oltre la semplice sopravvivenza

Per molti di noi, i versetti di Matteo 5 diventano sempre più familiari. Vediamo la loro grande importanza oggi ed iniziamo a vederli di nuovo. Nel Sermone sul Monte, Gesù proclama, nel versetto 13: “Voi siete il sale della terra”. Versetto 14: “Siete la luce del mondo”. Versetto 16: “Così la vostra luce risplenda di fronte agli uomini, in modo che vedano le vostre buone opere e glorifichino vostro Padre, che è nel cielo”.

In tutte queste metafore del sale e della luce, Gesù insegna quale sia la responsabilità dei Cristiani in una società non-cristiana, o sub-cristiana, o post-cristiana. Mette in evidenza la differenza tra cristiani e non cristiani, tra chiesa e mondo, e mette in evidenza l’influenza che i cristiani dovrebbero avere su un ambiente non cristiano. La distinzione tra i due è chiara. Il mondo, dice, è come carne putrefatta. Ma si deve essere il sale del mondo. Il mondo è come una notte oscura, ma si deve essere la luce del mondo. Questa è la fondamentale differenza tra i cristiani e i non cristiani, la chiesa e il mondo.

Poi va dalla distinzione all’influenza. Come il sale nella carne marcia, i cristiani devono ostacolare la decadenza sociale. Come la luce nel buio prevalente, i Cristiani devono illuminare la società e mostrare una via migliore. E’ molto importante comprendere questi due stadi nell’insegnamento di Gesù. Più cristiani accettano che c’è una distinzione tra cristiani e non cristiani, tra la chiesa ed il mondo. La nuova società di Dio, la chiesa, è differente dalla vecchia società come il sale dalla carne putrefatta e la luce dalle tenebre.

Ma ci sono troppe persone che si fermano qui; troppe persone la cui sola preoccupazione è con il sopravvivere, ovvero con il mantenere la distinzione. Il sale deve mantenere la sua sapidità, dicono. Non deve diventare contaminato. La luce deve mantenere la sua brillantezza. Non deve essere soffocata dalle tenebre. E’ vero. Ma questo è semplicemente sopravvivenza. Sale e luce non sono soltanto un po’ differenti dal loro ambiente. Il sale deve essere sparso sulla carne per evitare che marcisca. La luce deve brillare nelle tenebre. Deve essere sistemata in una plafoniera e deve dare luce all’ambiente. Questo significa influenzare l’ambiente ed è piuttosto differente dalla semplice sopravvivenza.

Quattro poteri

Qual è la natura di questa influenza? Voglio suggerire alcuni modi in cui noi cristiani abbiamo potere.

In primo luogo, c’è potere nella preghiera. Vi supplico di non considerarlo un pio luogo comune. Non lo è. Ci sono dei cristiani che sono degli attivisti sociali che non smettono mai di pregare. Hanno torto non è vero? La preghiera è una parte indispensabile della vita dei cristiani e della vita della chiesa. Ed il primo dovere della chiesa verso la società e suoi leader è pregare per loro. “Esorto, dunque, prima di tutto”, scrive Paolo nella sua prima epistola a Timoteo, “a fare suppliche, preghiere, intercessioni, rendimenti di grazie per i re e per tutti quelli che sono in posizione di preminenza, perché trascorriamo un’esistenza quieta e calma, in tutta pietà e dignità”.

Se nella comunità c’è più violenza che pace, più indecenza che modestia, più oppressione che giustizia, più secolarismo che religiosità, è perché la chiesa non sta pregando come dovrebbe? Credo che nei nostri normali culti, dovremmo prendere con maggiore serietà i cinque o dieci minuti di intercessione, in cui, come comunità, ci inginocchiamo davanti a Dio e portiamo a lui il mondo ed i suoi leader, e gli richiediamo di intervenire. E lo stesso è vero nelle nostre riunioni di preghiera, nei gruppi di fratellanza, e nelle nostre preghiere private. Penso che molti di noi, me stesso incluso, siamo più provinciali che globali nelle nostre preghiere. Ma non siamo cristiani globali? Non condividiamo le nostre preoccupazioni globali con il nostro Dio globale? Dovremo esprimere le nostre preoccupazioni nelle nostre preghiere.

In secondo luogo, c’è il potere della verità. Tutti noi crediamo nel potere della verità del Vangelo. Amiamo dire “Infatti, non mi vergogno del vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rom. 1: 16). Siamo convinti della potenza del vangelo nell’evangelismo, che porta salvezza e redenzione a coloro che rispondono e credono in Gesù. Ma non è soltanto il Vangelo che è potente. Tutta la verità di Dio è potente. La verità di Dio di qualunque tipo è molto più potente delle bugie del Diavolo. Lo credete, o siete pessimisti? Pensate che il Diavolo è più forte di Dio? Pensante che le bugie siano più forti della verità? I cristiani credono che la verità è più forte delle bugie, e che Dio è più forte del Diavolo. Come Paolo scrive in II Corinzi, 13: 8: “Non possiamo nulla contro la verità, ma solo a favore della verità”. Come Giovanni ha detto nel suo prologo per il quarto vangelo: “La luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non prevaranno”. Naturalmente non possono; quella luce è la verità di Dio.

Aleksandr Solzhenitsyn, il leggendario dissidente sovietico, credeva nel potere della verità sopra le bugie. Quando ricevette il premio Nobel per la letteratura, fece un discorso intitolato “Una parola di Verità” Gli scrittori, dice, “non hanno missili da far esplodere. Non…guidiamo neanche il più insignificante veicolo di supporto. Non abbiamo nessun potere militare. Pertanto cosa può fare la letteratura di fronte all’assalto spietato della violenza manifesta?” Solzhenitsyn non dice che non abbiamo alcun potere. Dice: “Una parola di verità prevale sul mondo intero”. Se qualcuno dovrebbe chiedere una cosa del genere sono i Cristiani. E’ vero. La verità è molto più potente delle bombe, dei carri armati e delle armi.

Come vedremo il potere della verità all’opera? Persuasione attraverso l’argomentazione. Abbiamo soltanto bisogno di apologeti della dottrina nell’evangelismo che sostengano la verità del Vangelo, alla stessa maniera ci occorrono apologeti dell’etica nell’azione sociale per sostenere la verità e la bontà della legge morale di Dio. Abbiamo bisogno di pensatori cristiani che usino le loro menti per Gesù Cristo, che vogliano parlare e scrivere e parlare alla radio ed andare in televisione con lo scopo di influenzare la pubblica opinione.

Vi farò velocemente qualche esempio. Non si possono forzare le persone ad andare in chiesa facendo una legge. Non li puoi forzare a riposare la domenica. Non possiamo semplicemente citare dalla Bibbia come se così risolvessimo il problema. Ma dobbiamo portare avanti le nostre migliori argomentazioni. Dobbiamo argomentare che, psicologicamente e fisicamente, gli esseri umani hanno bisogno di un giorno di riposo ogni sette, e che socialmente è bene per la famiglia che sono separate durante la settimana di stare un giorno insieme la domenica. Possiamo essere a favore di una legislazione che protegge i lavoratori dall’essere costretti a lavorare ed incoraggi la vita famigliare. In questo esempio, non stiamo né imponendo la nostra visione cristiana, né stiamo lasciando i non cristiani soli nelle loro idee, né stiamo citando la Bibbia in maniera dogmatica. Stiamo semplicemente usando ogni argomentazione (fisica, psicologica, sociologica) per raccomandare la saggezza e la verità dell’insegnamento biblico. Perché? Perché crediamo nel potere della verità.

Se si dubita della potenza delle forme secolari delle argomentazioni per illuminare la verità biblica, allora si consideri un articolo apparso nella rivista americana Seventeen intitolato “Il caso contro la convivenza”. E’ un’intervista con Nancy Moore Clatworthy, una sociologa dell’Ohio State University. Per dieci anni, Clatworthy aveva studiato il fenomeno delle coppie non sposate che vivevano insieme. Quando aveva iniziato, era favorevole a tale pratica. “I giovani”, diceva, “ci hanno detto che è una cosa meravigliosa”. E diceva che gli credeva. Le sembrava che fosse un accordo opportuno, un passo utile nel corteggiamento in cui le coppie si conoscevano meglio. Ma la sua ricerca che comprendeva test fatti a centinaia di persone, sposate e non sposate, l’ha portata a cambiare idea. Ed è arrivata alla conclusione che convivere non stava funzionando come le coppie si aspettavano, in special modo per le ragazze. Le aveva trovate tese, timorose, guardando al di là di ogni retorica al possibile dolore ed agonia.

Clatworthy fa due considerazioni: nell’area della felicità, rispetto ed accomodamento “le coppie che convivono prima del matrimonio hanno più problemi della coppie che si sposano prima”. In ogni campo, le coppie che convivono prima del matrimonio sono in disaccordo più spesso delle coppie che non lo hanno fatto. Convivere, conclude, non risolve i problemi.

La sua seconda considerazione era sull’impegno, le aspettative che una persona ha sui risultati di una relazione. L’impegno è ciò che permette al matrimonio ed al convivere di funzionare. Ma qui sorge il problema: “Sapere che qualcosa è provvisorio, come convivere non sposandosi, influisce sul grado di impegno in esso. Così le coppie non sposate sono meno impegnate nel far funzionare e nel proteggere la propria relazione. E, di conseguenza, il 75 per cento di loro interrompono la relazione. E specialmente le ragazze sono fortemente ferite da ciò.” Conclude, “statisticamente si sta molto meglio sposandosi che convivendo, perché per le persone che sono innamorate, nulla meno di un impegno è una scappatoia.”

Ora non penso che Clatworthy sia cristiana. Il suo appello non è all’autorità della Scrittura ma ai risultati delle ricerche sociologiche. E tuttavia la sua ricerca sociologica difende l’etica cristiana e la sua applicazione all’istituzione del matrimonio. Ci ricorda che la verità di Dio ha potenza, sia nella forma biblica che non biblica.

Il nostro terzo potere è il potere dell’esempio. La verità è potente quando è argomentata. E’ ancora più potente quando è mostrare. Alle persone non occorre soltanto comprendere l’argomentazione. Gli occorre vedere i benefici dell’argomentazione con i propri occhi. E’ difficile esagerare la potenza per il bene che una famiglia realmente cristiana può esercitare, per esempio, nello sviluppo di un vicinato di case popolari. L’intera comunità può vedere marito e moglie che si amano e si onorano a vicenda, che sono devoti e fedeli l’un l’altro, e trovano compimento l’uno nell’altro. Vedono i bambini crescere nella sicurezza di una casa amorevole e ben regolata. Vedono una famiglia non ripiegata su sé stessa, ma che si volge all’esterno, che si intrattiene con gli estranei, facendoli sentire i benvenuti, mantenendo la propria casa aperta, cercando di essere coinvolti nei problemi della comunità. Un’infermiera cristiana in un ospedale: un insegnante cristiano in una scuola; un cristiano in un negozio, in una fabbrica, o in un ufficio potranno fare la differenza, per il bene o per il male.

I cristiani sono persone segnalate. Il mondo sta guardando. E il modo maggiore per Dio di cambiare la vecchia società è impiantare in essa la sua nuova società, con i suoi valori differenti, i suoi standard differenti, le gioie differenti e gli scopi differenti. La nostra speranza è che il mondo che guarda vedrà queste differenze, e le troverà attraenti, che “vedano le vostre buone opere e glorifichino vostro Padre che è in cielo” (Mat. 5: 16).

In quarto luogo, i cristiani hanno il potere di un gruppo solidale, il potere di una minoranza dedicata. Secondo il sociologo americano Robert Belair, dell’Institute for Advanced Study dell’Università di Princeton, “Non dovremo sottostimare il significato di piccoli gruppi che hanno la visione di un mondo giusto e gentile. La qualità di un intera cultura potrebbe essere cambiate quando il due per cento delle proprie persone hanno una nuova visione.”

Quella era il modo in cui agiva Gesù. Ha iniziato con un piccolo gruppo composto da solo 12 persone dedicate. Entro pochi anni, gli ufficiali romani si lamentavano che stava mettendo il mondo sotto sopra. C’è una grande necessità di gruppi di cristiano dedicati ed impegnati reciprocamente, impegnati per una visione di giustizia, impegnati per Cristo; gruppi che vogliono pregare assieme, pensare insieme, formulare politiche insieme e mettersi all’opera insieme nella comunità.

Volete vedere la nostra vita nazione essere più gradevole a Dio? Avete la visione di una nuova religiosità, una nuova giustizia, una nuova libertà, una nuova equità, una nuova compassione? Volete pentivi del pessimismo sub-cristiano? Volete riaffermare la vostra fiducia nella potenza di Dio, nella potenza della preghiera, della verità, dell’esempio, dell’impegno di gruppo, e del vangelo? Offriamo noi stessi a Dio, come strumenti nelle sue mani, come sale e luce nella comunità. La chiesa potrebbe avere un enorme influenza per il bene, in ogni nazione sulla terra, se vogliamo impegnarci totalmente per Cristo. Diamo noi stessi a lui che ha dato sé stesso per noi.

(tr. it. Valerio Bernardi, per gentile concessione di Christianity Today, articolo originale al seguente link: https://ift.tt/3ed4S2g)

L’articolo Quattro modi in cui i cristiani possono influenzare il mondo. proviene da DiRS GBU.
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di Massimo Rubboli
(già professore di Storia dell’America del Nord all’Università di Genova)


Le chiese cristiane canadesi e le scuole residenziali per le popolazioni autoctone
tra colonialismo, assimilazione, razzismo e riconciliazione

 

Nelle ultime settimane, dopo il ritrovamento nell’Ovest canadese di centinaia di resti di bambine/i e ragazze/i indiane/i in tombe anonime nei siti di scuole residenziali cattoliche (215 all’Indian Residential School di Kamloops, in British Columbia, e 715 all’Indian Residential School di Marieval, in Saskatchewan, e un numero ancora imprecisato alla St. Eugene’s Mission School nei pressi di Cranbrook, in British Columbia)[1] e gli incendi dolosi di alcune chiese cattoliche, anche i nostri mezzi d’informazione hanno reso nota una pagina tragica della storia del Canada, che non era conosciuta al di fuori dei confini canadesi.

Io ne ero venuto a conoscenza per la prima volta a fine settembre del 1989, quando al Vancouver International Film Festival vidi Where the Spirit Lives[2], un film diretto da Bruce Pittman, che raccontava la storia di una ragazza indiana che, alla fine degli anni Trenta, era stata rapita insieme ad altri da un villaggio della tribù Kainai nel sud dell’Alberta per essere educata in una «scuola residenziale» anglicana per bambini indiani. La scuola faceva parte della rete di circa 130 centri di rieducazione, disseminati in ogni provincia (ad eccezione del New Brunswick e di Prince Edward Island) e territorio [Fig. 1], creati dal Ministero federale per gli Affari Indiani – sulla base dell’Indian Act del 1876, che permetteva il controllo sulle popolazioni autoctone – allo scopo di integrare le comunità indigene (oggi designate ufficialmente come First Nations) nella società bianca anglosassone. La gestione di queste scuole era affidata alle principali chiese canadesi: la Chiesa cattolica, la Chiesa anglicana, oltre ai Metodisti e ai Presbiteriani che, nel 1925, formarono con altri la Chiesa unita del Canada.

Fig. 1 Le scuole residenziali del Canada. Fonte: Truth and Reconciliation Commission (2015)

Questa politica di assimilazione, basata su nozioni di superiorità razziale, culturale e spirituale, risaliva ai seminari per bambini indigeni create dai missionari cattolici nella Nuova Francia[3] ed era continuata sotto il dominio coloniale britannico nell’Ontario meridionale (Upper Canada). Con la colonizzazione dei territori indiani negli anni seguenti la Confederazione, il governo canadese creò un sistema di scuole residenziali che mirava ad accelerare l’integrazione dei popoli indigeni nella società dei colonizzatori bianchi. Il sistema durò fino al 1997, quando chiuse l’ultima scuola.

 

 

 

 

La revisione storiografica

Un anno prima del film di Pittman, erano stati pubblicati due testi che avevano sollevato il velo di silenzio che avvolgeva questo argomento: Indian School Days di Basil H. Johnston, che è l’autobiografia di un ex allievo, e Resistance and Renewal: Surviving the Indian Residential School di Celia Haig-Brown, il primo tentativo di ricognizione storica. Fino agli ultimi due decenni del Novecento, le informazioni erano in gran parte limitate alle testimonianze dei sopravvissuti che circolavano nelle comunità dei nativi, dei meticci e degli inuit, mentre nelle storie generali del Canada si trovavano solo riferimenti marginali alle scuole residenziali.

Da allora, l’esperienza delle scuole residenziali per nativi ha attratto sempre più l’attenzione di ricercatori, politici e istituzioni religiose e politiche. Grazie al lavoro di alcuni storici[4], che hanno lavorato negli archivi ma hanno anche raccolto le testimonianze dei sopravvissuti, la storia delle scuole residenziali è stata gradualmente inserita nella narrazione dominante della storia del Canada e questo sta producendo un cambiamento nella coscienza collettiva, anche se è difficile dire se a questa integrazione faccia seguito un processo di riconciliazione tra le comunità indigene e non indigene.

Questa tragica vicenda è stata a volte presentata come «genocidio»[5], cioè distruzione deliberata e violenta di una razza, paragonandola addirittura all’Olocausto. Si trattò di una forma di «genocidio culturale»[6] o, più precisamente, di un programma di ingegneria sociale per l’assimilazione culturale dei popoli nativi, che mirava anche a privarli dei diritti ancestrali sulle loro terre per sfruttarne le ingenti risorse. Tuttavia, il termine genocidio è usato nel diritto internazionale per definire i crimini di genocidio e tali crimini, secondo la convenzione approvata dalle Nazioni Unite, comprendono anche “il trasferimento forzato dei figli da un gruppo ad un altro” [Forcibly transferring children from the group to the other group][7].

È opportuno ricordare che il sistema delle scuole residenziali era stato già messo sotto accusa molto tempo fa. Il dott. Peter Bryce, che nel 1904 era stato nominato “ispettore medico” nei Dipartimenti dell’interno e degli affari indiani, nel 1907 visitò 35 di queste scuole e ne denunciò le pessime condizioni sanitarie e l’alto tasso di mortalità, dovuto in gran parte alla tubercolosi. Nel 1922, Bryce pubblicò Un crimine nazionale[8], ma la sua denuncia non servì a modificare la situazione.

La struttura iniziò a essere smantellata soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso e nel 1996 fu nominata una Royal Commission con il compito di investigare sulla violenza e gli abusi nelle scuole residenziali. Il governo federale, sulla base del rapporto della commissione, oltre a chiedere scusa a quanti avevano subito violenze fisiche o psicologiche nelle scuole residenziali, istituì una Fondazione per la cura degli aborigeni con una dotazione di 350 milioni di dollari. Infine, nel 2008, il primo ministro canadese Stephen Harper presentò scuse ufficiali per le scuole residenziali.

 

La posizione delle chiese

Anche le chiese che avevano gestito questo programma federale hanno preso posizione, anche se con grave ritardo, con dichiarazioni riguardanti il tentativo di imporre valori culturali europei ai popoli aborigeni e le violazioni dei diritti umani commesse nella gestione delle scuole residenziali[9].

Soltanto nel 1986, il pastore Robert Smith – moderatore della Chiesa unita del Canada – chiese scusa a nome della sua chiesa con queste parole:

Molto prima che il mio popolo arrivasse in questa terra, il vostro popolo era qui […]. Nel nostro zelo di annunciarvi la buona notizia di Gesù Cristo, siamo stati insensibili al valore della vostra spiritualità. Abbiamo confuso la cultura occidentale con la profondità e l’ampiezza del vangelo di Cristo. Abbiamo imposto la nostra civiltà come condizione per l’accettazione del vangelo […]. Vi preghiamo di perdonarci.

 

Nel 1998, il moderatore Bill Phipps ha rinnovato le scuse da parte della Chiesa unita

per il dolore e la sofferenza causato dal coinvolgimento della nostra chiesa nel sistema delle scuole residenziali indiane. Siamo coscienti di una parte del danno che questo sistema di assimilazione, crudele e mal concepito, ha provocato per le Prime Nazioni del Canada. […] Ci troviamo nel mezzo di un lungo e doloroso percorso di riflessione sulle grida che non abbiamo sentito o non abbiamo voluto sentire e su come abbiamo agito come chiesa. Mentre percorriamo questa difficile strada di pentimento, riconciliazione e guarigione, ci impegniamo a non usare mai più il nostro potere come chiesa per offendere altri con atteggiamenti di superiorità razziale e spirituale.

 

Per la Chiesa cattolica, che non fu coinvolta in quanto tale ma attraverso alcuni suoi ordini regolari, nel 1991 il rappresentante delle Oblate di Maria Immacolata chiese perdono «per essere stati coinvolti nell’imperialismo culturale, etnico, linguistico e religioso che faceva parte della mentalità con la quale i popoli europei affrontarono i popoli aborigeni». Papa Benedetto XVI, durante l’udienza privata con la delegazione dell’Assembly of First Nations del Canada svoltosi in Vaticano nell’aprile 2009, espresse soltanto “dispiacere” per il trattamento dei minori indiani nelle scuole cattoliche. Durante l’udienza del 29 maggio 2017, seguendo la raccomandazione della TRC , il premier canadese Justin Trudeau ha chiesto a papa Francesco di presentare scuse formali per il ruolo avuto dalla Chiesa cattolica negli abusi avvenuti nelle scuole residenziali. Il 28 marzo 2018, Trudeau è stato informato da una lettera di un rappresentante della Chiesa cattolica in Canada che il papa non avrebbe presentato scuse ufficiali.

Tuttavia, nei saluti del dopo Angelus di domenica 6 giugno 2021, il papa ha parlato della “sconvolgente scoperta dei resti di 215 bambini, alunni della Kamloops Indian Residential School”, avvenuta circa due settimane prima. Il papa l’ha definita una notizia scioccante, che ha traumatizzato il popolo canadese, al quale Francesco ha espresso,

così come tutta la chiesa cattolica del Canada, la propria vicinanza, affidando le anime di quei bambini morti e pregando per le famiglie e comunità autoctone canadesi affrante dal dolore. […] La triste scoperta accresce ulteriormente la consapevolezza dei dolori e delle sofferenze del passato. Le autorità politiche e religiose del Canada continuino a collaborare con determinazione per fare luce su quella triste vicenda e impegnarsi umilmente in un cammino di riconciliazione e guarigione. Questi momenti difficili rappresentano un forte richiamo per tutti noi per allontanarci dal modello colonizzatore e anche delle colonizzazioni ideologiche di oggi e camminare fianco a fianco nel dialogo e nel rispetto reciproco e nel riconoscimento dei diritti e dei valori culturali di tutte le figlie e i figli del Canada.

Ma perché Francesco non ha presentato scuse ufficiali? Perché, come ha spiegato Jeremy M. Bergen, professore associato di studi religiosi e teologici al Conrad Grebel University College dell’Università di Waterloo, in Ontario, e autore di Ecclesial Repentance: The Churches Confront Their Sinful Pasts (T&T Clark, New York 2011), esiste un importante ostacolo teologico. Infatti, in base alla teologia tradizionale cattolica, la chiesa può agire collettivamente ma,

come Corpo di Cristo, non può peccare. Soltanto i membri, compresi i leader, peccano. Quando dei cattolici fanno qualcosa di buono, ciò può essere ascritto alla chiesa; quando fanno del male ad altri, si tratta di azioni individuali. Si crede che papa Giovanni Paolo II abbia chiesto scusa per molti mali commessi dalla chiesa, ma non ha mai detto che la chiesa sia stata l’agente del peccato. Nel 2000, in un ‘Giorno di perdono’ molto pubblicizzato, chiese il perdono di Dio per migliaia di anni di peccati commessi da membri della chiesa, ma non dalla chiesa come istituzione. […] Nel 2013, l’arcivescovo di Vancouver Michael Miller ha dichiarato, di fronte alla TRC: “Voglio chiedere scusa sinceramente e profondamente […] per l’angoscia causata dalla condotta deplorevole di quei cattolici che furono responsabili di maltrattamenti di ogni tipo in queste scuole residenziali”. […] Alla stessa logica è improntata la dichiarazione fortemente inadeguata di papa Francesco sulla “sua vicinanza al popolo canadese che è stato traumatizzato” dalla recente scoperta scioccante a Kamloops. La dichiarazione colloca la chiesa come un’entità a fianco del trauma, ma non come un’entità responsabile di averlo causato. […] Una chiesa che è per definizione senza peccato è un’astrazione problematica, sganciata dalla storia e dall’esperienza. Affermazioni che si fondano su questo presupposto non sono collegate alla profonda complicità della chiesa in un sistema distruttivo. A meno che la chiesa apertamente e precisamente non riconosca la sua colpevolezza, chi potrebbe credere che la chiesa stessa possa essere un agente attivo di riconciliazione?[10]

 

Il 6 agosto 1993, Michael Peers, primate della Chiesa anglicana, chiese scusa ai nativi durante la National Native Convocation svoltasi a Minaki, in Ontario:

Accetto e confesso davanti a Dio e a voi i nostri fallimenti nelle scuole residenziali. Abbiamo mancato nei confronti, vostri e di Dio. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che abbiamo fatto parte di un sistema che tolse i vostri figli alle vostre famiglie. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che abbiamo cercato di modellarvi a nostra immagine, privandovi del vostro linguaggio e dei segni della vostra identità. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che nelle nostre scuole così tanti siano stati abusati fisicamente, sessualmente, culturalmente ed emotivamente. A nome della Chiesa anglicana del Canada, presento le nostre scuse.

 

Un anno dopo, con una dichiarazione adottata dalla 120ª assemblea generale, anche la Chiesa presbiteriana chiese perdono per il proprio coinvolgimento:

Riconosciamo che la politica ufficiale del governo canadese era quella di assimilare i popoli aborigeni alla cultura dominante e che la Chiesa presbiteriana del Canada collaborò con questa politica.

Riconosciamo che le radici del male che abbiamo fatto si trovano nelle posizioni e nei valori del colonialismo europeo occidentale e nel presupposto che ciò che non era fatto a nostra immagine doveva essere scoperto e sfruttato. […]

Chiediamo perdono per la complicità della nostra chiesa in questa politica, […] chiediamo il perdono di Dio […] e chiediamo anche il perdono dei popoli aborigeni.[11]

Le chiese battiste canadesi, divise in varie denominazioni, pur non essendo state direttamente coinvolte nella gestione delle scuole residenziali, hanno presentato le loro scuse alle popolazioni indigene. Nel 2019, Battisti della costa atlantica hanno dichiarato:

Come Battisti canadesi del Canada atlantico riconosciamo che non abbiamo vissuto in una giusta relazione con i popoli indigeni di questa terra. Mentre abbiamo affermato in teoria che tutti sono creati a immagine di Dio (Ge. 1:27), non abbiamo riconosciuto nella pratica la dignità inerente, data da Dio, dei popoli indigeni. Nonostante l’ospitalità offerta ai nostri avi, non abbiamo riconosciuto l’antica rivendicazione dei loro diritti su questa terra. Non abbiamo mantenuto le promesse fatte dai nostri antenati sotto forma di trattati, in particolare i Trattati di pace e amicizia (1725-1779). […]

Come parte della più ampia cultura canadese noi abbiamo, coscientemente e incoscientemente, difeso ingiustizie sistemiche come l’appropriazione della terra, il trasferimento forzato di comunità indigene, la creazione del sistema delle riserve e il continuo sfruttamento economico e politico. […] noi riconosciamo e confessiamo la nostra complicità nelle scuole residenziali e nel più ampio sistema di colonialismo.[12]

 

Le chiese restarono in silenzio di fronte all’usurpazione delle terre, al confinamento degli indiani nelle riserve e all’assimilazione forzata perché consideravano queste azioni necessarie alla realizzazione di un progetto politico e religioso e se stesse come le fedeli esecutrici di questo progetto. Le chiese, seppure tardivamente, sembrano aver preso coscienza che la loro partecipazione al genocidio culturale rappresentato dalle scuole residenziali vada iscritta e letta nel contesto della loro adesione e condivisione della politica coloniale canadese che, a sua volta, costituiva un’espressione di quella dell’impero britannico. In altre parole, si sono rese conto di aver indebitamente identificato il mandato ad evangelizzare con l’assimilazione alla cultura anglosassone, il vangelo di Gesù Cristo con l’ideologia dei colonizzatori.

 

 

NOTE

[1] St. Eugene’s, Marieval, Kamloops: What we know about residential schools’ unmarked graves so far, “The Globe and Mail”, 6 luglio 2021, https://www.theglobeandmail.com/canada/article-residential-schools-unmarked-graves-st-eugenes-marieval-kamloops/ (ultimo accesso 7 luglio 2001).

[2] Sull’argomento, ci sono stati poi molti altri film e documentari, come We Were Children (2012), Clouds of Autumn (2015), Wawahte. Stories of Residential School Survivors (2015) e Remembering the Forgotten Children (2017).

[3] Vedi Peter A. Goddard, Converting the ‘Sauvage’: Jesuit and Montagnais in Seventeenth-Century New France, “The Catholic Historical Review”, 84, (April 1998), n. 2, p. 225; Alain Beaulieu, Convertir les fils de Caïn: Jésuites et Amérindiens nomades en Nouvelle-France, 1632-1642, Nuit Blanche Éditeur, Québec 1990, pp. 143-145.

[4] Particolarmente rilevanti sono James R. Miller, Shingwauk’s Vision: A History of Native Residential Schools, University of Toronto Press, Toronto 1996, e John S. Milloy, A National Crime: The Canadian Government and the Residential School System, 1879 to 1986, University of Manitoba Press, Winnipeg 1999.

[5] Il termine genocidio è stato usato di recente anche nella stampa italiana, ad es. da Marco Cinque in Il Genocidio dimenticato, “Alias – il manifesto”, 10 luglio 2021, pp. 1-3. Per una prospettiva critica, vedi gli articoli di Luca Codignola, I bambini indiani morti in Canada per un tentativo di assimilazione fallito, “Panorama.it” (6 luglio 2021), <https://www.panorama.it/news/dal-mondo/bambini-indiani-morti-in-canada> (ultimo accesso 8 luglio 2001), e Jacques Rouillard, Le ‘génocide’ des Autochtones, “Le Devoir” (6 juillet 2021), <https://www.ledevoir.com/opinion/idees/615969/le-genocide-des-autochtones>.

[6] A questa conclusione è arrivata la “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita nel 2007 con il mandato di fare piena luce sulle violenze e gli abusi subiti dai minori nelle scuole residenziali e di suggerire un percorso di riconciliazione. Vedi Honouring the Truth, Reconciling for the Future. Summary of the Final Report of the Truth and Reconciliation Commission of Canada, https://publications.gc.ca/site/eng/9.800288/publication.html (ultimo accesso 8 luglio 2001).

[7] La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 9 dicembre 1948 con la risoluzione 260 A (III).

[8] Peter Bryce, The Story of a National Crime: Being an Appeal for Justice to the Indians of Canada, the Wards of the Nation, Our Allies in the Revolutionary War, Our Brothers-in-Arms in the Great War, James Hope & Sons, Ottawa 1922.

[9] Peter G. Bush, The Canadian Churches’ Apologies for Colonialism and Residential Schools, 1986-1998, “Peace Research”, 47 (2015), n. 1-2, pp. 47-70.

[10] Jeremy M. Bergen, The theological reason why the Catholic Church is reticent to apologize for residential schools, 8 giugno 2021, “The Globe and Mail”, https://www.theglobeandmail.com/opinion/article-the-theological-reason-why-the-catholic-church-is-reticent-to/ (ultimo accesso 8 luglio 2001).

[11] The Confession of the Presbyterian Church in Canada, as adopted by the General Assembly, June 9th, 1994, https://www.wmspcc.ca/wp-content/uploads/PCC-Confession-English.pdf (ultimo accesso 8 luglio 2001).

[12] CBAC Resolution and Recommended Action Items in Response to the Truth and Reconciliation Commission (2019), https://oasis.baptist-atlantic.ca/wp-content/uploads/2019/03/CBAC-Resolution-2019-in-Response-to-the-Truth-and-Reconciliation-Commission.pdf (ultimo accesso 8 luglio 2001).

 

 

 

 

L’articolo Le scuole residenziali per le popolazioni autoctone in Canada: tra colonialismo, assimilazione, razzismo e riconciliazione proviene da DiRS GBU.

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di Giacomo Carlo Di Gaetano

 

Il dibattito sul DDL Zan (n. 2005) che si propone di inserire nel nostro ordinamento “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” riporta a galla la questione dei rapporti tra chiesa e stato, fede e politica, religione e società.

 

Al di là dei tecnicismi e delle posizioni “politiche” che si palesano nel dibattito, vorrei contribuire con una riflessione che concepisco sul piano biblico–teologico. Purtroppo sono consapevole che essa potrebbe essere letta e interpretata come una presa di posizione politica (sic).

 

Vorrei sostenere la tesi che a mettere a repentaglio la liberta dell’espressione religiosa non sia tanto l’approvazione del DDL Zan quanto piuttosto il suo respingimento e, perfino, in ragione del dibattito che si è creato, la sua modifica rispetto all’assetto politico e culturale nel quale è stato concepito e approvato da un ramo del Parlamento.

 

Cerco di essere sintetico e vado dritto a uno di quei punti sui quali maggiormente sembrano appuntarsi i timori di chi è contro il DDL.
I cristiani che professano di volersi sottomettere “in materia di fede e di condotta” alla Bibbia ma anche alla tradizione o al magistero, ritengono, in virtù del disegno di creazione narrato nella rivelazione ebraico–cristiana (che assume valore di legge – naturale, di creazione, etc), che l’omosessualità come scelta di vita consaputa sia una violazione di quel disegno.

Le differenze tra il disegno di creazione e le sue violazioni (in qualsiasi campo) danno corpo alla parola “peccato” (Il peccato è la violazione della legge [di Dio], 1 Gv 3:4).

Il timore è dunque che questo passaggio del messaggio (la “predicazione” del peccato dell’uomo) che proviene dalla rivelazione ebraico–cristiana possa cadere sotto la mannaia della sanzione legale proprio in virtù dell’ampliamento di tutele che garantisce il DDL Zan. Nelle parole di un’organizzazione evangelica: “una legge non può impedire che alcuni cittadini, associazioni, chiese e gruppi sociali chiamino “peccato” e pertanto denuncino come immorale un comportamento che la loro fede e la loro coscienza ritiene tale”.

 

E questa sarebbe una limitazione della libertà di espressione religiosa. Nel dibattito si fanno una serie di altri esempi preoccupanti. Ma fermiamoci a questa semplice ipotesi.

Se dico a un mio amico, a un conoscente, a un parente che la sua condotta in ordine all’identità di genere, percepita o espressa, in relazione al suo stile di vita sessuale contrario al disegno di creazione, che sta peccando contro il Dio della rivelazione ebraico–cristiana potrei essere denunciato come qualcuno che sta istigando all’odio con l’aggravante della motivazione di genere.

 

Lo Stato deve proteggere questa mia prerogativa di cristiano: date a Cesare quel che è di Dio!

 

Se i timori fossero reali, e non è detto che lo siano, ci sarebbe da rifletterci su attentamente (non so se ci sarebbe da preoccuparsi; ma questo lo vediamo in seguito). C’è da dire che dall’altra parte, da parte di coloro che vogliono l’approvazione del DDL Zan così com’è, si tende a escludere uno scenario così restrittivo e liberticida; si fa infatti notare che tutte le leggi e gli ordinamenti discendono dalla Costituzione che sancisce la libertà per ogni cittadino di professare la propria religione.

 

Se il pericolo esista o meno, è a questo punto che deve innestarsi una riflessione biblico–teologica.

I cristiani sanno che il messaggio del Vangelo non ha la patente della simpatia, a prescindere. Anche in quella che è unanimamente considerata la parte più simpatetica del messaggio del cristianesimo, l’insegnamento di Gesù, quella parte che Benedetto Croce salvava dai “miti” e gli imponeva di poter dire che sì, non possiamo non dirci cristiani, ebbene anche lì si trovano elementi che potremmo definire controculturali, per non dire anche antipatici. Se da un lato Gesù rivelava la misericordia del Padre, dall’altro lato aveva una parola tagliente e scomoda, una vera e propria non piacevole rivelazione, sul cuore dell’uomo, sul nostro cuore.

Persone con le migliori intenzioni, confrontate con questi aspetti del messaggio evangelico, hanno tentennato e hanno preso le distanze: en passant, il giovane ricco (Mt 19), i discussant di Paolo ad Atene (At 17); il re Agrippa (At 26)

I cristiani sanno che non sono stati solo chiamati a credere in Cristo: “Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui” (Fil 1).

Dunque, il DDL Zan passa anche al Senato nel tentativo di porre argine alla violenza e alla discriminazione “omofoba” e noi rischiamo, se diciamo al nostro amico gay, che secondo la volontà di Dio è nel peccato.

Niente di nuovo sotto il sole.

Si pensi per un attimo a cosa hanno fatto a Giovanni Battista solo per aver detto a un piccolo e orgoglioso principe che non doveva andare a letto con la cognata!
Di nuovo: niente di nuovo sotto il sole se un segmento della visione del mondo cristiana cada sotto la scure dell’antipatia culturale, e peggio ancora.

 

Ma vediamo per un attimo che cosa accadrebbe nel caso contrario, vale a dire che il DDL Zan non passi, oppure venga modificato (non mi interessa il tecnicismo giuridico); che cosa accadrebbe, tra le altre cose, anzi, in modo particolare, quando devo dire al sempre caro amico gay: sei un peccatore!

In questo caso, abbiamo veramente tutelato la peculiarità, l’autonomia, e la libertà dell’espressione del linguaggio religioso?
Una serie di elementi che, a mio giudizio, vanno dal più semplice al più complesso, mi portano a dire NO: se il DDL Zan non passa, stiamo rinunciando alla nostra libertà di proclamare il messaggio cristiano nella sua interezza e in tutta libertà. Stiamo subdolamente distorcendo la straordinaria ingiunzione di Gesù: stiamo rendendo a Cesare quel che è di Dio!

 

  1. Il linguaggio religioso scade nel moralismo; la predicazione della buona notizia a causa del peccato e delle sue conseguenze diviene un habitus socialmente definibile e tutelato dallo stato. In barba a chi non è d’accordo. La peculiarità del linguaggio religioso in cui si esprime la coscienza, la rilevazione e perfino la denuncia del “peccato” viene annichilita mentre lo stesso linguaggio viene promosso al livello di moralismo e perbenismo. E si sa molto bene dalla storia che regolamenti e leggi spesso sono stati i confini di quello che socialmente e pubblicamente era ritenuto il bene e/o il male: da Socrate ad Alan Turing, senza dire dell’idea hegeliana dello “stato etico”. Quando le leggi devono tutelare il linguaggio religioso sia esso ispirato da visioni teistiche o anche da visioni atee e agnostiche, come nel caso del comunismo sovietico, allora c’è ben poca libertà di religione!

 

  1. Vogliamo Cesare. Il secondo passo è semplice: a Cesare, allo Stato, viene consegnata la garanzia della propria coscienza, vale a dire ciò che è più propriamente da offrire a Dio e solo a Dio (Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio, At 4:19), chiunque si abbia di fronte: sia esso il Sinedrio di Gerusalemme, la Dieta di Worms (Hier stehe ich, ich kann nicht anders) o una lobby o un gruppo di pressione LGBTI.

 

  1. Ma se si dà a Cesare, quel che è solo di Dio, va da se che a quest’ultimo non resta altro che prendersi quello che è di Cesare; o quanto meno è a Dio che rendiamo quello che sarebbe di Cesare. Chiedere allo Stato di garantirmi nel poter dire al mio ipotetico amico gay, sei un peccatore, significa chiedere a Dio di lasciare la sua trascendenza (a partire dalla quale egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti Mt 5) e sedersi sullo scranno dei poteri legislativi, ed esecutivi degli uomini; un tempo gli si chiedeva anche di prendere il ruolo del giudice umano … e si accendevano i roghi, se non addirittura i forni crematori (GOTT mit uns).
    Il Sermone sul Monte ci presenta al contrario una filosofia della storia in cui, paradossalmente, il Padre che è nei cieli diviene il garante dei peccatori, assicurando loro ciò che gli uomini non possono togliere: gli elementi naturali del sole e della pioggia.

Purtroppo ci sono sempre state teologie e tradizioni teologiche che pensano orgogliosamente di potersi sostituire a Dio nell’esercizio e nella gestione della “libertà di peccare”.

 

  1. Religioni (e cristianesimo) e sessualità. Tutte le religioni, mitologiche, ritualistiche, etc. si interessano della sessualità umana. La storia è piena di testimonianze che vanno dalle relazioni degli antropologi ai documenti della letteratura sull’intreccio tra sessualità umana e religione (si pensi anche al capolavoro dantesco). E ci sono molti equivoci, molte distorsioni, molti drammi …
    Il cristianesimo non è esente a questo legame tra sesso e fede, e anche la sua storia è intrisa di equivoci e brutture. Ci sono anche pagine belle (per esempio quelle in cui la relazione d’amore è stata letta in maniera analogica e ha subito il retroeffetto di questo passaggio analogico dalle parti della spiritualità).

La stessa rivelazione ebraico–cristiana si palesa a noi come un realistico affresco della bellezza e delle brutture che possono emergere dall’intreccio di religione e sesso (basti pensare al Cantico dei Cantici). Ma nella rivelazione ebraico–cristiana non mancano le sorprese.

Qui dobbiamo per forza di cose spigolare e alludere.

 

Per esempio, e molto spesso, le distorsioni nel campo della sfera della sessualità umana sono dalla Bibbia associate al tema del potere, della prevaricazione, anche di genere (del maschio sulla femmina, fin dalle prime pagine – Gen 3), quasi ad anticipare uno dei passaggi topici della riflessione queer e degli studi gender.

Non mancano le descrizioni taglienti della corruzione sessuale delle società (Romani 1 su tutte).

Ma è allorquando si passa dal piano della descrizione a quello della prescrizione (o, in alternativa, del vangelo) che si scopre quanto sia distante la rivelazione ebraico–cristiana dai moralismi degli anti DDL Zan.
Se in Romani 1 Paolo tratteggia un quadro fosco della condizione umana in cui campeggia il “contro natura” delle distorsioni della sfera sessuale, nella Lettera ai cristiani della dissoluta città di Corinto ricorda che, sebbene non ci sia da illudersi

 

“né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio (1 Cor 6)

 

Aveva già precedentemente specificato che bisognava fare una distinzione tra la prospettiva futura del regno e quella presente della storia, nella quale si muove la comunità dei discepoli di Cristo:

 

Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori; non del tutto però con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i ladri, o con gl’idolatri; perché altrimenti dovreste uscire dal mondo; ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro; con quelli non dovete neppure mangiare. Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi”

Scopriamo che la questione della confusione dei generi (contro natura) sta dentro a un grande cluster che gli autori, soprattutto neotestamentari, pongono sotto il registro della “fornicazione”, una categoria molto più ampia di ciò che viene evidenziato dalle posizioni LGBTI e che ha lo scopo di rivelare la concupiscenza del cuore dell’uomo a cui sono da ricondurre non solo i peccati della sfera sessuale ma anche tutti gli altri (la fornicazione è spesso citata con l’avarizia e anche con l’idolatria).

5. La predicazione del peccato. Tutto questo percorso ci porta al punto cruciale: in che modo i cristiani parlano di peccato? In che modo lo segnalano e lo additano?

La Bibbia rende testimonianza al coraggio della denuncia. Ma non si dimentichi che nei casi più eclatanti di denuncia del peccato sessuale (quasi sempre un adulterio: Natan/Davide; il Battista/Erode) la denuncia colpisce il connubio peccato sessuale/potere.

 

Mentre rileviamo il tatto e la propensione a far emergere la peculiarità del linguaggio religioso nell’approccio di Gesù alla donna peccatrice (di contro al moralismo garantito dalle leggi della folla con le pietre in mano): «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più» (Gv 8)

 

Viviamo in mezzo a una generazione corrotta e perversa (Fil 1) e il vivere in mezzo a essa, a questo stadio della redenzione, non esime i discepoli di Cristo di poter essere a loro volta corrotti e perversi.

 

Ma c’è da chiedersi: equivale a risplendere come astri luminosi il farsi forte di una legislazione che mi “garantisce” nel dire, sempre al mio povero amico gay, sei un peccatore? Con la postilla: guarda che te lo posso dire perché la legge non solo non me lo vieta, ma mi garantisce anche!

 

Ma la predicazione del peccato non deve forse prevedere altri snodi argomentativi affinché sia veramente una “libera espressione”? E non sto parlando dei modi in cui predicare.

  • Non deve forse prendere in carico chi parla del peccato altrui, la propria condizione di peccatore, proprio nel momento in cui stiamo parlando a qualcun altro? Paolo faceva questo esercizio: io sono il primo dei peccatori. Non importa se Cesare sia d’accordo o meno, amico mio voglio dirti che io faccio esperienza continua di una condizione di violazione della legge di Dio. Siamo insieme, nella stessa barca, quando parliamo di peccato.

Questo appartiene a Dio; cosa me ne frega di quello che pensa Cesare.

 

  • Non deve forse, la predicazione del peccato spiegare agli altri il perdono? Io sono stato perdonato. Ho coscienza del mio peccato, quale questo sia, e ho coscienza del perdono che ho ricevuto. E con il perdono il dono della nuova vita, tutta da giocare, tutta da sperimentare, tutta da scoprire, in una nuova relazione con Dio, e non con Cesare.

 

  • E che cosa implica “predicare” il peccato? Che registro è quello della predicazione? Quello dell’angolo di Hide Park con il predicatore che inveisce contro la corruzione del mondo? Scena replicata in decine di altri film apocalittici e, purtroppo, da qualche improvvido predicatore di strada nei mercati islamici o magari davanti a un locale per gay. È questa la predicazione? La pazzia della predicazione? E la predicazione del peccato è una predicazione a se stante o prende forma e spazio all’interno del vero oggetto della predicazione cristiana: Cristo crocifisso?

 

Potrà mai esserci istigazione all’odio per ragioni di scelta sessuale allorquando parleremo del peccato nei termini in cui il vangelo ci chiede di parlarne:

nella coscienza del proprio peccato,

del perdono

e della prospettiva del regno che viene?

Io credo di NO.

Anzi, sono convinto che appesantiremo la nostra predicazione del “peccato” e del vangelo di un pesante fardello, di un alibi che distoglierà l’ascolto se, con la scusa che il DDL Zan ci privi della libertà di espressione, non acconsentiremo a che la violenza e l’odio nei confronti di chi sceglie stili di vita sessuale diversi da quelli della rivelazione ebraico–cristiana (peccando) siano considerati aggravanti da sancire opportunamente.

Devo concludere questa riflessione che dunque è una riflessione a favore del DDL Zan e a favore della libertà di espressione religiosa, aggiungendo una nota ancor più personale.

Non ho piacere a vedere il modo in cui la cultura gay preme nel dibattito culturale e sociale ricorrendo a forme di ostentazione volgari e blasfeme (penso alle pittoresche scene dei pride). È difficile vivere in un mondo in cui bisogna insegnare ai figli che non ci sono solo bambini e bambine e che bisogna imparare a rispettare dissentendo. Questo non è facile. L’elaborazione di un pensiero globale come quella che ho tentato di fare non consegna nella mani di tutti noi la tranquillità che dovrebbe essere legata a una visione del mondo pacificata dal disegno benevolo di Dio.

Per questo esiste il vangelo, la buona notizia di Dio che in Cristo viene a perdonare gli uomini peccatori … del quale io sono il primo!

L’articolo Non rendete a Cesare quel che è di Dio e a Dio quel che è di Cesare proviene da DiRS GBU.

source https://dirs.gbu.it/non-rendete-a-cesare-quel-che-e-di-dio-e-a-dio-quel-che-e-di-cesare/

Tempo di lettura: 2 minutiForse ti starai chiedendo cosa c’è di così speciale a Revive.
In fondo, cosa può offrirti oltre a un prezzo conveniente e a farti festeggiare Capodanno mentre conosci parecchia gente nuova? Questi erano interrogativi che io stesso mi ponevo prima di partire.

Cibo spirituale

Ricordo grandi tavoli con libri a prezzi ridotti, tanti seminari di buon livello, spazi dedicati per conoscere missioni, una lode ben organizzata, stanze dove volontari sono disposti ad ascoltarti e pregare per te, spazi per lodare e altro ancora, ma voglio spendere qualche parola su ciò che personalmente mi ha più colpito, e inizio a farlo parlando di come abbiamo studiato i primi capitoli del libro degli atti.

Una decisa chiamata all’azione

Con una profondità che mi è impossibile riassumere qui, tramite i vari speaker Dio ancora una volta ci ha ricordato cosa caratterizza i discepoli che agiscono, e soprattutto ci ha ricordato qual’ è il compito che ci è stato dato: agire nel contesto dove Dio ci ha messo, portare il messaggio che Dio ci ha affidato. Una decisa chiamata all’azione, ecco cosa posso raccontare di aver ricevuto dagli studi.

Testimoni del Dio vivente

E un grande incoraggiamento in questa direzione è arrivato anche dai momenti delle testimonianze. Sentire la storia di un ex missionario musulmano che ha subito un tentato omicidio per la sua conversione che, rimanendo convinto del fatto che presto o tardi torneranno a cercarlo, rimane aggrappato alla sua fede servendo fedelmente Dio, e sentire la storia di una donna coraggiosa la quale ha affrontato seri problemi legali perché il governo non ha tollerato le attività religiose, sono state per me un grande richiamo da parte di Dio a smettere di porre le nostre ansie e preoccupazioni di ciò che ci circonda davanti al servizio a cui siamo chiamati.

Per l’Europa… un desiderio comune

Infine, una cosa che porto ancora con me è una concezione della spiritualità in Europa cambiata.
L’ Italia era per me il peggior posto in Europa in termini spirituali, l’erba del vicino era sempre e comunque la più verde. Ma poi ho conosciuto altri coetanei europei, sentito storie mentre stringevo amicizie, e questa opportunità mi ha aperto gli occhi: dovunque viviamo, noi tutti affrontiamo sfide che spesso hanno qualcosa in comune, ed è così che ho realizzato che cosa c’è di speciale in Revive: un desiderio comune.

Per l’Europa… un sogno comune

Noi tutti eravamo lì riuniti perché Dio ci ha fatto realizzare che c’è qualcosa che non va, che l’Europa non è come potrebbe essere, e tutti insieme, con “una sola mente e una sola bocca” ci siamo incontrati per pregare insieme supplicando il nostro Padre celeste per un miracolo, per un risveglio, nel nostro continente e nelle nostre nazioni.

Per l’Europa… preghiamo uniti

E pregare per il miracolo, per il risveglio, è ciò che ci unirà nuovamente questo Capodanno a Karlshure, ed ecco che, se hai a cuore studiare gli eventi degli atti cercandone un’applicazione, e se hai a cuore il desiderio di una trasformazione delle circostanze che ci circondano, dovresti considerare di venire a supplicare Dio in preghiera insieme a noi.

Ci vediamo a Revive.

 

Alessandro Bartoli
(GBU Pisa)

Tempo di lettura: 3 minuti

Decidere di rimanere ad ascoltare

Ricordo molto bene una delle prime plenarie che l’oratrice Connie Main Duarte ha condotto a Revive 2019. Mi ha colpito tanto. L’argomento di cui ha parlato non poteva lasciare indifferente nessuno tra il pubblico. Il passo che ha usato per esprimere il suo tema (Gioele 2:12-13) parlava degli idoli del cuore umano. Subito mi sono resa conto che era necessario rimanere seduta ad ascoltare con il cuore aperto. Non era Connie a chiederlo. Era lo Spirito Santo! Lei era solo lo strumento che Dio stava usando quella sera per arrivare direttamente ai 3000 giovani seduti accanto a me.
La domanda ora era: “Alice, sei disposta ad ascoltare e a fare qualcosa di difficile ma che ti cambierà la vita?”

Una scelta difficile

Ci sono delle cose che vorremmo tenere per noi. Cose con cui non è facile fare i conti ma, in quella sessione, Connie ha raccontato molto della sua storia personale. Lei ha avuto coraggio, non ha avuto paura di esporsi. Ci ha detto di quanto fosse stato facile per lei accettare Gesù come Salvatore in età molto giovane ma di quanto fosse stato difficile comprendere Gesù come il Signore della sua vita. È stata una battaglia contro se stessa. Solo dopo un lungo tempo Gesù ha vinto il suo cuore mentre scopriva che ciò era tutto quello di cui aveva bisogno per liberarsi dagli idoli che la avevano attratta per molto tempo.
Il più grande di questi idoli per lei era lo shopping.

“Houston, abbiamo un problema qui!”

L’idolatria è un problema antico. Ha da sempre caratterizzato la vita dell’uomo. Se solo pensiamo ai passi della Bibbia che raccontano di quanto sia stato facile per il popolo d’Israele essere devoti e pieni di idoli, ci rendiamo conto che quella è una questione attuale e che noi siamo degli orgogliosi arroganti se pensiamo che l’idolatria non ci riguardi. Gli idoli sono tutti intorno a noi. Cercano di tenerci stretti, sono costantemente davanti ai nostri occhi. Nel suo discorso Connie parla del centro commerciale come un tempio dove lei si recava di continuo. Parla della devozione costante, del senso di appagamento e soddisfazione totalizzante che la intrappolava e la costringeva a tornare a offrire il suo culto al dio dello shopping. E noi, siamo poi così diversi da Israele e da Connie? Il nostro tempio magari non sono i negozi ma forse è qualcos’altro che non vogliamo riconoscere come tale!

Riguarda me & te

Connie ci ha sfidato. Ci ha guidati a capire che Dio ci stava chiedendo di guardarci dentro, di smettere di mentire a noi stessi e di rinunciare al nostro idolo. Nello stesso tempo Gesù ci ha preso per mano e ci ha mostrato quanta bellezza c’è dentro di noi e nel mondo intorno a noi se solo riconosciamo i nostri idoli e decidiamo di disfarcene per sempre per seguire Cristo. Se non lo facciamo vivremo con l’illusione che la nostra vita sarà improvvisamente migliore. Non saremo più felici e tutto non sarà più bello. Così mentre gli idoli trattengono ancora il nostro sguardo, essi stringono con un laccio mortale anche il nostro cuore. Ma ciò è proprio il motivo per cui Gesù è venuto a morire.

Ascoltare lo Spirito di Dio è un atto di coraggio

Quando parliamo di rinunciare agli idoli, lo Spirito Santo può essere davvero persistente nel chiederci di farlo. Ma come ci rinuncio concretamente? Bè, voglio dirti che non sarà semplice ma, alla fine di questo percorso di liberazione, vivrai con un cuore totalmente grato e soddisfatto. È un atto di coraggio. Presentati davanti a Dio, chiediti quali sono le cose che stanno catturando maggiormente la tua gioia, la tua attenzione. Dichiara quali sono le cose che ti stanno portando lontano da Gesù. Denaro? Internet? Il successo? La laurea? Una relazione? Dagli un nome. Gli idoli sono solo cose. Le cose hanno potere su di noi solo in relazione al potere che noi diamo loro mettendole al centro della nostra vita. Ora prendi quell’idolo, mettilo ai piedi della croce e giragli le spalle. Lascialo lì per intraprendere una nuova vita insieme a Gesù. Non sei da solo.

Il risveglio è personale

Revive significa risveglio. Da tempo in Italia preghiamo perché questo accada. Tutti abbiamo pensato a un cambiamento e di volerne fare parte. Tutti vogliamo vedere Dio che opera un vero e duraturo risveglio spirituale potente. Gesù è venuto per risvegliarci. Gesù è venuto per liberarci dal laccio mortale degli idoli che soffocano lo Spirito. Gesù è venuto per darci respiro vitale e lo farà se noi, per primi, glielo permettiamo. Se comprendiamo che Gesù è sufficiente a cambiare il nostro cuore, smetteremo di vivere per il nostro idolo e cominceremo a vivere per Cristo, a vedere la bellezza di un risveglio autentico, opera di Dio sovrano che parte proprio da dentro noi. Cosa aspetti? Lascia i tuoi idoli per il solo, grande e unico vero Dio!

<em>Alice Trinari Staff in Formazione a Pisa</em>

 

Alice Trinari
(Staff in Formazione, GBU Pisa)